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Tecnica

Motori agricoli, evoluzione tecnologica e combustili alternativi

In attesa di una più ampia elettrificazione delle macchine agricole, per diversi anni sarà ancora necessario fare ricorso al motore di tipo endotermico. Per contenere l’impatto ambientale, oltre all’applicazione dei dispositivi antinquinamento si stanno diffondendo soluzioni che fanno ricorso a combustibili alternativi maggiormente sostenibili, anche per ciò che concerne la loro produzione

di Domenico Pessina
dicembre 2023 | Back

Per le sue caratteristiche prestazionali, il motore diesel si è affermato come protagonista assoluto della meccanizzazione agricola mondiale, sostanzialmente per la grande robustezza e l’ottimo rendimento termodinamico. Tuttavia, da tempo è indicato (e non solo in ambito “non-road”, ma anche per applicazioni stradali) come uno dei principali imputati dell’inquinamento atmosferico, anche se non tutti gli esperti del settore sono concordi su questa ipotesi, soprattutto dopo i progressi degli ultimi 30 anni che, grazie alla dotazione di diversi dispositivi specifici, hanno registrato una enorme diminuzione nell’emissione dei composti inquinanti (per i diesel, specialmente particolato e ossidi di azoto). Si pensi che, rispetto ad un identico motore agricolo cosiddetto “non emissionato”, uno attuale inquina quasi 100 volte di meno. In altre parole, sarebbe come a dire che un solo trattore di 30 anni fa produce una quantità di gas inquinanti pari a quella di 100 trattori moderni della stessa potenza. Tra l’altro, si deve tenere conto che il problema è ben lontano da una sua definitiva soluzione, se si considera che ad esempio in Italia il parco trattori ha un’età media di 27 anni.

In ogni caso, è proprio l’alimentazione del motore diesel con il gasolio, che è un combustibile di origine fossile, a produrre una quantità non indifferente di emissioni inquinanti. Pertanto, da tempo i costruttori si sono orientati verso la messa a punto di propulsori, anche a ciclo otto, idonei a funzionare con combustibili alternativi, in miscela o puri, che potessero limitare la produzione di gas nocivi.

Inoltre, in attesa del massiccio avvento e della definitiva elettrificazione del comparto (per la quale si dovrà aspettare ancora un po’, vista l’attuale non completa maturazione della tecnologia delle batterie), stanno comparendo sul mercato i cosiddetti motori multi-fuel, ovvero in grado di funzionare normalmente con combustibili diversi, in miscela o anche puri.

 

Biodiesel, HVO e oli tal quali. La possibilità di alimentare il motore diesel con combustibili proveniente da fonti rinnovabili è ormai una realtà ampiamente affermata. Il biodiesel è ormai da tempo ammesso all’uso in forma integrale, ovvero al 100%, anche se la sua produzione può comportare problemi di sostenibilità. Più interessante allora è l’impiego di HVO che, pur essendo ottenuto comunque da scarti e sottoprodotti a base oleosa (v. box), è sottoposto ad un processo diverso. Se infatti il biodiesel è il risultato della transesterificazione di oli vegetali combinati con metanolo, l’HVO viene invece prodotto tramite idrotrattamento, con diversi vantaggi, soprattutto di natura microbiologica.

Salvo rari casi, i motori diesel attuali (ormai quasi tutti di tipo common-rail) non sono progettati per funzionare con olio vegetale puro, che rischierebbe di causare gravi danni, oltreché comportare la decadenza della garanzia. Il maggiore problema è rappresentato dalla viscosità notevolmente più alta dell’olio vegetale rispetto al gasolio, che si accentua con le basse temperature. Inoltre, il suo utilizzo rischia di danneggiare il sistema di iniezione, sia di creare notevoli incrostazioni di materiale incombusto sulle superfici interne di pistoni e cilindri. L’olio di semi più adatto ad alimentare motori diesel appositamente predisposti è quello di colza, per la sua minore viscosità rispetto ad altri oli, che rimane comunque nettamente superiore a quella del gasolio. è comunque possibile alimentare motori diesel, anche moderni, con olio vegetale, pur con necessarie modifiche, di lieve o media entità. I modelli a iniezione indiretta possono essere alimentati con percentuali importanti di olio in miscela (fino al 50%) con il gasolio, cambiando le candelette di preaccensione, gli iniettori e il circuito di riscaldamento dell'olio, che peraltro può essere usato puro fino a circa 10°C di temperatura ambientale e insieme al gasolio per temperature inferiori. Invece, per i motori ad iniezione diretta common rail, è necessaria l’installazione di un vero e proprio serbatoio secondario per il gasolio, con il quale si deve effettuare l’avviamento, il riscaldamento e lo spegnimento del motore, che a caldo può funzionare con il solo olio.

 

Biogas, metano e biometano. Interessati a questo gruppo di combustibili sono principalmente i motori endotermici a ciclo otto. Si tratta quindi di un filone relativamente nuovo per l’ambito agricolo, dominato come noto dal motore a ciclo diesel. L’alimentazione diretta a biogas è prerogativa affermata dei grandi propulsori CHP (Combined Heat and Power, per la generazione combinata di calore e potenza) che sono parte fondamentale dei gruppi elettrogeni accoppiati ai digestori anaerobici. Per poter gestire adeguatamente un combustibile piuttosto critico come il biogas tal quale, questi motori prevedono un funzionamento di tipo continuo (h 24/7, che evita quindi del tutto la problematica fase iniziale di riscaldamento), un regime di funzionamento costante a 1.500 giri/min circa per un rendimento ottimizzato, la dotazione di un turbocompressore a due stadi, una camera di pre-combustione spurgata in posizione centrale a bassa pressione e con energia di accensione della candela amplificata e infine un dosaggio gas a controllo elettronico di elevata precisione.

Molto meno critico nei motori a ciclo otto è l’impiego del metano, che in ambito agricolo ha origine proprio dal biogas adeguatamente depurato, per ottenere così il bio-metano, di recente diventato un combustibile interessante anche per l’azionamento dei trattori. A tale proposito, New Holland ha sviluppato e perfezionato il T6.180 Methane Power da 175 Cv, un modello che monta il motore NEF a 6 cilindri da 6.700 cm³ di cilindrata, appositamente messo a punto per le applicazioni agricole da FPT Industrial. In questo caso, le emissioni inquinanti globali sono più basse sino all’80% rispetto al diesel (e ridotte di ben il 98% per il solo particolato), mentre il post-trattamento dei gas di scarico si avvale di un semplice catalizzatore a 3 vie. Il trattore si distingue per il vistoso contenitore supplementare di combustibile collocato come una zavorra anteriore, che permette di aumentare la capacità di stoccaggio di 270 litri, oltre ai 185 litri del serbatoio principale.

 

Etanolo e bioetanolo. L’etanolo è un combustibile già da molto tempo adottato per autotrazione e altri impieghi di nicchia, come ad esempio su velivoli a motore da modellismo. La sua versione “bio”, ossia ottenuta da prodotti o, meglio, sottoprodotti e biomasse di origine agricola, è comunque di interesse per il mondo trattoristico. Già in passato sono state svolte sperimentazioni di alimentazione mista gasolio-etanolo, ma è recente il lancio da parte di John Deere di un motore prototipale da 9.000 cm³ di cilindrata, compatibile con alimentazione ad etanolo al 100%. Pur avendo un potere calorifico inferiore, il principale vantaggio è anche in questo caso una tangibile riduzione della produzione di particolato.

Kit dual-fuel. Seppur con modifiche piuttosto impegnative dell’impianto di alimentazione, molti motori diesel (sia con iniezione a controllo elettronico che meccanica) possono essere modificati con appositi kit “dual fuel”, in modo da funzionare anche con metano, GPL e altri biocombustibili ad essi assimilabili. I kit aggiuntivi comprendono un serbatoio dedicato, dal quale viene prelevato il gas che giunge al riduttore di pressione (da 250 a 1,5-2,5 bar per il metano e da 30 a 0,6-1,5 bar per il GPL), per passare poi agli iniettori che immettono il gas nel collettore di aspirazione. Nonostante queste modifiche, diversamente dai motori a ciclo otto, occorre comunque immettere ad ogni ciclo una piccola percentuale iniziale di gasolio, per innescare la combustione. Gli iniettori aggiuntivi di dosaggio del gas utilizzano una specifica centralina elettronica, che ne regola i tempi di apertura e chiusura, così come la quantità di combustibile alternativo, funzione della richiesta di potenza e di una serie di altri dati inerenti la combustione. Grazie a questi kit, le prestazioni del motore migliorano, con un incremento fino al 30% della potenza massima, del 10% della coppia massima e un abbattimento delle emissioni inquinanti tra il 20 e il 60%. Inoltre, l’aumento della temperatura di combustione comporta una minor frequenza delle routine di rigenerazione del filtro antiparticolato, sui motori che lo montano.


Attenzione alla sostenibilità

È evidente che ha poco senso ricaricare una batteria con energia elettrica proveniente da una centrale alimentata a carbone, mentre risulta molto più sostenibile se l’energia è prodotta da pannelli fotovoltaici. Quindi, per un’analisi corretta e globale della sostenibilità di produzione dei combustibili alternativi al gasolio, è necessario affrontare anche l’aspetto della o delle materie prime, se si pongono in competizione con l’approvvigionamento alimentare (umano o degli animali di allevamenti zootecnici) e/o con il consumo di suolo, che parimenti potrebbe essere destinato a coltivazioni maggiormente profittevoli per il consumo umano diretto.

Un esempio indicativo in questo senso riguarda la produzione di (bio)etanolo, che in Sudamerica, e in particolare in Brasile, da molti anni viene ricavato a partire dalla canna da zucchero, per essere destinato all’alimentazione dei motori a ciclo otto del parco veicoli nazionale. Tra l’altro questa attività è da tempo oggetto di notevoli polemiche, anche per gli eccessi di coltivazione, che comportano la deforestazione selvaggia dell’Amazzonia, ovvero il principale polmone del nostro pianeta.

Da qualche tempo, sono state messe a punto tecnologie che sono in grado di risolvere entrambi i problemi. Infatti, la cosiddetta produzione di “seconda generazione” di bioetanolo prevede lo sfruttamento di matrici ligno-cellulosiche (ricavate come sottoprodotto di altre lavorazioni): inizialmente destrutturate da parte di enzimi cellulosolitici per ottenere zuccheri semplici, esse vengono successivamente convertite in etanolo tramite fermentazione, previa distillazione per separarlo dalla lignina. Il residuo viene infine sottoposto a combustione in una caldaia, per consentire un’efficace integrazione energetica dell’intero processo.


L’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil)

Si tratta di una gamma di combustibili paraffinici, a basso contenuto di zolfo e idrocarburi aromatici, ottenuto da materie prime di scarto, ad es. olio da cucina, ma anche residui vegetali e oli ricavati da colture non in competizione con la filiera alimentare. L’HVO ha una densità inferiore di circa il 7%, ma un valore di cetano (che è indice della propensione all’autoaccensione) più elevato rispetto al gasolio. Derivato da materie prime simili a quelle utilizzate per il biodiesel, l’HVO viene però prodotto tramite idrotrattamento e non tramite transesterificazione, e quindi non è soggetto a crescita batterica, tipica del biodiesel. Rispetto al gasolio, esso ha un contenuto energetico inferiore di pochissimi punti percentuali, per cui i motori sono in grado di erogare una potenza del tutto simile. In compenso, la sua combustione comporta una significativa riduzione delle emissioni di particolato (PM), a fronte di variazioni trascurabili delle emissioni di NOx. In virtù di ciò, non sono necessarie particolari modifiche all’hardware o al software per alimentare i motori diesel di ultima generazione, a patto che l’impiego dell’HVO sia espressamente ammesso all’uso.

In Italia, ENI ha deciso di promuovere dall’1/10 al 31/12/2023 l’uso di questo combustibile per autotrazione, rendendolo disponibile in 50 stazioni di rifornimento (che aumenteranno nel prossimo futuro), ad un prezzo promozionale, di qualche centesimo inferiore a quello del gasolio tradizionale. Come prevedibile, anche in campo agricolo i costruttori di motori hanno accolto favorevolmente l’impiego di HVO. Tra le altre, si segnala ad esempio l’iniziativa di Claas, che dall’1/10/2023 ha dichiarato ufficialmente tutte le sue macchine semoventi abilitate all’uso dell’HVO; anche in questo caso a fini promozionali, tutti gli esemplari nuovi consegnati dopo tale data avranno il pieno di questo biocombustibile.



L’idrogeno

Per più di qualche addetto ai lavori sarebbe proprio questo il combustibile risolutivo, sebbene per il momento questo gas sembra restare sullo sfondo delle alternative al classico diesel alimentato a gasolio. La molecola dell’idrogeno ha una densità energetica molto alta, ma gli studi finalizzati al suo sfruttamento diretto come carburante in motori a ciclo otto non hanno fornito risultati particolarmente incoraggianti. Viceversa, si rivela la soluzione ideale per alimentare le celle a combustibile, dato che queste ultime accoppiate ad un motore elettrico garantiscono un’efficienza praticamente doppia rispetto all’impiego dell’idrogeno tal quale nei motori endotermici. Non bisogna però dimenticare che il vantaggio ambientale dell’uso dell’idrogeno è reale solo quando deriva da una produzione sostenibile, ad esempio la gassificazione di biomasse legnose, oppure la dissociazione elettrochimica dell’acqua (comunque rigorosamente effettuata con energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, e sfruttata nei periodi di surplus energetico). Purtroppo però tutti questi processi sono energeticamente molto più sfavorevoli rispetto alla produzione tramite celle a combustibile e successivo stoccaggio nelle batterie. Fendt ha scelto questa soluzione e, nell’ambito del progetto specifico H2 Agrar, sviluppato congiuntamente all’iniziativa Green H2 Hub-Haren in Bassa Sassonia, ha messo di recente a punto un modello da frutteto-vigneto equipaggiato con celle a combustibile che ricaricano un pacco batterie destinate ad azionare elettricamente il trattore.



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