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Tecnica

L'evoluzione dei carri trincia-miscelatori

A partire dagli anni ’60 la diffusione della razione unifeed nell’allevamento zootecnico è stata senza dubbio favorita dalla disponibilità dei carri (trincia) miscelatori. Da allora questa soluzione per l’alimentazione della mandria è diventata un riferimento assoluto, grazie anche alla vasta offerta di modelli, unita alla possibilità di preparare razioni sempre più “precise”

di Aldo Calcante
marzo - aprile 2021 | Back

L’alimentazione rappresenta una delle principali voci di costo nell’allevamento zootecnico, che può raggiungere il 45-55% del valore del prodotto finale (latte o carne), in funzione della specie allevata, del livello produttivo e della quantità di prodotti acquistati sul mercato. Tuttavia, anche alla luce delle conoscenze attuali sul benessere e sulla qualità dei prodotti di origine animale, per garantire la sostenibilità economica degli allevamenti non è più plausibile agire solo sulla riduzione dei costi, ma è piuttosto necessario aumentare l’efficienza alimentare, sia facendo ricorso ad alimenti zootecnici di elevata qualità, sia adottando tecnologie per la preparazione e la distribuzione delle razioni in grado di migliorare l’efficienza nutrizionale dei capi in allevamento. In tale contesto, il carro trincia-miscelatore è stato aggiornato dal punto di vista tecnologico, passando da “semplice” macchina operatrice a strumento per la gestione di precisione dell’alimentazione animale.

 

Le tipologie

Si tratta di macchine che si sono diffuse intorno agli anni ’80 del secolo scorso quando, visto il successo riscontrato negli allevamenti di bovini da carne, si è cercato di introdurre la tecnica unifeed anche negli allevamenti da latte, caratterizzati da razioni ricche di foraggi prativi essiccati o insilati. Non a caso, nei primi carri trincia-miscelatori fu applicato un sistema di miscelazione a coclea verticale, la cui principale caratteristica è tuttora quella di facilitare la rapida introduzione di elevati quantitativi di fieno nel cassone senza provocare indesiderati attorcigliamenti sulle coclee; questa tipologia a tutt’oggi caratterizza il 50-55% dei carri trincia-miscelatori operanti sul territorio nazionale. A questa si affiancano i carri a coclee orizzontali sovrapposte, nei quali la trinciatura è effettuata da una o due coclee situate sul fondo del cassone, mentre la miscelazione è sostanzialmente realizzata da quelle superiori, e quelli a cilindro rotante, dove la trinciatura viene svolta tramite un apposito mulino fissato sul braccio di carico immediatamente a monte dell’apparato desilatore, mentre la miscelazione è garantita dalla rotazione sul proprio asse del cassone cilindrico.

Nuovi sensori

Tutte le soluzioni descritte assicurano comunque ottime prestazioni nella preparazione della razione; tuttavia il progresso tecnico ha portato ad un continuo miglioramento degli aspetti critici via via evidenziati dai carri trincia-miscelatori, quali: la variabilità della composizione nutrizionale dei foraggi; la difficoltà nel mantenere costante la lunghezza di trinciatura delle componenti a fibra lunga; la selezione che gli animali operano costantemente sulla razione, privilegiando gli ingredienti più appetibili.

L’evoluzione verso il digitale delle tecnologie adottate e la conseguente ampia disponibilità di sensori ha reso possibile la misurazione del contenuto nutritivo del singolo alimento, in particolare delle componenti insilate.

I sistemi di quantificazione dei singoli ingredienti della razione non riescono infatti a tener conto di questa variabilità, poiché sono progettati per caricare quantità predeterminate di prodotto in termini di peso, il cui contenuto nutrizionale, ma anche l’umidità, possono però essere soggetti a notevoli variazioni.

Diventa quindi molto utile poter monitorare in continuo i contenuti effettivi di proteina grezza, fibre Ndf (neutro deterse) e Adf (acido deterse), lipidi, amido e ceneri di ciascun alimento caricato, per verificare l’effettivo rispetto della composizione della razione, così come formulata dall’alimentarista aziendale. Ora tutto ciò è realizzato concretamente tramite la spettrofotometria NIR, con l’impiego di sensori dedicati, installati in prossimità dell’apparato desilatore. 

In tal modo, a partire da una composizione standard, con i sensori NIR si può analizzare il potenziale nutritivo dei foraggi direttamente in fase di carico, modificando se necessario in tempo reale i quantitativi necessari, ricalibrando la pesata, ad ottenere una tolleranza rispetto al valore nutrizionale ideale del ±2%.

Per un miglior controllo sia della selezione degli ingredienti più appetibili da parte degli animali che del livello di trinciatura della miscelata, sono stati recentemente applicati nel cassone della macchina dei sensori ottici, in grado di analizzare la lunghezza di trinciatura delle componenti a fibra lunga, avvertendo l’operatore quando viene ottenuta la dimensione desiderata.

 

Automazione della routine operativa

La preparazione e la successiva distribuzione della razione alimentare sono operazioni routinarie, effettuate con cadenza giornaliera e ad orari rigorosi, seguendo una procedura codificata in termini di quantità e ordine di carico degli alimenti, tempi di trinciatura e di miscelazione e logistica di carico e scarico; ne deriva da ciò una concreta possibilità di automatizzare integralmente il processo. Sono già disponibili da qualche tempo sia impianti automatici di alimentazione (oggetto di una successiva presentazione), sia carri trincia-miscelatori robotizzati, ovvero senza conducente. Si tratta di macchine semoventi, in grado di muoversi autonomamente lungo percorsi prestabiliti, per mezzo di specifici transponder (installati all’interno delle strutture aziendali) e grazie a segnali satellitari (nelle aree esterne). Tali robot, tipicamente a coclee verticali e con capacità del cassone sino a 8 m3, sono in grado di prelevare e di caricare gli alimenti direttamente dai relativi siti di stoccaggio (ovvero trincee per gli insilati, sili per le farine, fienile per i foraggi affienati, ecc.) con una precisione di carico di ±1 kg. Terminata la miscelazione, il carro robotizzato raggiunge la stalla e distribuisce uniformemente il prodotto miscelato sull’intero fronte delle mangiatoie, in funzione delle quantità predefinite per i vari gruppi di capi. Per ovvie ragioni di sicurezza, questi modelli sono dotati di sensori a scansione continua dell’area circostante la loro posizione, per arrestarsi immediatamente in caso di rilevazione di corpi estranei lungo le traiettorie da percorrere.

 

Riduzione dell’impatto ambientale

L’elettrificazione delle macchine agricole è un tema di grande attualità, che risulta di notevole interesse per il settore zootecnico, sia per la favorevole configurazione degli ambienti produttivi, sia per la possibilità di autoapprovvigionamento di energia da fonti rinnovabili (ad es. fotovoltaico e biogas). Le motivazioni di un tale orientamento sono molteplici, quali l’indipendenza dai combustibili fossili (gasolio in primis), la notevole riduzione di emissioni inquinanti (fumi della combustione e rumore), la disponibilità di pacchi batterie sempre più performanti, l’elevata efficienza e la semplicità costruttiva dei motori elettrici. Per contro, i perduranti aspetti critici riguardano l’autonomia di lavoro, la potenza massima installabile, nonché la vita utile, il peso, l’ingombro e il recupero e/o smaltimento a fine vita delle batterie.

Peraltro, i carri trincia-miscelatori ben si prestano all’elettrificazione poiché, pur essendo impiegati costantemente durante l’anno, lavorano con cadenza quotidiana per un tempo relativamente limitato, consentendo comunque una sicura ricarica delle batterie.

Le capacità di lavoro dei modelli elettrici sono simili a quelle delle tipologie convenzionali, ovvero da 5 fino a 21 m3 di volume del cassone; di norma sono dotati di coclee verticali, con un’autonomia di circa due miscelate, con tempi di ricarica tra 3 e 11 ore. La quantificazione del consumo energetico non è semplice, poiché ogni costruttore ha adottato una diversa filosofia riguardo alla potenza installata, non necessariamente legata al volume del cassone.

In base ad alcune prove effettuate dal Centro di ricerca Ingegneria e Trasformazioni agroalimentari di Treviglio, con un carro trincia-miscelatore elettrico da 8 m3 è stato misurato un consumo unitario di circa 3 kWh/t di unifeed prodotto (escludendo le fasi di carico). Considerando un costo dell’energia elettrica di 0,26 euro/kWh, ne deriva quindi una spesa di 0,78 euro/t di razione, un valore assolutamente competitivo rispetto all’impiego di un carro trincia-miscelatore convenzionale.


La spettrometria NIR

L’analisi spettrometrica delle emissioni NIR (Near InfraRed) è un metodo analitico che sfrutta l’interazione della materia con le radiazioni elettromagnetiche aventi lunghezze d’onda adiacenti a quelle dell’infrarosso.

Il segnale che si ottiene dipende dalle proprietà chimico-fisiche del campione, che durante l’analisi viene colpito da radiazioni incidenti. Queste ultime sono poi assorbite, trasmesse o riflesse in parti variabili. Il risultato finale è il cosiddetto “spettro NIR”, relativo all’assorbimento della radiazione per ogni determinata lunghezza d’onda, e caratterizzato da picchi riferibili a gruppi funzionali presenti nel campione, individuabili con precisione.

Il sensore NIR integra una lampada che produce un fascio di luce (con potenza Po, vedi figura Box), che attraversa il campione di alimento. All’uscita, la luce residua (di potenza P) viene suddivisa in bande da un reticolo di diffrazione e inviata ad un banco di diodi, ognuno dei quali misura l’intensità della luce in funzione della sua lunghezza d’onda. I risultati così ottenuti vengono confrontati con una curva di calibrazione ottenuta sperimentalmente per ciascun alimento così da ricostruire la composizione chimico-fisica del campione analizzato.

Dal momento che la banda spettrale NIR (tra 780 e 2500 nm) viene assorbita principalmente dai legami C-H, O-H, N-H, P-H e S-H, è possibile eseguire analisi quantitative su componenti che integrino nella propria struttura tali legami, ovvero acqua, proteine, lipidi e carboidrati.

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