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Giovani e agricoltura, un binomio da costruire

Il tessuto imprenditoriale agricolo soffre, in Italia, di un'elevata senilizzazione. I conduttori con oltre 65 anni di età rappresentano infatti il 37% del totale, contro il 5% di chi invece ha meno di 35 anni. Il tasso di ricambio generazionale nella conduzione delle aziende agricole è nettamente più basso, in Italia, rispetto a quello medio europeo. Tuttavia, le imprese agricole condotte da giovani mostrano una notevole dinamicità e una capacità d'innovazione superiore rispetto alla media del Paese, e questo conferma la necessità di una specifica, anche se non facile, politica d'incentivazione

di Denis Pantini
ottobre - novembre 2014 | Back

Da qualche tempo a questa parte uno slogan che spesso si sente ripetere è quello di un “ritorno alla terra” da parte delle nuove generazioni, nel senso di un rinnovato interesse verso le attività agricole in grado di generare un aumento dell’occupazione e dell’imprenditoria giovanile nel settore primario. Complice anche la crisi economica e l’anti-ciclicità del comparto (si può rinunciare a tutto per vivere, tranne che a nutrirsi), diversi indicatori sembrano mostrare una tendenza positiva in termini di “attrattività” dell’agroalimentare verso i giovani. Ma è davvero così? Una prima risposta a questa domanda arriva dall’analisi dei dati occupazionali per fasce di età. Tra il 2008 e il 2013, gli occupati agricoli in Italia sono diminuiti del 6%, quelli con meno di 24 anni del 15%. A prima vista, quindi, il presunto ritorno alle campagne non sembrerebbe esserci. Ma per evitare di arrivare a conclusioni affrettate, Nomisma con il supporto di Cattolica Assicurazioni, Federunacoma e L’Informatore Agrario ha realizzato uno studio (che viene ad EIMA con un convegno il giorno 13 novembre) con il duplice obiettivo di comprendere da un lato le esigenze di sviluppo delle aziende agricole condotte da giovani, dall’altro il grado effettivo di attrattività che il comparto primario esercita nei confronti di chi invece è alla ricerca di un lavoro o ne pratica un altro estraneo all’attività agricola, sempre ovviamente riferito a persone con meno di 40 anni; un’età che rimanda indubbiamente ad un concetto di “maturità”, ma che la legge italiana classifica ancora come lo spartiacque tra giovani e non giovani agricoltori.

Il motivo alla base di tale ricerca, declinata in questi due filoni di indagine, risiede nella difficile prospettiva di sostenibilità futura del settore primario. E' nfatti risaputo come il tessuto imprenditoriale agricolo soffra di un’elevata senilizzazione: i conduttori con oltre 65 anni di età rappresentano infatti il 37% del totale, contro il 5% di chi invece ha meno di 35 anni. Il rapporto tra le due grandezze, che misura il ricambio generazionale, è pari al 13,6% ed evidenzia un valore che rispetto a vent’anni fa, risulta in calo (nel 1990, lo stesso indice era pari al 17,5%).

Si tratta inoltre di una situazione che non trova analogie nei sistemi agricoli europei. Basti pensare che in Francia tale rapporto è pari al 73% mentre in Germania arriva addirittura al 134% (in altre parole, ci sono più capiazienda giovani che vecchi). Mediamente, a livello europeo, tale indice è pari al 25%. La presenza di giovani nel settore, oltre a dare prospettive di tenuta e continuità, evidenzia anche maggiori risvolti di innovazione, un fattore oggi quanto mai necessario per la competitività delle imprese. Alcuni numeri possono spiegare meglio tale concetto.

In Italia, l’intensità del lavoro per ettaro di SAU è più bassa nelle aziende giovani (9,7 giornate/ettaro) rispetto al settore nel suo complesso (10,5) e questo rappresenta un indice di maggiore innovazione/meccanizzazione. Ancora: la media italiana delle aziende agricole con un computer è pari ad appena il 3,8%, ma tra coloro che hanno meno di 40 anni il 45,5% possiede un pc, mentre tra gli over 40 la percentuale scende al 28,4%.

I giovani risultano anche più propensi alla diversificazione delle attività: tra le aziende condotte da persone con meno di 40 anni, ben il 46,4% svolge altre attività, mentre tra gli over 40 la percentuale si ferma al 37,4%.

Tuttavia, queste statistiche da sole non sono sufficienti a comprendere le prospettive di continuità dell’agricoltura italiana e per tale motivo si è proceduto ad una doppia indagine diretta su campioni rappresentativi a livello nazionale di giovani agricoltori e non. Le prime evidenze emerse dalle rilevazioni offrono molti spunti interpretativi. Innanzitutto, occorre segnalare che tra i giovani agricoltori, la burocrazia e il reperimento di risorse finanziarie rappresentano i principali ostacoli alla realizzazione di cambiamenti e innovazioni nella gestione aziendale, nella consapevolezza che l’adeguamento tecnologico di macchinari e attrezzature rappresenta uno dei principali fattori di competitività. Rispetto a tale convinzione, solamente un 10% dei giovani agricoltori si ritiene completamente soddisfatto sull’adeguatezza del livello tecnologico raggiunto dalla propria dotazione aziendale di macchine e attrezzature e per questo quasi tre agricoltori su quattro hanno dichiarato che nei prossimi cinque anni procederanno all’acquisto di macchine agricole. Tra i principali motivi dichiarati alla base di chi invece non effettuerà questa tipologia di investimenti figura l’incertezza delle prospettive future per il settore primario. Una sensazione negativa che si ripercuote anche nella percezione che i giovani agricoltori hanno sul proprio status da parte della società: ben il 66% di loro ritiene che l’opinione pubblica consideri l’agricoltore una professione di “rango sociale” inferiore. Anche per questo, il 40% dei giovani agricoltori spera che, un giorno, il proprio figlio possa continuare l’attività agricola, a condizione però di un miglioramento delle condizioni economiche del settore, mentre un altro “rassegnato” 10% si augura invece che possa trovare occupazione al di fuori del comparto.

Queste sensazioni negative collimano con la percezione che hanno del settore primario i giovani non agricoltori. Per loro, l’agricoltura rappresenta un comparto fondamentale per la collettività dal punto di vista sociale, ambientale ed economico ma tra i principali risvolti che l’attività primaria rimanda alla mente figura la fatica. In buona sostanza e alla luce di queste poche ma significative evidenze, il sentiero per un “ritorno alla terra” da parte delle nuove generazioni sembra assai accidentato e irto di ostacoli.

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