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Tecnica

Carribotte spandiliquame: la gestione dei reflui

Distribuire in campo i reflui zootecnici in modo corretto è un obiettivo fondamentale per fornire alle coltivazioni gli elementi nutritivi necessari e nello stesso tempo smaltire sostanze che rappresenterebbero altrimenti un fattore di inquinante. Le soluzioni tecnologiche offerte dalle industrie sono sempre più efficienti, e si adattano alle differenti esigenze aziendali

di Davide Facchinetti
ottobre 2019 | Back

Il comparto zootecnico italiano è sempre maggiormente orientato verso l’allevamento intensivo di grandi dimensioni, spesso praticato in aziende agricole con superfici coltivabili limitate. In tale contesto, devono essere smaltite ben 150 milioni di tonnellate circa all'anno di reflui, ovvero 600 mila tonnellate di azoto, 160 mila di fosforo e 380 mila di potassio, comunque elementi da considerare risorse a pieno titolo. Questi reflui, soprattutto quelli in forma liquida, vengono percepiti dagli allevatori più come un problema gestionale che una fonte di reddito, e pertanto causa di aggravio economico. La diretta conseguenza è la mancata valorizzazione agronomica di tale sottoprodotto, soprattutto a causa delle complicazioni ambientali che possono emergere, come ad esempio la contaminazione da nitrati delle acque superficiali e sotterranee, o l’accumulo di fosforo e metalli pesanti nel terreno, o ancora le elevate emissioni di ammoniaca e sostanze maleodoranti in atmosfera.

Una distribuzione in campo corretta ed equilibrata dei reflui zootecnici è (e rimane) però un obiettivo primario, anche perché da ciò deriva in gran parte il più efficiente sfruttamento degli elementi nutritivi da parte della coltura, e quindi la riduzione dell’inquinamento del suolo e dell’atmosfera. La scelta dell’attrezzatura maggiormente idonea caso per caso, commisurata alle reali esigenze ambientali, permette di assicurare un corretto apporto di elementi nutritivi al terreno, di contenere le perdite di azoto, di ridurre il compattamento del suolo e l’emissione di odori, diminuendo al contempo i costi di trasporto e distribuzione.

Anche nel settore degli spandiliquame i costruttori nazionali occupano un posto di primo piano a livello mondiale, proponendo soluzioni innovative orientate all’ottimizzazione dello spandimento, con tangibili vantaggi economici e ambientali.

 

In pressione o no?

Gli spandiliquame sono sostanzialmente costituiti da un serbatoio e da una serie di dispositivi per mettere in pressione, regolare la dose e distribuire il prodotto. Le principali differenze costruttive sono principalmente riconducibili alle modalità di carico del liquame che, in sintesi, può avvenire o per immissione di aria nel serbatoio (nei modelli con serbatoi in pressione), oppure per azione diretta del prodotto per mezzo di pompe volumetriche o centrifughe (nei modelli con serbatoio a pressione atmosferica).

Le macchine del primo tipo sono indubbiamente quelle oggi più diffuse: lavorano a pressioni relativamente basse (0,5-2 bar), peraltro raggiunte solo per brevi periodi di funzionamento. Viceversa, negli spandiliquame a pressione atmosferica il serbatoio funge essenzialmente da contenitore del prodotto e può quindi essere realizzato con profilati e lamiere di minor spessore; ciò comporta, rispetto a quelli con serbatoi in pressione, una sensibile riduzione

sia della massa a vuoto che del costo. Per contro, tale soluzione è caratterizzata da una più veloce usura e da un più alto pericolo di intasamento delle pompe.

 

Il compattamento del suolo

In ogni caso, a causa della massa decisamente elevata (specie a pieno carico), tutti gli spandiliquame provocano inevitabilmente un notevole compattamento del terreno. Consci di tale problema, i costruttori hanno messo a punto diverse soluzioni tecniche per contenere il danneggiamento della struttura del suolo, tra cui il disassamento dell’asse posteriore rispetto a quello anteriore (per distribuire il carico su una superficie maggiore), una particolarità tecnica adottata ormai quasi sempre sulle versioni semoventi.

Contestualmente, è altamente raccomandabile il montaggio di pneumatici a larga sezione e bassa pressione di gonfiaggio, o meglio ancora di dispositivi in grado di variarne la pressione, ad esempio a poco più di 1 bar in campo, aumentando poi il valore in modo opportuno per minimizzare la resistenza all’avanzamento su strada.

La tecnica comunque più efficace, ma senza dubbio più articolata da realizzare, è quella cosiddetta “ombelicale”, che prevede la distribuzione in campo effettuata da un’attrezzatura leggera (spesso atta all’interramento diretto del prodotto), collegata mediante una tubazione ad una cisterna posta a bordo campo o addirittura direttamente al vascone di stoccaggio.

 

Emissioni odorigene e volatilizzazione dell’azoto

Per esaltare la capacità fertilizzante, ridurre la volatilizzazione dell’azoto ammoniacale e la lisciviazione dei nitrati è necessario limitare al minimo indispensabile il tempo di esposizione e le superfici di contatto tra il liquame e l’atmosfera.

Ovviamente, per la selezione della soluzione più opportuna bisogna tenere conto della presenza o meno della coltura; in ogni caso, è sempre meglio privilegiare l’applicazione rasoterra con interramento immediato o meglio ancora la diretta incorporazione sottosuperficiale. Controindicati sono i metodi di distribuzione ad alta pressione (per gli elevati rischi di volatilizzazione), e l’iniezione profonda (che causa perdite di azoto per lisciviazione). Bisogna inoltre considerare che lo spandimento sottosuperficiale a solco chiuso è praticabile con le attrezzature adatte anche sulle colture sarchiate, il che contribuisce all’aumento del periodo utile per la distribuzione in campo nel periodo primaverile-estivo.

 

Uniformità nella distribuzione

I liquami di origine zootecnica contengono azoto, fosforo, potassio e sostanza organica in diverse concentrazioni e con contenuti molto variabili, non solo in relazione all’alimentazione della mandria, ma anche alle modalità di stoccaggio e di trasporto del sottoprodotto.

La necessità di rispettare i limiti normativi dell’azoto distribuibile in campo (170 kg/ha anno nelle zone vulnerabili e 340 in quelle non vulnerabili) presuppone che si conosca la concentrazione di tale elemento nel refluo, meglio ancora nel momento in cui viene distribuito. Se ne deduce quindi che è importante innanzitutto distribuire il liquame in modo uniforme, sia in senso trasversale che in quello longitudinale, e rispettare il più fedelmente possibile eventuali mappe di prescrizione dei vari nutrienti, tenendo sempre d’occhio i citati carichi massimi ammissibili.

Diventa pertanto molto importante adottare gli organi distributori più idonei, meglio ancora se supportati da dispositivi satellitari per la guida semi-automatica o assistita, per evitare soprapposizioni e sottodosaggi. Il successivo, decisivo, passaggio è il monitoraggio in continuo della composizione chimico-fisica del prodotto, rilevandone la variabilità in funzione della sua posizione (ovvero della stratificazione) nel serbatoio.

Tale contesto, che rientra a pieno titolo nell’agricoltura precisione, permette di apportare nutrienti in funzione dei reali fabbisogni agronomici, minimizzando gli impatti sull’atmosfera e sulla falda acquifera. Sebbene la gestione sito-specifica dei reflui zootecnici non sia ancora una pratica comune, è certamente un obiettivo da perseguire, tenendo al contempo in considerazione anche tutti gli altri apporti fertilizzanti di natura differente, con la consapevolezza  che il terreno agrario è un insieme estremamente complesso, assolutamente disuniforme e dinamico, nel tempo e nello spazio.


La Mother Regulation per gli spandiliquame

Il Regolamento UE 167/2013 (Mother Regulation, MR) ha fissato dal 2018 nuove regole per l’omologazione stradale dei trattori, dei rimorchi e delle macchine agricole operatrici trainate. Più in particolare, la MR stabilisce l’obbligatorietà dell’omologazione europea per i trattori (cat. T), mentre per i rimorchi (cat. R), ma anche per le attrezzature intercambiabili trainate (cat. S) il costruttore può scegliere se attenersi alla MR o uniformarsi alle vecchie prescrizioni nazionali.

É quindi importante specificare la differenza tra “rimorchi” e “attrezzature intercambiabili trainate”, che risiede nel rapporto tra massa massima a pieno carico tecnicamente ammissibile e massa a vuoto: se tale valore è pari o superiore a 3 si parla di rimorchi; viceversa, il mezzo deve essere considerato come attrezzatura intercambiabile trainata. I veicoli cat. R sono dotati di targa propria, mentre quelli cat. S circolano con la targa ripetitrice del trattore.

Ad ogni modo, la differenza più eclatante introdotta dalla nuova normativa riguarda l’aumento delle portate: ora è possibile caricare sino a 9000 kg su ogni asse, cui va sommato il carico ammissibile sul gancio di traino, che varia da 2000 a 4000 kg in base alla tipologia. Ciò significa che per un rimorchio a 4 assi la portata lorda ammissibile su strada può arrivare a 40.000 kg, cioè il doppio del limite precedente a livello nazionale.

Altra novità significativa è che la MR permette l’omologazione degli spandiliquame fino a 60 km/h di velocità massima; peraltro, in Italia il Ministero dei Trasporti ha deciso di mantenere il precedente limite di 40 km/h per cui, anche se strutturato per 60 km/h, qualsiasi modello non può viaggiare oltre il limite italiano. Inoltre, ad oggi è possibile trainare un veicolo MR con un trattore non MR, purché il gancio di traino sia compatibile con l’occhione della macchina MR, con la portata ovviamente limitata al limite nazionale.

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