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Tecnica

La ripuntatura e la scarificatura nell'agricoltura conservativa

Le lavorazioni profonde del terreno sono una pratica periodica, da eseguire solo quando necessario. La gestione sostenibile delle produzioni agricole prevede l’impiego di una serie di attrezzature, quali il ripuntatore, lo scarificatore e il coltivatore, finalizzate al ripristino della più appropriata struttura fisica del suolo agrario

di Domenico Pessina
gennaio 2024 | Back

Poichè il terreno agricolo è un insieme di componenti inorganiche e organiche, che formano una struttura complessa estremamente variabile nel tempo e nello spazio, è ormai assodato che non esiste una soluzione universale per ciò che concerne la preparazione del cosiddetto “letto di semina”. A partire dalla classica combinazione aratura + erpicatura, l’evoluzione in tema si sta sempre più orientando verso le tecniche di minima lavorazione, per le quali si interviene solo sullo strato più superficiale e non sempre sull’intera superficie. Da qui le varie soluzioni: di lavorazione minima (minimum tillage), a strisce (strip tillage) o non-lavorazione (no tillage o sod seeding, quando si semina direttamente su cotico erboso). Si tratta di un passaggio fondamentale nell’applicazione della cosiddetta “agricoltura conservativa”, che mira a minimizzare l’alterazione della composizione, della struttura e della naturale biodiversità del suolo, salvaguardandolo dalla degradazione e dall’erosione.

La differenza sostanziale con l’aratura è che quest’ultima ha lo scopo principale di invertire gli strati del terreno, interrando in profondità quello superficiale ricco di residui vegetali (e di eventuali apporti ulteriori, quali matrici organiche come il letame, il compost e la frazione solida del digestato), al fine di favorirne la loro decomposizione e umificazione. Viceversa, le attrezzature per la minima lavorazione tendono a rimescolare lo strato sul quale agiscono (con una profondità massima di solito non superiore a 15 cm), distribuendo il materiale vegetale, se presente, in maniera più o meno uniforme nell’intero orizzonte di intervento, superficie inclusa.

Peraltro, il continuo passaggio del macchinario in campo, sempre più potente e prestazionale, ma anche progressivamente più pesante, comporta un effetto negativo sulla struttura del terreno – il compattamento – che provoca una riduzione degli spazi vuoti entro i quali circolano aria e acqua e impedisce l’espansione dell’apparato radicale delle piante. Le lavorazioni periodiche sono finalizzate proprio a ripristinare un’ottimale struttura del suolo, e giocoforza si interviene solamente sullo strato superiore (in inglese, “topsoil”), ma nulla si fa per migliorare la situazione nello strato sottostante, il “subsoil”, comunque esplorato dalle radici delle piante coltivate, che subisce quindi una degradazione progressiva. In aggiunta, la tipica azione di alcuni attrezzi, quali l’aratro e la zappatrice, portano alla formazione della cosiddetta “suola di lavorazione”, ossia uno strato di qualche centimetro fortemente compattato, collocato immediatamente sotto l’orizzonte lavorato, che costituisce un ulteriore impedimento al normale sviluppo dell’apparato radicale (v. box).

 

La discissura

Per risolvere i problemi descritti, occorre intervenire in profondità, cercando di ripristinare anche in quel caso una struttura fisica del terreno che permetta una corretta circolazione di aria e acqua.

Lo scopo della discissura è quindi proprio quello di rompere la suola che viene generata da aratro e zappatrice: fessurando e smuovendo il terreno in profondità (senza però rimescolarlo e rivoltarne gli orizzonti), si favoriscono l’arieggiamento e, soprattutto, la percolazione dell’acqua meteorica nei periodi piovosi, nonché la sua risalita capillare in quelli siccitosi. Questo tipo di lavorazione diventa ancora più importante nel caso in cui si decida di adottare una tecnica di minima lavorazione, sia perché gli strati profondi non vengono più disturbati, ma sono comunque soggetti ad un compattamento progressivo dovuto al traffico del macchinario, sia perché nel passaggio dalla tecnica tradizionale a quella di minima lavorazione occorre disgregare la suola che si è creata nel tempo con il ripetuto intervento dell’aratro. Si tratta di un’operazione che non necessita di una periodicità annuale, ma può essere eseguita ogni 3-5 anni o anche meno frequentemente, ogniqualvolta si noti una riduzione della produttività della coltura, correlabile ad una degradazione dello stato fisico del terreno.

 

Ripuntatura o scarificatura?

Uno dei tre pilastri su cui si basa l'agricoltura conservativa è la riduzione delle lavorazioni del suolo agrario, finalizzata a ricreare gli equilibri biologici necessari per lo sviluppo di ecosistemi agricoli vitali, fertili e in grado di generare benefici ambientali. Da qui l’applicazione delle tecniche di minima lavorazione, che però richiedono interventi periodici profondi. Il dissodamento degli strati del suolo sottostanti a quello lavorato è solitamente eseguito con diverse attrezzature, che nella lingua italiana sono definite in numerosi modi, ovvero ripuntatore, scarificatore, discissore, decompattatore, dissodatore, ecc., ma riconducibili in buona sostanza a due tipologie, che in inglese sono il chisel (lo scarificatore) e il ripper o subsoiler (il ripuntatore). Premesso che la letteratura di settore non è affatto concorde nel definire i vari attrezzi, dato che sono disponibili molti modelli con caratteristiche intermedie, la vera differenza consiste nelle caratteristiche di dirompimento: lo scarificatore smuove e frantuma grossolanamente lo strato lavorato, creando quindi un certo sopralzo rispetto al terreno compatto, mentre il ripuntatore mira a creare la sola fessurazione profonda, senza apparente disturbo superficiale, o quasi. Un ulteriore, importante, differenza risiede nella profondità di lavorazione, che per lo scarificatore non supera di solito i 40-50 centimetri, mentre con il ripuntatore si può talvolta superare anche il metro.

 

Il ripuntatore

Si tratta di un’attrezzatura concettualmente semplice, ma che richiede un’attenta progettazione e un’accurata scelta dei materiali. è sostanzialmente composto da un numero variabile di ancore (da 1 a 11), se del caso disposte su diversi ranghi sfalsati, ciascuna costituita da una barra verticale molto robusta, corredata alla sua estremità inferiore (e talvolta anche lungo il suo sviluppo verticale) da utensili atti a realizzare di volta in volta la lavorazione con le caratteristiche desiderate. Il ripuntatore è una macchina operatrice portata all’attacco a 3 punti, che grazie alla sua conformazione e al suo notevole peso penetra progressivamente nel terreno, fino alla profondità desiderata. Per le sue tipiche modalità di funzionamento, essa richiede una forza di trazione molto alta, e deve pertanto essere accoppiata a trattori di stazza notevole (quasi sempre anche opportunamente zavorrati) e quindi di potenza al top della gamma attualmente disponibile, specie per i ripuntatori  che lavorano oltre i 70 cm di profondità e sono dotati di molte ancore. Si consideri infatti che il trattore risulta severamente impegnato non solo in termini di capacità di tiro, ma anche per l’erogazione della potenza, poiché l’esecuzione veloce della ripuntatura migliora l’effetto di dirompimento degli strati profondi.

Le ancore hanno conformazione varia, rettilinea oppure ricurva con concavità rivolta nel senso dell’avanzamento, e sono costituite da robuste piastre sagomate in acciaio di notevole spessore (anche 30-40 mm), sottoposto ad opportuni trattamenti di indurimento superficiale. L’attrezzo terminale può differenziarsi in funzione dell’effetto di dirompimento desiderato: la configurazione più comune prevede un puntale terminale (talvolta a montaggio reversibile, per un opportuno prolungamento della vita utile), che può essere completato da un riporto in acciaio al tungsteno. Il puntale è spesso caratterizzato da una curvatura più accentuata rispetto alla struttura portante ed è normalmente fissato con bulloni per facilitarne la sostituzione in caso di rottura o di fine vita per usura. I riporti al tungsteno possono essere applicati anche al corpo dell’elemento, sempre per aumentarne la vita utile in termini di usura.

 

Lo scarificatore

La profondità di lavorazione è in questo caso inferiore a quella del ripuntatore, attestandosi tipicamente tra 30 e 50 cm. La differenza principale risiede però nelle modalità di dirompimento del terreno prodotta dagli organi lavoranti, che in questo caso assumono una tipica conformazione arcuata, con un utensile terminale intercambiabile per questioni di usura. Anche gli scarificatori hanno gli organi di lavoro disposti su più ranghi, in modo sfalsato, ma più fitti rispetto alle ancore dei ripuntatori ed in numero superiore (fino a 20 o più nei modelli di maggior produttività). La motrice da accoppiare all’attrezzo deve essere anche in questo caso di grande potenza per garantire comunque un’elevata velocità di avanzamento, che aumenta l’efficacia di disgregazione del terreno lavorato. In ogni caso, anche la forza di trazione richiesta è importante, tale da consigliare anche qui un’opportuna zavorratura del trattore. Per questi motivi, lo scarificatore esercita un’efficace azione di rimescolamento dello strato lavorato (e di eventuali residui colturali presenti in superficie), tale quindi da essere considerato l’elemento base dei coltivatori, ossia le attrezzature di elezione per la lavorazione del terreno nell’ambito dell’agricoltura conservativa (si veda il paragrafo più avanti). Per migliorare l’efficacia del dissodamento, ogni organo di lavoro dello scarificatore è spesso dotato di una lama triangolare orizzontale posta all’estremità inferiore dell’arco, talvolta integrata da una seconda lama simile collocata a metà dello sviluppo curvo.

 

Gli accessori

Con lo scarificatore, lo strato superficiale viene smosso e frantumato grossolanamente; il pareggiamento della superficie del terreno può essere ottenuto con uno o una coppia di rulli posteriori, variamente conformati. La tipologia più comune è quella a spuntoni, costituita da un pesante rotore folle sul quale è saldata a file sfalsate una serie di robuste piastre incurvate, a punta. In alternativa, specie in presenza di abbondanti residui colturali, si può abbinare un rullo con uno o più ranghi di dischi ondulati, che oltre al pareggiamento assicurano anche un parziale interramento del materiale vegetale più superficiale.

La profondità di lavoro viene normalmente regolata tramite il sollevatore del trattore, ma tale incombenza può essere soddisfatta anche montando sul telaio dell’attrezzatura una coppia di ruote metalliche regolabili in altezza, che poggiano sul terreno facendo da contrasto.

 

I dispositivi di sicurezza

Nei terreni con abbondante scheletro, la discissura in profondità comporta inevitabilmente l’impatto degli organi lavoranti con sassi e pietre di notevole dimensione, con il pericolo di gravi rotture, e soprattutto lunghi periodi di fermo macchina. Per questo, gli scarificatori e i ripuntatori prevedono opportuni dispositivi di sicurezza, finalizzati a liberare il singolo elemento da un carico molto superiore a quello usuale. La soluzione più semplice ed economica è rappresentata dal classico bullone a rottura (tipicamente con diametro di 20 mm), che costituisce uno dei punti di fissaggio dell’ancora al telaio dell’attrezzo. Il bullone si spezza a trazione, lasciando l’ancora libera di ruotare all’indietro sull’altro bullone di incernieramento, superando così l’ostacolo. La piena funzionalità della macchina è recuperata rimettendo in loco un altro bullone con identiche caratteristiche rispetto al precedente. Sul mercato sono disponibili anche tecnologie reversibili di tipo meccanico o idraulico (definite “non stop”), più efficienti, ma anche più costose. Nel primo caso, ogni organo di lavoro è incernierato al telaio portante del ripuntatore tramite una robusta molla, a spirale o a balestra, che è in grado di sopportare un carico di parecchie centinaia di chilogrammi. L’alternativa vede l’impiego di un cilindro idraulico assistito nel suo movimento da uno o più accumulatori ad azoto: quando l’attrezzo terminale incontra un ostacolo, il dispositivo reversibile automaticamente permette una rotazione all’indietro e verso l’alto, per poi effettuare velocemente il movimento opposto, riportando l’utensile nella posizione usuale di lavoro quando il sovraccarico è superato.

 

Il coltivatore

È l’attrezzatura alla base della lavorazione del terreno nell’ambito dell’agricoltura conservativa. Ha il compito di preparare in un’unica passata il letto di semina, rimescolando lo strato lavorato invece di effettuare l’inversione degli orizzonti attuato dall’aratura. Quando è necessaria un’azione contestuale più energica, il ripuntatore (per operare una discissura periodica degli strati profondi quando serve), oppure più spesso lo scarificatore (per l’efficace azione di dirompimento), rappresentano l’elemento più importante del coltivatore, che viene poi completato con una serie molto ampia di altri organi di lavoro (dischi, rulli, zappette di varia conformazione) dedicati al rimescolamento e allo sminuzzamento dello strato superficiale.


La suola di lavorazione

Si tratta di un problema noto nella lavorazione del terreno, riconducibile alla creazione di uno strato compatto, dello spessore di qualche centimetro, appena sotto l’orizzonte entro il quale interviene l’attrezzo. E’ provocato dalle tipiche modalità con le quali gli organi lavoranti dirompono e/o sminuzzano il terreno: ad es. il vomere dell’aratro, che striscia con una certa pressione sul fondo del solco creato, oppure le zappette ricurve di una zappatrice, che con il loro movimento rotatorio, unito alla bassa velocità di avanzamento, contribuiscono alla formazione di uno strato compatto. Il fenomeno si acuisce se negli anni si lavora ripetutamente il terreno alla medesima profondità, e si aggrava su suoli predisposti all’intasamento. La suola di lavorazione ostacola il drenaggio dell’acqua e la circolazione dell’aria, deprimendo lo sviluppo delle piante, sia per l’ipossia dell’apparato radicale che per l’impossibilità di poter esplorare orizzonti al di sotto di quello lavorato.


L’ogiva e gli esplosori

Nelle zone particolarmente piovose, e per terreni soggetti ad asfissia, risulta utile intervenire con un ripuntatore che possa creare sul fondo della lavorazione delle canalizzazioni per il drenaggio. Allo scopo, all’estremità inferiore di ogni singola ancora, viene incernierata in posizione posteriore un’ogiva di 60-100 mm di diametro, che durante l’avanzamento dell’attrezzo si dispone in orizzontale, praticando una foratura continua, atta a raccogliere e incanalare l’acqua non trattenuta negli strati soprastanti. Per un’efficacia maggiore, si può abbinare ad una ripuntatura particolarmente profonda (fino a 120 cm) la deposizione di specifiche tubazioni di drenaggio. Se uno degli scopi della ripuntatura dovesse essere anche quello di incrementare il dirompimento del suolo interessato all’intervento, sulle singole ancore possono essere montate a metà circa del loro sviluppo verticale i cosiddetti “esplosori”, ovvero delle robuste alette con orientamento orizzontale e trasversale all’avanzamento, che hanno la funzione di smuovere e dirompere maggiormente la parte superiore dello strato interessato alla lavorazione.

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