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Distretti

Reggio Emilia, componentistica in primo piano

La capacità di proiettarsi in un mondo sempre più globalizzato ha permesso all'industria reggiana di mantenersi competitiva, in Italia come sui mercati internazionali. In crescita il peso del settore della fornitura e subfornitura grazie alla progettazione di sistemi e dispositivi hi-tech

di Giovanni M. Losavio
maggio - giugno 2016 | Back

Tecnologie GPS per la protezione delle colture, testine per decespugliatori, serbatoi in vetroresina per macchine irroratrici. E ancora: elettrovalvole oleodinamiche, scatole ingranaggi, cuscinetti, videoterminali, sensori. Oggi il manifatturiero continua ad essere il cuore produttivo del distretto di Reggio Emilia, mentre la meccanica, e più in particolare il settore della componentistica, ne rappresentano la spina dorsale. D’altro canto, in questi anni di crisi il sistema industriale locale ha dimostrato di essere in grado non soltanto di reagire alle difficoltà, ma, soprattutto, di ripensarsi e quindi di raccogliere le sfide poste da un mondo sempre più globalizzato. Insomma, mentre in altre realtà del Paese la terziarizzazione ha eroso le posizioni dell’industria, nel distretto reggiano tale processo è stato molto meno pronunciato. Dati Unioncamere riferiti al 2013 – anno di stanca per l’”azienda Italia” – evidenziano come a Reggio Emilia vi sia una concentrazione di imprese manifatturiere (pari al 14,6% del totale delle ditte attive sul territorio provinciale) sensibilmente superiore alla media tanto regionale (11,3%) quanto nazionale (9.8%). Ma dalle statistiche di Unioncamere emerge un altro elemento significativo: la capacità dell’industria reggiana di distinguersi anche dal punto di vista della produzione del valore aggiunto, con una quota settoriale 2012  pari al 32,2%, che risulta di molto superiore a quella generata sia dalle aziende manifatturiere emiliano-romagnole (24,5%) sia da quelle italiane nel loro complesso (18,4%). La vitalità del comparto industriale reggiano, nello specifico del comparto meccanico, traspare poi dall’andamento dell’export, arrivato a oltrepassare nel 2012 la soglia dei 5,2 miliardi di euro su un totale di 8,6 miliardi. Un vero primato, questo, che colloca Reggio Emilia al sesto posto in Italia per il valore di macchinari e apparecchi esportati.

 

Dalla campagna all’elettronica avanzata,

le chiavi di un successo

La vocazione meccanica del distretto arriva da lontano. Essa infatti affonda le proprie radici da un lato nella consolidata tradizione agricola del territorio, presupposto a partire dal quale sono nati e si sono affermati numerosi produttori di tecnologie per il settore primario, dall’altro nella felice esperienza delle vecchie Officine Reggiane, il cui lascito, in termini di competenza, professionalità e spirito imprenditoriale, continua ancora oggi a caratterizzare la vita economica della provincia. «Molti dipendenti, dopo la chiusura della fabbrica, si misero in proprio fondando attività che tuttora esistono e che sono diventate eccellenze della meccanica di casa nostra – spiega Mauro Severi presidente di Unindustria Reggio Emilia – tuttavia c’è un altro fattore alla base del “modello reggiano”: la crescente specializzazione nel segmento della fornitura e della subfornitura e, in particolare, nel segmento della componentistica sviluppatosi a partire da comparti tradizionali, come l’automotive. «Un’agricoltura efficiente e di qualità, uno storico indotto meccanico che ha il suo plus competitivo nelle competenze umane, tecnologiche e ingegneristiche, una sofisticata organizzazione di filiera – aggiunge Aimone Storchi, presidente di Reggio Emilia Innovazione – sono gli elementi,  difficilmente replicabili altrove, sui quali si basa il successo delle imprese del distretto». Un ambiente complesso, dunque, nel quale le ditte che progettano e producono componenti hanno acquisito una considerevole importanza a livello numerico, specie se in rapporto alle aziende agromeccaniche (un’ottantina le prime, 180 le seconde), e istituzionale, poiché il distretto reggiano è uno di quelli più rappresentati in seno al Comacomp, l’associazione dei costruttori di componenti aderente a FederUnacoma. «D’altro canto – sottolinea  Storchi – i rapporti con la subfornitura locale continuano ad essere fondamentali. Come nel caso dei grandi costruttori di macchine agricole, tuttora ancorati alle imprese del territorio nonostante il contesto emiliano si misuri da tempo con l’aggressività manifatturiera dei Paesi emergenti». Paesi rispetto ai quali il “made in Reggio Emilia” ha mostrato una buona capacità di tenuta, grazie all’adozione di modelli organizzativi evoluti e alla propensione ad investire in ricerca e sviluppo.

 

Il motore dell’innovazione reggiana: il Tecnopolo

E in tema di innovazione tecnologica occorre segnalare come proprio i produttori reggiani siano stati tra i principali fautori di quel cambiamento di paradigma che ha portato molti costruttori ad arricchire la meccanica di base dei loro componenti con contenuti elettronici e informatici. Soluzioni tecnologiche avanzate che hanno permesso di mettere a punto dispositivi intelligenti, in grado cioè di interagire con l’ambiente e di adattarsi automaticamente ai suoi cambiamenti, repentini e improvvisi soprattutto nel comparto agricolo. Tali applicazioni, ad altro valore aggiunto, hanno consentito alle ditte reggiane di fare la differenza sui mercati globalizzati, soprattutto rispetto ad imprese “povere” dal punto dell’innovazione ma molto concorrenziali dal lato delle politiche di prezzo. Questo processo, naturalmente, non è prerogativa del distretto di Reggio Emilia. Tuttavia, come dimostra anche l’elevata concentrazione di aziende di componenti hi-tech, è qui che esso ha trovato terreno fertile, grazie a una filosofia imprenditoriale proiettata nel futuro, ma senza mai perdere contatto con le proprie radici, e al ruolo propulsivo del Tecnopolo. Non è un caso se il centro di eccellenza tecnologica del distretto si trovi proprio nel vecchio stabilimento delle Officine Meccaniche Reggiane, fulcro a partire dal quale nei primi anni del ‘900 si sviluppò il tessuto industriale del territorio. Strutturato come un “laboratorio della conoscenza”, come ambiente funzionale alla nascita e allo sviluppo di attività ad alto tasso di innovazione, il Tecnopolo ha tra i suoi obiettivi la creazione di sinergie tra istituti di ricerca pubblici, ricercatori privati e imprenditorialità, il trasferimento del know how, la condivisione delle informazioni. Con un focus particolare sulla meccanizzazione e sul settore primario, poiché, accanto ai laboratori Intermech (specializzati, tra l’altro, nella meccanica industriale e di precisione, nell’industrial design, nella meccatronica) ed En&Tech (efficienza energetica, energie rinnovabili), all’interno della struttura operano centri specializzati nella ricerca applicata all’agricoltura e all’agroalimentare, quali il Biogest-Siteia (struttura interdipartimentale per il miglioramento e la valorizzazione delle risorse biologiche agro-alimentari) e il Crpa Lab, “Centro ricerche produzioni animali” specializzato nella ricerca applicata all’agroalimentare, all’ambiente, all’energia.

 

Fornitura e subfornitura, un futuro ricco di opportunità

Ed è sul terreno della ricerca e dello sviluppo di nuovi prodotti che i costruttori reggiani sono stati in grado di fare la differenza  rispetto ai loro competitor: a traghettare il distretto fuori dalle secche della crisi - nel 2016 il Pil provinciale, secondo la camera di Commercio, dovrebbe crescere dell’1,9%, al di sopra sia del dato nazionale (+1%) sia di quello regionale (+1,2%) – è stata anche la capacità di innovare degli imprenditori locali. «Alle aziende reggiane vanno riconosciute flessibilità e strategie che hanno saputo condurle fuori da questi lunghi anni di crisi. Molte realtà – commenta il presidente di Unindustria – si sono rinnovate diversificando la produzione, brevettando nuovi prodotti sempre più innovativi in grado così di competere meglio sui mercati globali». In questo quadro, i costruttori di componenti, e più in generale le imprese che operano nei settori della fornitura e della subfornitura, stanno svolgendo un ruolo di primo piano, riuscendo, pure con le ditte piccole e medio-piccole, a conquistare nuovi mercati. «è prevedibile una significativa evoluzione della fornitura e della subfornitura che appaiono destinate ad esercitare un ruolo ancor più attivo all’interno della filiera di appartenenza. La nuova frontiera – conclude Storchi – è oggi costituita dall’area dei materiali innovativi e dalla digitalizzazione in ogni sua accezione: dalla ricerca sui dispositivi elettronici industriali al monitoraggio, dalla manutenzione e diagnostica legati alla meccanica alla meccatronica, all’oleomeccatronica e alla robotica. Ambiti che corrispondono alle nuove esigenze poste dal mercato che richiede non solo migliori prestazioni dei prodotti, ma anche maggiore flessibilità d’uso, ecosostenibilità e più bassi impatti ambientali». Insomma, il “sistema Reggio Emilia”, con il suo Tecnopolo e con la sua vivacità imprenditoriale, ha tutte le carte in regola per diventare un marchio di fabbrica ad alta riconoscibilità sui mercati più globalizzati, persino su quelli lontani dalla tradizionali rotte commerciali.

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