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Agroenergie a rischio con le nuove misure fiscali

Nell'articolo 22 del Decreto Legge 66 del 24 aprile, si intende modificare la tassazione del reddito derivante dalla produzione e cessione di energia da fonti rinnovabili, agroforestali e fotovoltaiche in modo da poter reperire quei fondi che consentiranno l'inserimento degli 80 euro negli stipendi di molti italiani. Per gli imprenditori agricoli comporterà un notevole incremento della tassazione, mettendo a rischio la stabilità delle loro aziende

di Matteo Monni
maggio - giugno 2014 | Back

Mentre l’Unione Europea sta continuando a mostrare un forte interesse per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, programmando per il 2030 target produttivi ancora più ambiziosi di quelli vincolanti del 2020, l’Italia rischia di rimanere indietro distraendosi nella ricerca di fondi nel quadro della spendingreview. Un esempio allarmante di come un provvedimento, ancorché nato con le migliori intenzioni, possa generare dei danni irreversibili è contenuto nel Decreto Legge 66 del 24 aprile (GU 95/2014) recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”. Il decreto è finalizzato a raccogliere le risorse economiche necessarie all’incremento di 80 Euro nelle buste paga di molti, ma non tutti(!), i cittadini italiani più bisognosi. Tuttavia con l’articolo 22 intitolato “riduzione delle spese fiscali” al punto 1 si intende modificare il modo in cui viene tassato, per gli imprenditori agricoli, il redditoderivante dalla produzione e cessione di energia elettrica e calore da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, nonché di carburanti prodotti nel fondo. Fino ad oggi – a partire dalla finanziaria del 2006 (articolo 1, comma 423, legge 266/2005 e successive modifiche) – tali operazioni erano considerate a tutti gli effetti “attività connesse” e quindi produttive di reddito agrario, venendo così inquadrate in un regime fiscale relativamente poco oneroso perché determinato sulla base delle rendite catastali. La nuova norma, se dovesse essere confermata, introdurrebbe una modifica sostanziale stabilendo che il reddito sia determinato apportando ai corrispettivi delle operazioni (cessioni), effettuate ai fini Iva, il coefficiente di redditività del 25%. Ciò significa che un quarto di tutte le entrate riconducibili alla produzione di agroenergia saranno soggette ad un notevole incremento della tassazione, facendo letteralmente saltare il business plan di tanti imprenditori agricoli che intravedevano nella bioenergia un’opportunità per consolidare il proprio bilancio tutelando anche le produzioni tradizionali. Secondo alcune stime, per esempio, nel caso di un’azienda agricola con un impianto a biogas da circa 700 kW (taglia media nazionale) l’onere fiscale di tale provvedimento sarebbe di quasi 150 mila Euro/anno. Si determinerebbe così un assurdo paradosso se il Governo, per garantire l’incremento di 80 Euro in busta paga di alcuni italiani, dovesse portare al licenziamento di altri proprio in un settore come quello primario, che già soffre enormemente del perdurare della crisi economica.

Al fine di contenere i rischi ascrivibili a tale provvedimento le Associazioni di categoria agricola e quelle delle rinnovabili hanno presentato una serie di proposte di emendamenti al citato articolo 22 del decreto, evitando di chiederne (come si sarebbe stati tentati di fare) lo stralcio tout court, ma sforzandosi di mitigarne gli impatti.

Infatti, considerando che da questa specifica operazione il Governo si aspetta un recupero di gettito Irpef di circa 34 milioni di Euro per il 2014 e 45 milioni di euro l’anno dal 2015, non sarebbe realistico ipotizzarne la soppressione, mentre invece si sta tentando di ottenere una sua rimodulazione che comunque arriverebbe a garantire un livello di gettito per l’erario di analoga consistenza. In questa ottica gli interventi migliorativi che si ritiene sensato chiedere dovrebbero evitare la tassazione per un livello soglia di energia annua prodotta (riconducibile ad impianti di piccola taglia tipici delle aziende agricole) oltre il quale si potrebbe applicare il citato 25%, ma solo sul valore dell’energia venduta ed escludendo ovviamente la quota di incentivo.

In conclusione il mondo agricolo coinvolto nel settore delle rinnovabili auspica il ripensamento della misura, soprattutto per tutelare le filiere del biogas e delle biomasse, progettate per la valorizzazione di prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali, che stanno dando un grande contributo al mantenimento dell’occupazione nelle campagne, alla diminuzione delle emissioni di gas climaleranti e più in generale alla tutela dell’ambiente.

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