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Bioenergia

Cambiamenti climatici: verso un accordo "globale"

Si svolge a dicembre a Parigi la Conferenza mondiale sull'emergenza climatica, che vede coinvolti 196 Paesi. Il contenimento dei gas serra è un obiettivo fondamentale non soltanto per preservare gli equilibri dell'ecosistema ma anche per contenere fenomeni di immigrazione, legati al peggioramento delle condizioni ambientali in varie regioni del pianeta, che si prevede possano assumere dimensioni sempre maggiori

di Matteo Monni
dicembre 2015 | Back

Proprio in questi giorni, mentre si svolge a New Delhi la manifestazione EIMA Agrimach, è in corso a Parigi la COP 21, la più importante Conferenza delle Parti che si sia mai realizzata, dove 196 Stati con decine di migliaia di delegati discutono gli accordi internazionali per porre rimedio ai cambiamenti climatici in corso. Questa occasione, attorno a cui si sta concentrando da tempo una grande attenzione carica di aspettative, si presenta come il contesto di riferimento da cui dipenderanno le prossime azioni da intraprendere a livello internazionale per contenere l’innalzamento delle temperature medie del Pianeta. L’imperativo categorico è di non sforare il limite dei 2° centigradi per l’incremento termico della Terra, oltre tale soglia i climatologi indicano il punto di non ritorno da catastrofici squilibri ambientali che inevitabilmente si ripercuoterebbero sul piano sociale a livello globale. A Parigi, quindi, andrà stabilito e ratificato un accordo internazionale che – partendo dall’esigenza impellente di arrestare la crescita delle emissioni di CO2 – arrivi a stabilire anche misure straordinarie per aiutare le popolazioni già oggi colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici e di individuare strategie efficaci di adattamento per aumentare le capacità di resilienza degli innumerevoli territori coinvolti. Non dimentichiamoci che il flusso dei “profughi ambientali”, coloro che emigrano a causa del peggioramento delle condizioni naturali dei propri territori, è stato lo scorso anno di circa 22 milioni di persone, e che le sconcertanti previsioni per il 2050 oscillano tra i 250 milioni e il miliardo di rifugiati (altro che frontiere protette!).  

L’efficacia dei risultati attesi dalla COP 21 dipenderà dagli impegni concreti che prenderanno tutti i governi e si spera che l’Europa – sulla base dei propri orientamenti di politica ambientale – riesca ad assumere un ruolo di traino. Parigi deve essere il luogo dove mettere finalmente in campo la volontà politica e la capacità industriale di accelerare la transizione economica globale verso la decarbonizzazione.

In questo quadro l’Italia intende proporre azioni impegnative come anticipato dal Ministro dell’Ambiente Galletti in un recente vertice propedeutico alla COP 21. La delegazione italiana cercherà, infatti, di far inserire nel testo finale dell’accordo sul clima il contenimento del riscaldamento globale a 1,5°C ritenendo che tale limite sia quello più adatto per tutelare le aree costiere e le piccole isole, messe a repentaglio dall’innalzamento del livello dei mari. A tal fine, l’auspicio del nostro Ministro è che nessun Paese resti indietro sugli obiettivi climatici e che si debba puntare ad accordi ambiziosi per una riduzione delle emissioni dei gas serra del 50% entro il 2050 fino a centrare il target delle emissioni zero per la fine di questo secolo. Per garantire il rispetto di questi target sarà necessario rendere gli accordi vincolanti, stabilendo anche delle revisioni periodiche degli obiettivi (almeno ogni 5 anni), e sanzionando i Paesi non adempienti.

Oggi, dopo 23 anni di negoziati (nel 1992 a Rio de Janeiro, grazie alla Conferenza dell’ONU sull’ambiente e lo sviluppo, venne stilata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – UNFCCC), il dibattito sul clima si è globalizzato arrivando a coinvolgere con la COP 21 i Paesi responsabili del 95% delle emissioni di gas serra. L’Italia, avendo dato un grande impulso verso la green economy, rientra tra i Paesi che hanno rispettato gli accordi assunti a Kyoto, quindi si presenta come un soggetto che a pieno titolo può indicare i percorsi da seguire. Attraverso le buone pratiche sviluppate negli ultimi anni, anche in reazione alla crisi economica, sarà possibile convincere i paesi più restii che le misure da attivare per la tutela dell’ambiente non vadano considerate un vincolo, ma siano piuttosto un’eccellente opportunità di rilancio dell’economia da cogliere attraverso l’innovazione e la corretta valorizzazione delle risorse. Non a caso in Italia ci sono più di 370.000 aziende (circa il 25% del totale) dell’industria e dei servizi che dal 2008 hanno investito in sistemi tecnologici capaci di ridurre l’impatto ambientale, rispar­miare energia e con­tenere le emissioni di CO2. L’orientamento green si conferma quindi un fattore strategico per il made in Italy a cui si devono circa 100 miliardi di valore aggiunto – pari al 10% dell’economia nazionale – ripartiti nei settori edilizio (31%), agricolo (19%), industriale (12%) e servizi (7%). Si stima che ad oggi circa 3 milioni di occupati (13% degli occupati italiani) siano assunti proprio per specifiche competenze riferibili alla sostenibilità ambientale e si prevede per quest’anno un incremento di poco inferiore alle 300.000 assunzioni.  Prima ancora dell’incontro di Parigi un buon segnale sta nel fatto che la maggioranza dei Paesi abbia già definito i propri impegni di contenimento dei gas climalteranti. Da qualche anno gli Stati Uniti e la Cina, i Paesi con il maggior tasso di emissioni inquinanti, si sono impegnati a ridurle sensibilmente puntando sulla Green Economy e incentivando le così dette “disruptive technologies” per l’efficienza energetica, le FER e la mobilità sostenibile. Su questa positiva scia si allineano anche l’India, il Brasile, l’Indonesia e altre economie emergenti mostrandosi ora più propense ad adottare misure dirette a ridurre le emissioni di gas serra pianificando la crescita delle rinnovabili. Inoltre i Paesi già industrializzati finanzieranno i programmi di adattamento ai cambiamenti climatici delle nazioni in via di sviluppo attivando un fondo verde di 100 miliardi di dollari all’anno. Nell’ambito delle rinnovabili e della bioenergia l’Italia è tra i Paesi che storicamente si sono maggiormente distinti avviando specifiche linee di ricerca e sviluppando progetti sperimentali di notevole rilevanza. Oggi abbiamo molto da dimostrare al mondo, sia per il gran numero di impianti realizzati,  sia per la messa a punto di specifici sistemi tecnologici ed organizzativi. Tali modelli sono esportabili ovunque come buone pratiche, in particolar modo verso i Paesi più poveri dove il ricorso alla bioenergia può fare la differenza tra il benessere e la povertà, tra la nascita di un’economia locale e la necessità di migrare lontano dalla propria terra alla ricerca di condizioni di vita accettabili.

Assume, quindi, una particolare importanza la diffusione in ambito rurale di tecnologie per la produzione di energie rinnovabili soprattutto se legate all’agricoltura. Infatti, la disponibilità di energia, in particolare l’elettricità, costituisce un fattore determinante per il miglioramento della qualità della vita nelle campagne, contrastando la tendenza all’inurbamento. 

Come è noto, il principale ostacolo all’utilizzazione diffusa dell’elettricità nelle aree rurali è la mancanza o la scarsa funzionalità delle reti di trasporto.

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