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Con l'adesione all'Unione Europea la Croazia "volta pagina"

L'economia del Paese balcanico non ha ancora superato lo choc delle guerre jugoslave del 1991-1995, che hanno colpito in particolare il sistema industriale. In evidenza soprattutto il settore dei servizi, con il turismo che contribuisce al Pil con una quota del 16%. Dopo il calo degli anni passati, in ripresa l'export di macchine agricole italiane

di Giovanni M. Losavio
Gennaio 2014 | Back

Dal 1° luglio 2013 la Croazia è diventata il ventottesimo Stato dell'Unione Europea, coronando così un drammatico percorso di avvicinamento all'Europa iniziato nei primi anni '90 quando Zagabria si staccò dall'allora Federazione Jugoslava. L'indipendenza croata, ancora più di quella slovena, fu la miccia da cui divamparono i sanguinosi conflitti interetnici che sconvolsero la penisola balcanica tra il 1991 e il 1995, anno in cui gli accordi di Dayton (Usa) chiusero una delle pagine più buie della storia europea contemporanea. Del resto, la storia del Paese balcanico è stata a lungo segnata da conflitti più o meno latenti. Confine meridionale dell'impero asburgico, la Croazia, dopo la fine della centenaria presenza veneziana in Dalmazia e della successiva parentesi napoleonica, ha rappresentato per molto tempo lo spartiacque tra le zone d'influenza di tre imperi: la monarchia austro-ungarica a nord, la Russia ed est, ma, soprattutto, l'impero ottomano a Sud, per il quale Zagabria doveva rappresentare una barriera di contenimento, come testimonia peraltro la stessa morfologia del territorio croato, a forma di “U” rovesciata che circonda la Bosnia Erzegovina, fino al 1878 punta più avanzata del dominio di Costantinopoli in Europa. Anche in epoca più recente la Croazia ha continuato ad essere una “zona di frontiera”. Perfino nel secondo dopoguerra quando all'interno della Repubblica Federata di Jugoslavia ha rappresentato il confine più occidentale del blocco sovietico, per diventare poi - in seguito alla rottura tra il presidente jugoslavo Tito e l'Unione Sovietica - un vero “Stato cuscinetto” tra Est ed Ovest. Questo scenario geopolitico, che aveva retto per alcuni decenni, cambiò radicalmente il 4 maggio 1980 con la morte dello Tito (tra l'altro era proprio di nazionalità croata) e con il conseguente rinvigorirsi di spinte indipendentiste che contribuirono al dissolvimento della Federazione, ormai stretta tra una pesante crisi economica e l'egemonia della “Grande Serbia”.

Un sistema economico deindustrializzato. Erede della tradizione asburgica, il sistema economico croato è stato a lungo uno dei più dinamici della vecchia Jugoslavia. Ma gli eventi bellici del 1991 – 1995 ne hanno alterato la fisionomia, colpendo soprattutto il settore industriale che non sembra ancora avere superato le conseguenze del lungo conflitto. «Gli ultimi venti anni – scrive infatti l'Agenzia Ice in un report sull'economia del Paese – sono stati caratterizzati da un forte processo di deindustrializzazione. La partecipazione del comparto industriale al PIL nazionale è passata da circa un terzo (30%) dei primi anni '90 a circa il 17% degli ultimi anni». A tali difficoltà si sono sommate quelle derivanti dalla crisi economica internazionale – nel 2009 la produzione industriale è calata del 9,2% – che ha fatto sentire i suoi effetti negli anni successivi. Nei primi mesi del 2013 si è invece manifestata una lieve ripresa di tendenza. E nel prossimo futuro il settore industriale, come il resto dell’economia croata – nel quadriennio 2009-2012 il Pil è sempre stato in territorio negativo tranne nel 2011 quando è rimasto invariato - dovrebbe trarre beneficio proprio dall'adesione all'UE e dai fondi stanziati da Bruxelles che, secondo l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, ammontano a due miliardi di euro. Dal punto di vista strutturale, l'industria croata ha i suoi comparti trainanti nelle produzioni alimentari, nella fornitura di energia elettrica, gas ed acqua, nella lavorazione dei metalli e nella metalmeccanica. Peso di rilievo anche per il segmento della costruzione di macchine e della cantieristica navale. Ma la vera locomotiva del “sistema-Paese” è costituita dai servizi che rappresentano i due terzi del Pil. E in Croazia il terziario è sinonimo soprattutto di turismo, al quale è imputabile una quota pari al 16% del Pil ed a circa il 40% del totale delle esportazioni di merci e servizi (dati Ice al 2010). D'altro canto, il Paese può contare su un patrimonio culturale e naturalistico di prim'ordine che ha il suo fiore all'occhiello negli oltre 5.700 chilometri di coste, nelle 1.246 isole e nei numerosi siti tutelati dall'Unesco.

Il settore primario: in evidenza la filiera cerealicola e la viticoltura

Attualmente l'agricoltura partecipa alla formazione del Prodotto Interno Lordo croato con una quota del 5% (era del 10% nel 1990) e si distingue per condizioni climatiche, ambientali e territoriali molto differenti tra loro, compatibili con una grande varietà di coltivazioni. Si passa infatti dalle fertili pianure della Slavonia e della Croazia Settentrionale (a clima continentale) alla estesa fascia litoranea con tipico clima mediterraneo, passando per la regione montuosa delle Alpi Dinariche (zona climatica alpina) che attraversano da Nord a Sud la parte centro-occidentale del Paese. Stando ai dati dell'Agenzia Ice, il punto di forza dell'agricoltura croata è rappresentato dalle colture di cereali (3,4 milioni di tonnellate l'anno), seguite dai foraggi (1 milione di tonnellate), dalla barbabietola da zucchero e dalle piante oleose. In evidenza anche le coltivazioni mediterranee che vedono in primo piano mele, prugne e mandarini, con l'olivo – e la connessa produzione di olio di oliva – diffuso soprattutto sulle zone costiere. Da segnalare poi il grande rilievo della viticoltura praticata in aree poco adatte ad altre coltivazioni – è uno dei tradizionali segmenti di specializzazione del settore primario croato (nel Paese ci sono ben 133 milioni di viti) – e delle attività legate all'allevamento. Sempre secondo l'Agenzia Ice, nel 2010 il patrimonio zootecnico ammontava a 9,5 milioni di volatili, 444 mila bovini, 1,3 milioni suini, ed a circa 700 mila tra ovini e caprini.

Meccanizzazione agricola, calano le esportazioni italiane in Croazia

Benché dal 2000 l'Italia sia il principale partner commerciale della Croazia, nonché il suo principale fornitore (specie per filati, combustibili, ferro e acciaio, mobili), a partire dal 2008 le esportazioni italiane di mezzi agricoli nel Paese balcanico hanno accusato una pesante battuta d'arresto. Infatti, tra il 2008 ed il 2012 – per il solo comparto dei trattori – l'export del nostro Paese è passato da 871 ad appena 190 unità, e da un valore di 21,1 milioni di euro ad uno di 4,1 milioni. Se per lo stesso periodo si prende in considerazione il dato relativo al valore delle esportazioni italiane per l'intero settore della meccanica agricola (trattrici e attrezzature), il calo risulta ancora più evidente con una contrazione da 48,1 milioni di euro a 18,4 milioni di euro. In controtendenza invece i mesi tra gennaio e luglio 2013, nel corso dei quali è tornato a crescere sia il numero di trattrici esportate in Croazia (172 a fronte delle 134 dei primi sette mesi del 2012), sia il valore dell'export riferito all'intero segmento della meccanica agricola (trattrici e attrezzature), che è aumentato del 5,5% attestandosi sui 12,2 milioni di euro.

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