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Tecnica

Acciai speciali per la costruzione delle macchine agricole

Le parti metalliche delle attrezzature agricole devono avere caratteristiche prestazionali a volte assai diverse, e per certi versi contrastanti tra loro. L'accurata scelta di acciai speciali e alto resistenziali permette di conciliare efficacemente le varie esigenze

di Domenico Pessina
marzo - aprile 2019 | Back

è ampiamente noto che il terreno agrario è un insieme estremamente disomogeneo, non solo per ciò che concerne le componenti organiche e inorganiche, ma anche per le condizioni con le quali si caratterizza in relazione alla sua lavorazione, più o meno profonda. Oltre alla tessitura, alla presenza di scheletro e al contenuto di sostanza organica, un terreno sottoposto a lavorazione può variare notevolmente in termini di umidità, grado di compattamento, quantità di residui colturali in superficie, ecc.

Questa ampia variabilità si riflette inevitabilmente sulla sua lavorabilità: in tale ottica, la definizione di “terreno in tempera” indica una condizione ideale per il dissodamento e l’affinamento dello strato lavorato. Pur in questo contesto ottimale (che peraltro non sempre si verifica), le numerose attrezzature che operano in tal senso vanno incontro a fenomeni di attrito più o meno intenso: non solo quelle che lavorano in modo passivo per strisciamento, come ad esempio tipicamente l’aratro o il ripuntatore, ma anche quelle dotate di movimento attivo, spesso di tipo circolare, come è il caso degli erpici rotanti e delle zappatrici. Non mancano infine attrezzature che si collocano in una posizione intermedia rispetto a questi due estremi, come i coltivatori e le vangatrici.

Comunque sia, gli organi lavoranti sono costantemente sottoposti ad un’intensa usura e a sollecitazioni dinamiche (urti, trazioni, torsioni, sforzi di taglio), provocate nel primo caso soprattutto dalle componenti maggiormente abrasive del suolo (tipicamente la sabbia) e nel secondo da sassi, pietre (ovvero la parte più grossolana dello scheletro) e da radici e altre parti vegetali legnose eventualmente già incorporate o da incorporare nello strato lavorato.

Pertanto, gli acciai, ed eventualmente altri materiali alternativi o aggiuntivi con cui sono fabbricati gli organi lavoranti, non possono certo essere di tipo comune, ma devono possedere caratteristiche specifiche, che talvolta sembrano apparentemente in contrasto tra di loro: non è semplice, infatti, far convivere in un unico materiale spiccate doti di durezza, tenacità, resistenza all’usura e alla corrosione, e contestualmente elasticità, duttilità, facilità di lavorazione.

Quella che segue è una breve (e senza dubbio assai incompleta) carrellata sulle evoluzioni più recenti dei materiali adottati per la costruzione degli organi di alcune macchine per la lavorazione del terreno e, più in generale, per la gestione dei prodotti di origine agricola.

 

L’acciaio Hardox (e i suoi “fratelli”)

Brevettato come marchio commerciale dall’acciaieria svedese SSAB, la lamiera Hardox fa parte di una numerosa famiglia di acciai alto resistenziali, che si distingue per le sue spiccate caratteristiche antiusura, unite a doti di durezza e tenacità, con valori tipici di carico di snervamento e di rottura di livello estremamente alto, che permettono alla struttura in Hardox di mantenere la propria conformazione originaria senza subire deformazioni permanenti anche dopo notevoli sollecitazioni dinamiche.

Inoltre, l’elevata tenacità consente alla lamiera di essere piegata, sagomata e saldata senza che si inneschino cricche. Anche nell’estrema eventualità della creazione di una cricca localizzata (ad esempio a causa di un urto con una grossa pietra), nell’acciaio Hardox non viene generata una propagazione .

Non solo Hardox, ma anche Strenx, Domex, Boron… Oggi l’acciaio è prodotto in numerosissime varianti, tali da rispondere alle differenti esigenze in termini di sollecitazioni strutturali e durata nell’uso: è proprio ciò che necessita alle macchine agricole, dove condizioni ambientali e di lavoro creano un mix quanto mai difficile da affrontare al meglio.

Lo Strenx è un acciaio con carichi di snervamento estremamente elevati, tra 600 e 1300 MPa, idoneo quindi per poter realizzare macchine agricole con un peso ridotto fino al 40%, a parità di resistenza ai carichi. Il Domex comprende invece una vasta gamma di acciai strutturali che, grazie alla struttura a grana fine si rivela particolarmente adatto per la formatura a freddo, la lavorazione e la saldatura. Sono disponibili anche versioni anti-corrosione, con rivestimento zincato, galfan e galvannealed. La zincatura a caldo con spessori sino a 42 μmillesimi di millimetro su entrambi i lati può garantire una durata particolarmente lunga. In particolare, il Domex galvannealed è caratterizzato da un rivestimento in lega di zinco-ferro da 6-10 millesimi di millimetro, ideale per saldatura a punti e applicazioni di verniciatura di alta qualità.

Grazie alla sua microstruttura a grana fine e all’assenza di elementi inquinanti, il Boron è stato messo a punto per ridurre al minimo il rischio di microfessurazione nelle lavorazioni critiche, quali punzonatura, tranciatura, stampaggio. La sua composizione chimica permette una tempra accurata (in olio o in una soluzione di acqua e polimeri, in quest’ultimo caso con ulteriori vantaggi ambientali), con durezza e tenacità localizzate nelle  aree più importanti del prodotto finale.

Sono pertanto numerose le macchine agricole che beneficiano dell’uso di questi acciai altoresistenziali: aratri, coltivatori, erpici rotanti, trinciatrici, rimorchi, irroratrici… Anzi, ad ogni parte e/o componente  della macchina compete il suo acciaio, a seconda che debbano essere privilegiate caratteristiche di resistenza ai carichi statici o dinamici, all’usura o alla corrosione oppure ancora di leggerezza.

 

Il carburo di tungsteno

Il tungsteno fu separato come elemento chimico per la prima volta nel 1781 dallo svedese C.W. Scheele, che lo ricavò dalla wolframite; il suo nome, “tung sten”, in svedese significa “pietra pesante”, a sottolineare la sua massa volumica molto elevata (ben 19 volte quella dell’acqua).

Nel 1926 le acciaierie tedesche Krupp idearono il processo di miscelazione con il carbonio, ottenendo una lega particolarmente dura, il carburo di tunsgteno, da loro definito “Widia” (dal tedesco “wie diamant”, ovvero “come il diamante”), che ancora oggi è un marchio commerciale.

La carburizzazione del tungsteno prevede l’impiego di grafite, anidride carbonica o metano come fonti di carbonio, in un ambiente con temperature che variano tra 400 e 2000 °C. Si ottiene inizialmente una polvere, che con aggiunta di cobalto come legante fonde a 1200-1600 °C (è la cosiddetta “sinterizzazione”), e solidificando elimina le porosità del materiale.

Il punto di fusione molto alto del carburo di tungsteno (quasi 2900 °C!) e l’elevata durezza superficiale ne fanno il materiale ideale per gli utensili, perché mostra un’altissima resistenza all’abrasione e alle temperature elevate, consentendo quindi di lavorare a velocità più alte, con un tagliente che mantiene la sua efficacia molto più a lungo rispetto ai tradizionali utensili in acciaio legato e temprato.

Da tempo ampiamente diffuso nel settore della costruzione delle infrastrutture di trasporto, ad esempio per le fresature stradali, la costruzione di tunnel e numerosi altri lavori di ingegneria civile, più di recente ha riscosso un crescente successo come soluzione per aumentare le prestazioni in  termini di affidabilità e durata degli organi lavoranti di talune macchine agricole, in particolare quelle per la lavorazione del terreno e, più in generale, dove risulta comunque importante l’attrito con il prodotto da trattare.

Il processo di realizzazione delle placchette comunemente applicate agli organi lavoranti delle attrezzature agricole richiede un controllo molto preciso di ogni fase della produzione.

Dopo la sinterizzazione, sono eseguiti diversi passaggi di formatura per compressione, ad ottenere le placchette che saranno collocate per brasatura nella loro collocazione finale, talvolta con un trattamento termico dell’intero organo lavorante a 800°C, per una miglior omogeneità strutturale del pezzo.   Oltre all’applicazione di placchette nelle zone più opportune, sempre più spesso si preferisce rivestire di carburo di tungsteno l’intero organo lavorante: è il caso ad esempio dei coltelli delle frese dei carri trincia-miscelatori, delle palette per gli spandiconcime e dei raschietti per i rulli degli erpici rotanti. Oltre ad aumentare la durezza superficiale, il rivestimento abbassa il coefficiente di attrito e migliora la resistenza alle alte temperature.

 

Non solo acciaio

La ricerca della miglior resistenza all’usura nella lavorazione del terreno agrario già da tempo è stata orientata anche verso materiali non metallici, alternativi all’acciaio. Le materie plastiche possono costituire in determinati casi una valida alternativa, come ad esempio nella costruzione degli avanvomeri e dei versoi degli aratri, dove lo sviluppo tecnologico ha riguardato la riduzione degli attriti tra l’attrezzo e il terreno, con il fine di diminuire la forza di trazione richiesta per dissodare il suolo.

Tra le varie soluzioni, quelle che hanno riscosso un certo successo riguardano il rivestimento della superficie di scorrimento del versoio dell’aratro con Teflon, oppure in alternativa la fabbricazione dell’intero versoio in polietilene, spes­so sostenuto da uno scheletro rin­forzato in acciaio.

Nello specifico, già cinquant’anni fa l’austriaca Röchling Leripa Papertech ha sviluppato il Robalon, un materiale sinterizzato in polietilene ad altissima densità molecolare (UHMW-PE), combinato con bisolfuro di molibdeno, leganti e stabilizzanti UV.

A fronte di una massa volumica molto bassa in confronto a quella di qualsiasi metallo (0,93 kg/dm³), la sinterizzazione garantisce una struttura interna priva di tensioni e con elevata resistenza agli urti. Rispetto alle realizzazioni metalliche tradizionali, questo materiale plastico presenta un attrito ridotto e quindi minor usura, una bassa adesione sulla superficie a contatto con il terreno e, ovviamente, un peso inferiore (fino al 60% in meno), a parità di resistenza dinamica.

Non solo versoi per aratri: nell’ambito agricolo, il Robalon è sfruttato con successo per numerose altre applicazioni, come deflettori per rulli frangizolle, piastre di appoggio e scorrimento per testate, denti per dischi di falciatrici rotanti, ecc.

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