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Mercati

Giappone, tecnologie per un'agricoltura in trasformazione

In calo il mercato nipponico delle macchine agricole, che nei primi 9 mesi dell'anno ha visto calare le vendite dell'8%. Invecchiamento e diminuzione della popolazione rurale alla base della stagnazione della domanda di mezzi. Il governo punta sull'agricoltura 4.0 per rilanciare produttività e competitività del settore primario

di Giovanni M. Losavio
dicembre 2018 | Back

Primi nove mesi dell’anno in rosso per il settore delle trattrici in Giappone. è quanto emerge dai dati forniti in occasione di EIMA International 2018 da Agrievolution, l’associazione che riunisce i costruttori dei principali Paesi produttori di macchinario agricolo. Secondo le statistiche dell’associazione, tra gennaio e settembre 2018 le vendite di trattori in Giappone hanno raggiunto le 28.453 unità, con una riduzione dell’8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando le vendite interessarono 30.900 macchine, per un totale-anno pari a 39.174 mezzi. La frenata del mercato giapponese si inserisce in un contesto asiatico caratterizzato da luci e ombre. Infatti, se il comparto agromeccanico dell’India continua a segnare incrementi (+18%), confermando così le ottime prestazioni degli ultimi due anni, quello cinese registra invece un vistosa battuta d’arresto (-26%), causata anche dalle “guerre” commerciali con gli Stati Uniti.

Un’agricoltura polarizzata sul riso

Il calo delle vendite – che perdura da tre anni – è determinato dalla stagnazione della domanda interna di macchinario agricolo, sulla quale incidono fattori di natura strutturale legati soprattutto alle dinamiche di un comparto agricolo ancora fortemente polarizzato sulla risicoltura. La metà delle aziende agricole nipponiche – si legge in un report dell’ufficio Ice di Tokyo – continua infatti ad essere specializzata nella coltivazione del riso, mentre la produzione risicola nazionale non raggiunge il 20% del totale della produzione agricola. Ciò significa che nel tempo la progressiva diversificazione del regime alimentare dei giapponesi e la conseguente flessione dei consumi di riso hanno finito per riflettersi negativamente sulla produzione agricola complessiva del Paese. Attualmente – si legge in una relazione realizzata da FederUnacoma – le modalità di coltivazione e raccolta “all’occidentale”, cioè su base industriale, si concentrano soprattutto nell’isola settentrionale di Hokkaido, dove, per ragioni meteorologiche e topografiche, ci sono poche risaie. Hokkaido è anche la regione giapponese maggiormente caratterizzata da una meccanizzazione su vasta scala. Ma sull’agricoltura giapponese pesano anche le dinamiche demografiche di un Paese sempre più vecchio, dove circa un terzo della popolazione (27,3%) ha più di 65 anni (negli Usa è il 15%, in Francia il 20%). Questo trend si è riverberato anche sull’economia rurale, che tra il 1985 e il 2015 ha registrato una considerevole diminuzione del numero di agricoltori (da 3.4 a 1,7 milioni di lavoratori) con un significativo incremento della loro età media (66,4 anni).

 

Un’agricoltura sempre più “smart”

Per compensare il deficit di produttività e di competitività del settore primario, il governo giapponese sta puntando sull’agricoltura 4.0 con il ricorso all’intelligenza artificiale, alla robotica, all’“internet delle cose”, ai “big data”. Nelle intenzioni del ministero dell’agricoltura, delle foreste e della pesca, l’applicazione delle tecnologie smart al primario dovrebbe permettere non soltanto di ottimizzare l’impiego della manodopera e di puntare su produzioni di qualità ma dovrebbe anche incentivare una maggiore presenza dei giovani nel comparto agricolo. In questa strategia rientra anche l’accordo di libero scambio firmato lo scorso luglio tra UE e Giappone. Grazie a questa intesa, Tokyo eliminerà i dazi sulla quasi totalità delle importazioni provenienti dall’Unione e, in particolare, sull’80% dei prodotti ittici e agricoli. Insomma, per l’agricoltura giapponese le parole d’ordine sono diversificare e razionalizzare.

 

L’export prevale sull’import, ma l’Italia è il terzo fornitore

Il gap della domanda interna di tecnologie per l’agricoltura viene compensato dai costruttori giapponesi – l’80% della produzione è rappresentato da Kubota, Yanmar, Iseki e Mitsubishi – con una forte vocazione all’export, in particolare verso Stati Uniti (trattrici) e Asia (mietitrebbie). Più ridotti, invece, gli spazi per le importazioni. «Le macchine importate dall’estero per le tre principali categorie di prodotto, cioè trattori, mietitrebbie e trapiantatrici di riso – si legge nella relazione FederUnacoma – raggiungono soltanto il 3% del totale delle nuove macchine consegnate all’anno sul mercato». Ciononostante, il triennio 2015-2017 ha visto un incremento del valore dell’import. A trarne beneficio soprattutto i Paesi UE, che nel 2016 hanno raggiunto una quota pari al 50% del totale delle importazioni giapponesi. E se la Cina si conferma come primo fornitore di macchine agricole per il Giappone (con una quota di mercato del 20% nel 2017), subito dietro si posizionano la Germania (14,2%) e l’Italia con una quota pari al 13,8%, per un valore di circa 57,5 milioni di euro. Insomma c’è, da parte dei costruttori italiani, una grande attenzione per le dinamiche del mercato giapponese.

Lo conferma la prima partecipazione collettiva delle aziende agromeccaniche del nostro Paese alla fiera IAMS (International Agricultural Machinery Show) di Obihiro, città nell’isola settentrionale di Hokkaido. Svoltasi lo scorso luglio, la IAMS è la principale fiera di settore del Giappone e, grazie alla collaborazione tra FederUnacoma e ICE-Agenzia, ha visto la presenza di 15 ditte della meccanica agricola italiana, che in questo modo hanno avuto la possibilità di toccare con mano bisogni, esigenze e richieste dell’agricoltura giapponese.

Un’importante occasione, questa, per consolidare e migliorare la quota di mercato del made in Italy nel Paese del Sol Levante.

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