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Iran e sanzioni: il punto della situazione

A partire dal 2018, a seguito del recesso degli Stati Uniti D’America dal cosiddetto Accordo sul Nucleare, si è diffusa tra gli operatori economici l’errata convinzione che l’Iran sia un paese embargato anche dall’Unione Europea e, di conseguenza, che sia vietato porre in essere transazioni commerciali con esso. Il punto della situazione sullo stato delle sanzioni internazionali verso il Paese

di Dario Gorji Varnosfaderani
giugno 2020 | Back

Nella metà degli anni 2000 l’Iran diveniva destinatario di un complesso sistema sanzionatorio adottato dalla comunità internazionale e dall’Unione Europea. Le sanzioni imponevano alle aziende europee restrizioni nella vendita in Iran di numerosissimi prodotti e tecnologie, nonché il divieto di porre in essere transazioni finanziarie verso il Paese. In un crescendo di intensità, le sanzioni arrivarono ad imporre il divieto di qualsiasi transazione con la Repubblica Islamica, salvo quelle che erano espressamente consentite dalla legge.

Tra il 2015 ed il 2016 questa situazione mutava radicalmente. Il Piano d’Azione Congiunto Globale (PACG), comunemente denominato come “Accordo sul Nucleare”, sottoscritto dall’Iran e dai Paesi del “Gruppo dei 5+1 (Francia, Germania, Regno Unito, Federazione Russa, Cina e Stati Uniti e alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza), determinava la sospensione delle sanzioni europee in vigore sino a quel momento.  L’originario divieto di porre in essere qualsiasi transazione veniva quindi capovolto, nel senso che il commercio con la Repubblica Islamica dell’Iran tornava ad essere sostanzialmente libero, salva la proibizione di trasferire ciò che è espressamente vietato o assoggettato ad autorizzazione preventiva da parte delle autorità di ogni singolo stato membro UE.

 

Il ritiro degli Stati Uniti dal PACG e le sanzioni secondarie

Nel maggio 2018 il Presidente degli Stati Uniti Trump annunciava il ritiro degli USA dall’Accordo sul Nucleare. Tale decisione veniva aspramente criticata dalla comunità internazionale, compresa l’Unione Europea, che ritenevano l’Iran completamente in linea con gli impegni assunti nel PACG.

Unitamente alla revoca dell’adesione, gli Stati Uniti annunciavano la reintroduzione delle cosiddette sanzioni economiche secondarie, ovvero quelle sanzioni volte a colpire gli operatori economici non-americani che intendono intrattenere relazioni commerciali con l’Iran in determinati settori economici. Veniva inoltre reintrodotta da parte del Dipartimento americano del Tesoro, una black-list, contenente i nominativi di centinaia di soggetti fisici e giuridici iraniani con i quali si vieta l’intrattenimento di qualsiasi rapporto commerciale.

La peculiarità delle sanzioni secondarie sta nella pretesa di avere effetti extraterritoriali, ovvero di arrivare a sanzionare con multe o con limitazioni all’accesso al mercato americano gli operatori economici europei aventi relazioni con l’Iran, definiti foreign sanctions evaders.

L’obiettivo è quello di scoraggiare le imprese europee – comprese le banche e gli istituti di credito – dal trattenere rapporti commerciali, bancari e di investimento con le imprese private e pubbliche iraniane.

Gli effetti delle sanzioni secondarie si sono fatti sentire vigorosamente per l’Italia, storicamente il secondo partner commerciale europeo dell’Iran, le cui imprese e banche si sono trovate davanti ad una scelta: quella di violare le sanzioni secondarie americane – che come si vedrà in prosieguo sono prive di efficacia in Italia – o se dare seguito ai propri rapporti commerciali con i partner iraniani.

 

Il quadro normativo attuale con riferimento all’Europa ed all’Italia

A seguito del ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo, l’Unione Europea ha confermato la propria intenzione a rispettare gli accordi internazionali stipulati con l’Iran e, sin da subito, ha qualificato come illegittima la posizione americana.

L’Unione Europea, ad oggi, continua quindi a mantenere sospese le sanzioni verso l’Iran: ciò significa che, attualmente, il Paese non è sottoposto ad embargo ai fini della normativa europea ed italiana, con la pregnante conseguenza che agli operatori nazionali è consentito porre in essere transazioni commerciali: esse continuano ad essere libere e non sanzionate, a meno che non riguardino particolari settori sensibili, specificamente sottoposti a restrizione (come ad, esempio, il settore nucleare e quello militare).

L’Unione Europea si è financo spinta più in là, riconoscendo che il ripristino da parte degli USA delle sanzioni secondarie sia lesivo per gli interessi commerciali delle aziende del Vecchio Continente. L’Unione è quindi intervenuta per tentare di schermare gli operatori economici europei dagli effetti delle sanzioni americane, aggiornando un Regolamento comunitario già esistente ma obsoleto, il c.d. “Regolamento di Blocco” (n. 2271/1996), che mira a neutralizzare – appunto a bloccare – gli effetti delle sanzioni secondarie.

Il Regolamento di Blocco impone a tutti gli operatori dell’Unione – e quindi anche alle aziende italiane – due divieti e riconosce un diritto: il divieto di osservare attivamente o per omissione deliberata le sanzioni secondarie americane contro l’Iran; il divieto di eseguire nell’Unione Europea qualsiasi sentenza o decisione di un tribunale o di un’autorità amministrativa americana che renda effettive verso un operatore europeo le sanzioni secondarie; il diritto per gli operatori impegnati in scambi commerciali verso l’Iran di richiedere a terzi il risarcimento dei danni subiti a causa dell’applicazione delle sanzioni secondarie americane o a causa di azioni su di esse basate.

Il Regolamento di Blocco è direttamente applicabile negli Stati Membri e quindi le aziende ed i soggetti fisici italiani operanti con l’Iran sono tenuti a rispettarlo, alla stregua di una legge interna italiana. Le sanzioni per la violazione di questo atto normativo sono disciplinate dal Decreto Legislativo n. 346 del 1998 e prevedono sanzioni sino ad Euro 92.962,00.

 

Società italiane con branch o controllate negli USA

Chiarito che ai fini della normativa italiana ed europea la Repubblica Islamica dell’Iran non è sotto embargo, le sanzioni americane verso il Paese sono comunque efficaci nei confronti di società partecipate, di branch o di uffici di rappresentanza di società italiane negli Stati Uniti.

A questo proposito, va premesso che il Governo americano, a partire dal 1995, ha imposto un generale divieto a tutti i soggetti fisici e giuridici statunitensi (i c.d. US persons) di porre in essere qualsiasi transazione con l’Iran, salvo limitatissime eccezioni riguardanti il settore medico, alimentare, umanitario e sportivo.

Nello specifico, la normativa contenuta nell’Iranian Transactions and Sanctions Regulations (ITSR) proibisce l’importazione negli USA di beni di origine iraniana o l’esportazione verso l’Iran di qualsiasi bene o tecnologia di origine statunitense o straniera, sia direttamente dagli Stati Uniti sia attraverso paesi o persone terze.

Si tratta delle c.d. sanzioni primarie: tali sanzioni non sono mai venute meno, neanche con l’Accordo del 2015 e, pertanto, continuano ad essere pienamente operanti nei confronti dei soggetti fisici e giuridici collocati nel territorio degli Stati Uniti, ma altresì nei confronti dei soggetti fisicamente collocati al di fuori di esso, le cui operazioni presentino un elemento di “americanità”.

Sulla base di queste considerazioni, le branch e gli uffici di rappresentanza negli USA di società italiane, in quanto US persons, sono tenute a rispettare la normativa dell’ITSR e le sanzioni primarie. Tali entità giuridiche, quindi, a prescindere dall’esistenza del Regolamento di Blocco dell’Unione Europea, dovranno astenersi dal porre in essere qualsiasi transazione, negoziazione o attività di consulenza con controparti stabilite in Iran, a meno che esse non siano state esplicitamente autorizzate dall’Office for Foreign Assets Control (OFAC), costituito presso il Dipartimento americano del Tesoro.

 

Conclusioni e suggerimenti pratici

Riassumendo, sotto il profilo normativo europeo, dal punto di vista merceologico non sussistono restrizioni per gli operatori italiani all’esportazione di prodotti, servizi o tecnologia verso la Repubblica Islamica dell’Iran, a meno che tali esportazioni non riguardino i prodotti particolari elencati dal Regolamento UE 2012/267, negli allegati I, II, III, VII A, VII B.

Rimangono comunque in vigore le limitazioni generali previste dalla normativa in materia di duplice uso (c.d. dual use), che però sono valevoli per tutte le esportazioni extra-UE, e quindi non solo per quelle destinate all’Iran. A proposito dei beni dual use, giova ricordare che a tale categoria sono erroneamente ricondotti i beni militari, quando invece con essi debbono qualificarsi i prodotti civili che potrebbero avere anche un’utilizzazione militare (ad esempio i comuni filtri Hepa).

Da un punto di vista soggettivo, permangono alcuni divieti dell’Unione Europea per il trasferimento di prodotti, servizi o tecnologia verso determinati soggetti iraniani, limitati a qualche decina di persone fisiche e giuridiche.

Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, se sotto un profilo normativo le società italiane sono libere di porre in essere transazioni con l’Iran, sotto un profilo fattuale restano le difficoltà dovute al sistema bancario che, avendo reciso quasi completamente i canali diretti con le banche iraniane, rifiuta di processare i pagamenti da/verso la Repubblica Islamica.

Per aggirare l’ostacolo finanziario molto spesso le società iraniane utilizzano le proprie branch o società controllate in paesi terzi per effettuare gli accrediti verso l’Europa, riuscendo quindi a concludere positivamente le transazioni con le controparti italiane.

In ultimo, agli operatori economici nazionali che possiedono branch, società controllate o uffici di rappresentanza negli Stati Uniti, è invece consigliato porre in essere un’approfondita due diligence, al fine di accertare e verificare la conformità delle attività delle sedi statunitensi con la normativa americana di settore.

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