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Scenario

Paesi MENA: un futuro nell'agroalimentare

Nell'area economica che abbraccia il Medioriente e il Nordafrica si accentua la strategia di diversificazione delle attività, che risultano sempre meno concentrate intorno al petrolio e sempre più polarizzate su agricoltura e agroalimentare. Insieme con queste filiere cresce il fabbisogno di meccanizzazione ad ogni livello, e quindi crescono le opportunità di business per le industrie del settore. Preoccupanti le proiezioni relative all'interscambio commerciale, che vedono in crescita le partnership con Cina India e Turchia e in calo quelle con Francia ed Italia

di Ermenegildo Sgroj
aprile - maggio 2018 | Back

Dal 19 al 22 febbraio, a Dubai, si è tenuta la Conferenza GTR MENA Trade & Export Finance week. In sostanza un’intera settimana dedicata ad incontri fra operatori internazionali interessati a sviluppare il proprio business nella regione mediorientale. Si tratta di un evento organizzato con periodicità annuale da GTR Global Trade Review, e che ha il grande pregio di discutere del commercio e delle opportunità di investimento seguendo un’ottica non europea ma dal punto di vista delle grandi economie asiatiche e africane, le quali risultano sempre più interdipendenti e legate alla regione cosiddetta MENA (Medioriente e Nordafrica). A testimoniarlo in tutta chiarezza sono innanzitutto i numeri che riassumono i partecipanti all’evento: dei 683 delegati solo il 12% proveniva dall’Europa, e l’1% dall’America. I restanti provenivano da Asia ed Africa. La regione si trova oggi in una fase estremamente delicata dove coesistono fattori di rischio, soprattutto politico, e potenzialità enormi legate alla trasformazione delle economie dell’area. Il forte impegno dei Paesi Opec alla riduzione dell’offerta di greggio sui mercati mondiali sta creando le condizioni per una lenta risalita del prezzo del petrolio: una condizione essenziale alle economie del Golfo per dare corso ai grandi progetti legati sia ai prossimi eventi a Dubai (Expo 2020) e in Qatar (Mondiali di calcio 2022) che ai piani di investimento infrastrutturale in parte frenati dalla caduta del prezzo del petrolio. Questo trend è però, secondo gli analisti della regione, sostenuto anche dalla situazione di forte instabilità della Libia e del Nord Iraq, dove sono localizzati importanti giacimenti petroliferi. è quindi evidente, come ribadito in più occasioni durante i lavori, che la diversificazione delle economie locali è ormai ineluttabile. Di questo si parla da anni, ma solo nel periodo recente è diventato chiaro come i contenuti rialzi del prezzo del petrolio siano più l’effetto di fattori politici (e di rischio soprattutto) che non la conseguenza di una crescita della domanda, destinata probabilmente nel lungo termine a ridursi. In questo scenario il dato che fotografa al 69% la quota di export della Regione MENA collegata al petrolio non appare più sostenibile. Nei Paesi del Golfo, dove le strategie di medio-lungo termine sono fissate in documenti governativi di grande risonanza (UAE Vision 2021, Saudi Vision 2030, Qatar 2030), l’obiettivo della diversificazione dell’economica è ben presente, e vede in posizione preminente il settore alimentare.

 

Caso Emirati Arabi

Il settore F&B  Food and Beverage nella JAFZA (free zone a nord di Dubai) è cresciuto del 12% nel 2017. Il numero di imprese presenti in un anno è salito da 507 a 570 con 8600 dipendenti (provenienti da 75 paesi: 37% da Medio Oriente, 24% Asia Pacific, 10% Africa), le attività sono in molti casi di tipo produttivo ed evidentemente puntano a servire l’intera regione limitrofa. La costituzione di un hub regionale del F&B è una delle linee strategiche di UAE Vision 2021, con l’obiettivo di favorire la diversificazione economica e fare di Dubai la capitale economica globale del mondo islamico. Il settore food deve diventare un attrattore di IDE (Investimenti diretti esteri), meglio se su base di partnership con grandi player mondiali, in particolare nel settore dell’Halal food, gli alimenti trattati secondo le prescrizioni della legge islamica. Che questo poi non sia solo un obiettivo prospettico ma già una realtà in progress lo dimostrano i numeri della manifestazione Gulfood 2018 di fine febbraio. Aggiungiamo che il tasso di crescita dei consumi alimentari nella regione MENA è stimato, fino al 2020, al 6,3%, annuo, non lontano dal 7,1% del dato mondiale. L’altro elemento di grande attenzione da parte delle imprese e degli enti presenti alla settimana GTR MENA è relativa alla ridefinizione dei flussi commerciali della Regione. Si è spesso parlato del Golfo come di una porta naturale agli scambi fra Asia, Europa ed Africa, ma oggi l’analisi dei dati, più che mai sofisticati in epoca di “big data”, è particolarmente significativa. E mostra segnali preoccupanti per l’Europa. Uno studio di Coriolis Technologies – Londra fornisce una stima dei flussi import-export della Regione MENA nel periodo 2017-2021 (comparati ai dati del periodo 1996–2016). Limitiamoci ad una illustrazione dei dati più significativi per noi e per le imprese italiane esportatrici. Macchinari e loro componenti, assieme alle commodities restano i due principali settori dell’import nell’area MENA, sfiorando ciascuno i 100 miliardi di dollari per il biennio 2017/18. I tassi di crescita più interessanti riguardano soprattutto i macchinari (2,5/3% su base annua). Ma quello che colpisce maggiormente è la posizione dei diversi partners della regione nel grande gioco del commercio globale. Fra i primi quattro compratori di prodotti provenienti da Nord Africa e Medioriente si collocano in prospettiva 2017-21 rispettivamente Cina, India e Turchia. È vero che al primo posto ci sarebbe un Paese europeo, ma è la Svizzera, il cui ruolo negli scambi di metalli preziosi è ben noto.

Passando ad esaminare i partners fornitori – sempre nell’orizzonte prospettico dei prossimi quattro anni – il quadro si conferma: Cina, Germania, Turchia, Usa, India e Giappone, in ordine d’importanza per tasso di crescita del loro export. Per Italia e Francia si stima un preoccupante arretramento. In questa sede la lettura dei dati deve far riflettere sul riorientamento dei flussi di questi Paesi verso l’Asia, e per certi specifici settori verso Russia e Turchia. Ed è proprio a questo cambiamento strutturale che dovrebbe essere prestata attenzione, avendo sempre più l’accortezza di guardare all’Area del Golfo pensando a destinazioni finali in India, Cina, Estremo Oriente, Africa orientale.

Certamente a questo guardano gli investitori internazionali che riverseranno – sono i dati dell’Institute of International Finance di Washington – nei Paesi MENA 224 miliardi di dollari nel solo 2018. Una parte importante di questi – 40 miliardi – andranno all’Arabia Saudita, ma una quota non secondaria sarà destinata a rafforzare le infrastrutture del Golfo che sono il principale “atout” a presidio del commercio “sud-sud” fra Asia ed Africa.

E qualche considerazione merita proprio il ruolo che avrà l’Africa negli scambi di prodotti agroalimentari ed agroindustriali in questo scenario. In Africa la caduta del prezzo delle principali commodities del continente (petrolio e rame) sta avendo almeno due importanti effetti nel settore agroalimentare. Da un lato una ulteriore spinta alla diversificazione dei prodotti: ad esempio la Costa D’Avorio, tradizionale fornitore di cacao (assieme al Ghana), ha spinto molto sulla coltivazione di frutta, anacardi e nocciole, ed ha iniziato ad investire sulle attività di trasformazione di questi prodotti, attualmente delocalizzate in India e Vietnam. Altro trend emergente nei paesi dell’Est Africa, come Etiopia e Kenya, è che il calo del prezzo del petrolio (di cui sono acquirenti) sta favorendo l’incremento degli investimenti nel settore della produzione di the, caffe, spezie, piante e fiori, ortofrutta.

In queste linee di tendenza il Golfo, e soprattutto gli Emirati Arabi, giocano un ruolo da protagonisti soprattutto nel campo dei servizi finanziari e della logistica. Per inserirsi in questi flussi sud-sud le imprese europee dovranno dotarsi di una presenza stabile in loco, che consenta la promozione dei propri prodotti, la gestione di magazzini e ricambistica, e l’assistenza post vendita direttamente nel punto di snodo delle direttrici di trasporto. Inoltre negli EAU si sta consolidando anche l’offerta di servizi fintech, definibili come innovazione tecnologica in grado di produrre innovazione finanziaria (dal crowd-funding all’instant payment, dal blockchain ai big-data per citarne alcuni).

Un ruolo importante è qui rappresentato dalla digitalizzazione dei documenti e dalle tecnologie per la validazione decentrata delle transazioni. In pratica si determinerà una forte riduzione della documentazione cartacea (dalle fatture alle polizze di carico) che accompagna ogni spedizione e spesso è condizione per il perfezionamento dei pagamenti. In questo specifico business gli EAU vedono confrontarsi non solo aziende di servizi finanziari ma anche – e questa è la grossa novità – i grandi player dei trasporti navali che riescono attraverso il fintech a velocizzare le transazioni finanziarie ed a giocare un ruolo da protagonisti anche nel finanziamento della filiera: la supply chain. Le nostre imprese sono ancora una volta chiamate a raccogliere una sfida complessa per conquistare i mercati lontani e difficili: cogliere l’evoluzione geopolitica, interpretare l’evoluzione dei flussi, monitorare le crescenti relazioni fra logistica e finanza.

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