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Precision farming, l'agricoltura "da vicino"

I sistemi elettronici e informatici per la gestione scientifica dei parametri di lavoro in agricoltura rappresentano la nuova frontiera tecnologica, alla quale guardano con interesse crescente le imprese agricole di tutti i Paesi maggiormente sviluppati. Oltre ai vantaggi in termini strettamente agronomici, i sistemi per l'agricoltura di precisione consentono alle imprese di produrre a costi inferiori, potendo fronteggiare quelle crisi di redditività che ormai caratterizzano l'economia primaria a livello globale

di Paolo Buttaci
maggio - giugno 2017 | Back

Un incremento delle produzioni e della produttività per far fronte ad una popolazione sempre più numerosa ed esigente, una riduzione dei costi, unitamente ad un maggior rispetto per l’ambiente. Questi sono gli obiettivi che oggi il settore primario si pone per poter affrontare le sfide sociali, economiche ed ambientali al centro del dibattito internazionale.

A ciò, per delineare un quadro rappresentativo del settore, è necessario aggiungere che molte delle colture agrarie oggi praticate non sono in grado di garantire un reddito equo agli agricoltori, a causa di fattori che incidono negativamente sul margine di guadagno delle aziende. Il continuo aumento del prezzo di acquisto dei mezzi tecnici (gasolio, fertilizzanti, diserbanti ecc.) si contrappone al netto calo nel valore di mercato del prodotto, anche a causa della sempre maggiore competitività delle produzioni delle economie emergenti e dei graduali cambiamenti adottati in sede comunitaria per quanto riguarda le misure di sostegno al reddito.

I processi innovativi possono però aiutare gli agricoltori a coniugare redditività e sostenibilità, riducendo i consumi di risorse energetiche e idriche e l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi. La ricerca applicata all’agricoltura ha mosso infatti, negli ultimi anni, enormi passi. L’implementazione delle più avanzate innovazioni tecnologiche permette di mettere a punto sistemi colturali a basso impatto ambientale e a costo ridotto, attraverso l’impiego di strumenti per il controllo automatico della distribuzione di tutti i fattori produttivi, con particolare riguardo ai potenziali inquinanti (fertilizzanti e fitosanitari) ma anche di attuare, da parte della direzione dell’impresa agricola, forme di gestione proattiva dei processi, con conseguente incremento della produttività del lavoro e riduzione dei costi di produzione, il tutto al fine di ottenere un’agricoltura sostenibile in termini ecologico-ambientali ed economici.

Un approccio, quello appena descritto, teorizzato ed implementato sotto il nome di Agricoltura di Precisione (AdP).

Sviluppatasi agli inizi degli anni novanta, negli Stati Uniti d’America, con il nome di Precision Farming o Site Specific Farming Management, l’AdP consiste nell’applicazione di tecnologie, principi e strategie per una gestione spaziale e temporale della variabilità associata agli aspetti della produzione agricola, in relazione alle reali necessità dell’appezzamento (Pierce e Nowak, 1999).

Essa può quindi essere intesa come una forma di agricoltura progredita, volta all’impiego di tecniche e tecnologie mirate all’applicazione variabile degli input colturali all’interno dei terreni, sulla base dell’effettiva esigenza della coltura e delle proprietà chimico-fisiche e biologiche del suolo, al fine di perseguire dei vantaggi di ordine agronomico, mediante l’accrescimento della performance della coltura attraverso la razionalizzazione degli input e la riduzione dei costi colturali ed ambientali (Godwin, 2003).

Una forma progredita di agricoltura che tuttavia fonda la propria ragion d’essere sul passato: l’AdP, come concetto, non costituisce infatti un’idea nuova. Solo pochi decenni fa, l’agricoltore esaminava i propri campi in prima persona, li percorreva in lungo e in largo più volte durante l’anno, aveva così modo di osservare la variabilità all’interno dell’appezzamento e di intervenire di volta in volta con soluzioni mirate: distribuiva dosi di fertilizzante maggiore laddove la crescita si era riscontrata inferiore oppure aumentava la dose di semi laddove rilevava un minor attecchimento.

Questa conoscenza dipendeva dalla sua memoria, mantenuta aggiornata attraverso l’osservazione diretta. Un approccio del genere è divenuto difficilmente percorribile con l’aumento della dimensioni aziendali e con il sempre maggiore ricorso al contoterzismo: più grandi e numerosi, infatti, sono diventati i campi dell’azienda e progressivamente ridotta è stata la possibilità per l’agricoltore di valutare e gestire le singole situazioni di variabilità.

In agricoltura infatti un qualsiasi appezzamento è caratterizzato da una certa variabilità che interessa diversi parametri legati alla natura del terreno stesso. La sfida è da sempre stata quella di individuare quei parametri che avessero effetti negativi sulla resa della coltura, per poter intervenire sui fattori limitanti la produttività con input efficaci (maggiori dosi di concime, maggior ricorso all’irrigazione, ecc.). Da queste considerazioni è possibile intuire l’importanza nella suddivisione dei campi in parcelle omogenee da poter gestire in maniera uniforme e differente dal resto dell’appezzamento, per poterne aumentare il rendimento ed ottenerne di conseguenza un maggior ritorno economico.

Negli anni però le dimensioni delle parcelle sono via via aumentate, gli interventi da eseguire sono stati calibrati su valori medi, con l’assunto che questi fossero rappresentativi dell’intera area, erroneamente ritenuta omogenea. Con l’implementazione dei primi sistemi per il monitoraggio del rendimento e di misura della resa con la creazione di apposite mappe, è stato invece dimostrato che tali parametri variano sensibilmente anche all’interno del singolo appezzamento. Questa consapevolezza ha di fatto stimolato l’interesse verso tutte quelle tecnologie che permettono di misurare la variabilità presente all’interno dei campi, per individuare quelle aree da trattare in maniera differente ed approntare sulle stesse soluzioni che permettano di aumentarne le rese.

L’AdP può essere intesa dunque come un nuovo approccio gestionale dell’azienda agraria, la cui implementazione passa attraverso tre fasi principali: all’acquisizione e alla registrazione dei dati per stabilire la variabilità del campo in esame, segue una fase decisionale con l’interpretazione degli stessi, la quale permette di definire le scelte e le strategie da adottare.

Per la raccolta dei dati esistono diverse tecniche, su tutte quella che ha dato impulso all’AdP è l’utilizzo del sistema di posizionamento globale (GPS), attraverso il quale è possibile identificare e registrare la posizione di un qualsiasi ricevitore sulla superficie terrestre con l’ausilio di un sistema di satelliti che ruotano attorno alla Terra. Il sistema GPS in agricoltura può trovare le più svariate applicazioni, il sistema di navigazione è forse il più noto: si tratta di un sistema elettronico di guida che sfrutta i ricevitori satellitari per indicare all’operatore di una macchina il percorso ottimale da seguire in campo tramite segnali luminosi o acustici (barra di guida) o per guidare autonomamente la macchina durante un percorso rettilineo (guida semi-automatica).

Tra le modalità di acquisizione dei dati, oltre ai riferimenti spaziali (GPS), si possono indicare i Sistemi informativi geografici (GIS) attraverso i quali è possibile combinare dati geografici a dati di altro genere per generare mappe tecniche sintetiche. Il Telerilevamento utilizza invece informazioni ottenute da piattaforme aeree o satellitari che sono in grado di sfruttare la radiazione elettromagnetica in una o più lunghezze d’onda, per fornire tra le altre cose informazioni sullo stato di salute della coltura, sull’andamento della stessa durante il ciclo produttivo, sulla fase di maturazione del prodotto e sul momento ottimale per la sua raccolta. Infine, l’applicazione di sensori su specifiche macchine, quali ad esempio le mietitrebbiatrici, permette la misura istantanea della quantità e qualità di semi in ogni punto dell’appezzamento con la conseguente possibilità di elaborare precise mappe di produzione.

Stabilita la variabilità del campo e quantificata la sua entità, l’implementazione delle tecniche di AdP presuppone un’attenta ed oculata fase decisionale. In questa fase, oltre all’elaborazione dei dati ottenuti, bisogna valutare la dinamica e le influenze reciproche di suolo, clima, genetica e pratiche colturali. La tecnologia fornisce ancora delle soluzioni: è possibile infatti ricorrere alle simulazioni attraverso lo sviluppo di modelli informatizzati che permettono di prevedere l’efficacia delle pratiche colturali con gestioni differenti per un determinato terreno, in una precisa zona climatica e con una cultivar stabilita. Individuata la strategia da implementare, l’operatore dovrà avvalersi di attrezzature specifiche. Sarà dunque necessario adeguare il parco macchine a disposizione con strumenti e sistemi sviluppati per l’AdP. Ed è così che, grazie alla tecnologia ISOBUS, nelle cabine dei trattori entrano veri e propri computer di bordo, che permettono agli stessi di poter dialogare con le macchine operatrici, di poter distribuire gli input produttivi quali semi, concimi, pesticidi, ecc. in maniera differenziata e razionalizzata e di supportare l’agricoltore nell’esecuzione delle operazioni, alleviando quelle più complesse e faticose. Alcune macchine, dotate di un sistema di localizzazione (GPS), potranno modificare l’entità di un trattamento specifico tramite le informazioni contenute nelle mappe, ottenute in precedenza, attraverso la modulazione del proprio funzionamento a seconda del punto dell’appezzamento in cui si trova. Altre si avvarranno di sensori per rilevare in tempo reale i parametri correlati con la resa della coltura che verranno utilizzati come indicatori per la distribuzione dei vari input produttivi.

Da quanto sin ora detto, si può intuire l’impatto che l’AdP può avere sull’agricoltura mondiale. Vantaggi di ordine economico, dovuti alla razionalizzazione nell’utilizzo dei vari fattori colturali ma anche ad una gestione che è in grado di anticipare le emergenze, si sommano a vantaggi di natura ambientale, dovuti ad un uso mirato dei prodotti chimici, con riflessi positivi sulla qualità delle acque, sulla qualità del suolo e dell’aria; l’AdP rende più semplice l’implementazione di tecniche conservative di lavorazione del terreno, come la non inversione degli strati, la minima lavorazione e la non lavorazione che presentano il vantaggio di ridurre l’erosione, di aumentare la fertilità del suolo, di ridurre le emissioni di CO2 e di ottimizzare l’uso dell’acqua, contribuendo alla mitigazione del surriscaldamento climatico dovuto all’attività antropica e all’eccessivo uso del territorio.

L’AdP è anche adattabile a tutte le altre forme di agricoltura proponibili come quella biologica, quella multifunzionale, le coltivazioni per la produzione di biocombustibili, l’agricoltura di sussistenza e così via, perché ne valorizza e razionalizza le finalità.

In Italia ad oggi solo l’1% della superficie agricola coltivata vede l’impiego di mezzi e tecnologie di AdP, l’obiettivo che si pone il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali è quello di raggiungere il 10% entro il 2021. Le tecnologie esistono, agli agricoltori il compito di implementarle.

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