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Mercato

L'Indonesia: un arcipelago di opportunità

L'Indonesia è oggi la prima economia del Sud Est Asiatico e la sedicesima a livello mondiale, oltre che il quarto Paese al mondo per popolazione. Con una crescita economica seconda solamente a quella cinese ed indiana, un territorio ricco di materie prime, una democrazia sempre più stabile e una politica economica votata agli investimenti, questo Paese rappresenta un bacino di opportunità per le aziende italiane

di Francesca Berneri
maggio - giugno 2015 | Back

Con una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati e una popolazione di oltre 253 milioni di abitanti, la Repubblica Presidenziale dell’Indonesia è oggi la prima economia del Sud Est Asiatico e la sedicesima a livello mondiale, oltre che il quarto paese al mondo per popolazione.

Nell’arco di un decennio l’economia indonesiana ha conosciuto una crescita sorprendente, seconda solamente a quella di Cina ed India. Ciò è dovuto sia alla stabilizzazione del contesto politico, con l’elezione di Joko Widodo nel luglio 2014, sia alla ricchezza di materie prime, in particolare legname, sia dalla combinazione di aumento di investimenti nazionali ed esteri con l’incremento della domanda interna. Dal 2004 il PIL è cresciuto senza sosta, tanto che anche durante il quadriennio nero 2008-2012 la media di crescita è stata del 6% annuo. Su queste basi, McKinsey stima che l’Indonesia entro il 2030 raggiungerà il settimo posto nell’economia globale, sorpassando così Germania e Regno Unito. Il raggiungimento di questo obiettivo dovrebbe essere facilitato dal programma varato dal governo indonesiano nel 2011, il Masterplan for the Acceleration and Expansion of Indonesia’s Economic Development 2011-2025, che va ad affiancare i già esistenti Long Term National Plan e Medium Term National Development Plan.

 

L’importanza dell’agricoltura

Nonostante il rapido sviluppo, l’economia indonesiana dipende ancora fortemente dal settore primario: l’agricoltura infatti contribuisce in larga misura al sostentamento della popolazione, che per il 40% lavora proprio in questo ambito.

Da qui l’importanza cruciale per il mercato italiano: la domanda di macchinari specifici sta infatti aumentando a ritmi costanti. Gli scambi commerciali si stanno pertanto intensificando, e l’export italiano sta diventando sempre più rilevante per il Paese. Non bisogna poi dimenticare che, dato lo stadio ancora embrionale delle infrastrutture indonesiane, l’esportazione di macchine per il movimento terra costituisce un settore strategico per le industrie italiane: stando al Global Competitiveness Report 2010 - 2011, la Repubblica Indonesiana è solo al novantesimo posto per qualità delle infrastrutture, e sta dunque investendo moltissimo in questo campo. Sta quindi all’Italia muoversi adeguatamente su questo fronte per riuscire a creare opportunità di scambio vantaggiose per entrambe le parti. Ed una delle sfide più interessanti per la nostra industria riguarda proprio la meccanica agricola, la cui domanda nel Paese asiatico promette di crescere in modo consistente. Malgrado le industrie italiane producano una gamma di mezzi meccanici in grado di soddisfare le esigenze dell’agricoltura indonesiana, ad oggi i nostri volumi di esportazione risultano ancora molto limitati (appena 2,5 milioni di euro per trattrici e macchine agricole, e 4 milioni di euro per le macchine movimento terra). 

Il momento storico è favorevole per lo sviluppo di una rete di scambi: infatti, nonostante gli strascichi della crisi economica continuino a farsi sentire soprattutto in Italia, il governo indonesiano è propenso ad intensificare le relazioni economiche con i Paesi occidentali, sebbene la pur blanda opposizione degli strati più fondamentalisti della popolazione islamica stia creando qualche rallentamento.

 

Gli investimenti italiani

Sebbene il made in Italy in Indonesia sia ancora relativamente poco presente, con un export da quasi 1,2 miliardi di euro nel 2014, il trend di crescita ha registrato un aumento del 93% dal 2008, dato ancora più significativo se si considera che proprio a partire da quell’anno la crisi ha diminuito la domanda nella maggior parte dei Paesi, ivi compresi gli emergenti. Se l’Indonesia ne è stata toccata in misura minore, lo deve all’ampiezza crescente del suo mercato nazionale che isola l’economia dagli shock esogeni. Inoltre, la partecipazione ad associazioni quali APEC, ASEAN, OCI, ONU e G20 e gli accordi di libero scambio siglati con Cina, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea ed India rendono il suo mercato ancora più appetibile.

Il governo indonesiano è ben deciso a cavalcare la corrente e, attraverso il Masterplan for the Acceleration and Expansion of Indonesia’s Economic Development, punta a raggiungere una crescita annua dell’8% e raggiungere così un livello di reddito pro capite fra i 12.000 e i 16.000 USD, a fronte dei 3.600 USD del 2013. Di questo passo, entro il 2030 oltre 90 milioni di indonesiani faranno parte della classe di consumo globale.

Il programma del governo prevede un investimento di 468 miliardi di USD ed è costituito da sei “corridoi economici”, ovvero sei aree a vocazione economica specializzata nelle principali isole indonesiane. In particolare, il settore agricolo riguarderà Sumatra e Sulawesi, mentre il settore minerario e delle risorse naturali coinvolgerà Sumatra, Kalimantan e Papua-Maluku.

Tre le linee d’azione: in primo luogo, il governo indonesiano punta ad aumentare il valore aggiunto, l’efficienza della rete di distribuzione e la capacità del settore produttivo nell’accesso e nell’utilizzo delle risorse naturali e del capitale umano attraverso la creazione di nuove attività economiche. In secondo luogo, il governo si prefigge di rendere più efficiente la produzione e migliorare il marketing e l’integrazione dei mercati delle singole isole per rafforzare l’economia nazionale nel suo complesso. Infine, l’ultimo obiettivo mira a rafforzare la competitività globale sostenibile con un’economia sempre più imperniata sull’innovazione.

Un programma senza dubbio ambizioso, ma che una volta messo in pratica potrebbe migliorare sensibilmente gli scambi fra Italia e Indonesia. Scambi che peraltro già adesso registrano un andamento positivo: l’Italia è infatti  fra i membri dell’Unione Europea il terzo partner commerciale dell’Indonesia ed il secondo esportatore, oltre che il sedicesimo fornitore a livello globale. Negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane hanno inoltre conosciuto un aumento medio annuo del 15%, con un valore dell’export pari a 1,19 miliardi di euro nel 2014.

Numerosi sono anche i progetti italiani di sviluppo in Indonesia (Integrated Development Environment), che negli ultimi cinque anni hanno raggiunto quota 131, per un valore totale di investimento pari a 114,1 milioni di USD.

Dal canto suo, l’Indonesia fornisce all’Italia soprattutto materie prime e prodotti chimici, con qualche eccezione per il settore manifatturiero. I primi dieci prodotti esportati dall’Indonesia in Italia sono, nell’ordine, olio di palma, carbone, poliacetati, calzature, gomma naturale, caffè, molluschi, filati, valigeria e stagno.

L’Italia esporta invece principalmente beni strumentali, che coprono quasi il 40% dell’export italiano. Lavastoviglie, valvole, turbine a vapore, tubi, apparecchi meccanici, motori diesel, motori a ignizione, attrezzi da laboratorio e macchinari per la lavorazione della gomma e della plastica costituiscono i principali beni esportati.

Stando ad Ice Reprint, le aziende italiane sono presenti in Indonesia con 61 uffici di rappresentanza; nel 2013 hanno tutte preannunciato piani di espansione della propria attività, anche in considerazione dell’immagine italiana particolarmente positiva in Indonesia. Stando a uno studio di Des Alwi, i principali settori in cui conviene investire in Indonesia sono le infrastrutture, l’agricoltura, l’energia e l’industria manifatturiera. Per quanto riguarda i produttori di macchine agricole, i principali prodotti agricoli indonesiani sono rappresentati dall’olio di palma, dallo zucchero di canna, dal tè, dal caffè, dal cioccolato e dal tabacco.

 

Perché puntare sull’Indonesia?

Molte sono le ragioni per investire in Indonesia: prima fra tutte, la nuova normativa per gli investimenti che incentiva il flusso di capitali stranieri e l’attività delle piccole e medie imprese. Inoltre, il buon andamento economico che sta interessando tutto il continente asiatico coinvolge naturalmente anche l’Indonesia, caratterizzata da una popolazione giovane (l’età media è di 28 anni) che va a connotare positivamente sia il versante dei consumi che quello della manodopera, qualificata e relativamente a basso costo. Le maggiori agenzie di rating stanno poi apportando continui upgrade al debito sovrano indonesiano, tanto che la CMA (Credit Market Analysis) di Londra ha recentemente eliminato le obbligazioni sovrane indonesiane dall’elenco delle più rischiose. Ha poi guadagnato dieci posizioni, arrivando alla 44esima, nel World Economic Forum Competitiveness Index.

Anche quelli che ad un primo sguardo possono essere considerati problemi, come la carenza di infrastrutture, si trasformano in opportunità se si considera che proprio in questo settore possono essere effettuati i maggiori investimenti e le maggiori esportazioni. Non mancano ovviamente i rischi concreti, come l’inflazione volatile, l’alto tasso di corruzione, gli elevati costi di trasporto, la grande distanza, culturale oltre che geografica, tra Indonesia ed Italia e, soprattutto, la rigidità normativa che spesso impedisce la partecipazione estera nelle società a responsabilità limitata e la presenza di pochi, consolidati oligopoli; tuttavia, questo Paese sta dando prova di grande impegno a livello internazionale, non ultimo con la firma del Partnership and Cooperation Agreement nel 2009 con l’Unione Europea per regolamentare la cooperazione nelle aree di interesse comune come commercio ed investimenti, ambiente, educazione, diritti umani e democrazia.

Se si considera poi che l’attività più diffusa in Indonesia è tuttora l’agricoltura, si capisce come quello indonesiano rappresenti un mercato strategico per i costruttori di macchine agricole sia dal punto di vista dell’export, sia per la possibilità di decentrare la produzione in quel Paese, caratterizzato da un basso costo della manodopera, sia per un investimento locale del know-how. Con un’adeguata azione promozionale e con lo sviluppo di alcune partnership strategiche, l’Italia può trovare nell’Indonesia un fiorente mercato di sbocco.

 

Un’opportunità per l’Italia

Investire in Indonesia potrebbe dunque essere una mossa strategica per le aziende italiane: con un PIL che potrebbe superare quello italiano fra meno di vent’anni e un’economia che punta a piazzarsi al settimo posto nella classifica mondiale entro la metà del secolo, si tratta di un mercato più che interessante.

Le difficoltà naturalmente non mancano: la frammentazione del Paese in varie isole, gli ostacoli normativi, le barriere doganali e tecniche e la distanza culturale e geografica con l’Italia rendono il processo di investimento più farraginoso.

Tuttavia la stabilizzazione politica, lo sviluppo industriale e i percorsi di privatizzazione attuati negli ultimi anni, oltre alla disponibilità di risorse naturali e di manodopera a basso costo, rendono l’Indonesia sempre più appetibile per gli investimenti esteri.

È quindi compito dell’Italia riuscire a cogliere le opportunità che si annidano in questo Paese. 

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