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Bioenergia

Biometano, un settore emergente

Oggi in Italia ci sono tutti i presupposti per ridurre sensibilmente l'importazione dall'estero di gas naturale di origine fossile. La produzione di biometano da matrici organiche residuali di provenienza agricola e colture d'integrazione si prospetta come un'opportunità da cogliere per contenere le "emissioni climalteranti", creare nuovi posti di lavoro e favorire la crescita e l'innovazione in ambito agricolo ed industriale

di Matteo Monni
marzo - aprile 2015 | Back

Tra tutti Paesi europei l’Italia è quello che registra la maggior dipendenza dal gas naturale per i consumi primari di energia (circa il 40%), destinando la quota più importante alla produzione di calore (residenziale e industriale) poi elettricità e autotrazione. Per aver accesso a tale fonte fossile si ricorre quasi interamente (90%) alle importazioni dall’estero, con le note criticità dovute all’assenza di certezze sulla continuità delle forniture e la stabilità dei prezzi visto il complesso quadro geopolitico dei principali fornitori (Russia, Algeria, Libia).

Nel 2013 i consumi di gas si sono attestati sui 70 miliardi di metri cubi (mc), mostrando un netto calo rispetto agli anni precedenti, per effetto della crisi economica e della crescita delle rinnovabili. Tuttavia, secondo previsioni attendibili, riprese anche dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN), il fabbisogno annuo di gas dei prossimi cinque anni non si dovrebbe discostare in modo sensibile da valori compresi tra i 69-73 miliardi di metri cubi.

La SEN, nell’affrontare la questione della “produzione sostenibile di idrocarburi nazionali”, mostra un approccio allo sviluppo energetico italiano molto ispirato all’uso delle fonti fossili e che andrebbe riconsiderato meglio proprio in relazione ai chiari segnali di crescita delle FER, a cui contribuiscono – in modo determinante per quel che riguarda la sostituzione dei combustibili tradizionali e inquinanti nei settori del riscaldamento e dei trasporti – le bioenergie.

Proprio in relazione alla possibile sostituzione del gas naturale con un prodotto rinnovabile, una valida soluzione è data dallo sviluppo del biometano, che si ottiene dal biogas separandone il contenuto in metano dall’anidride carbonica e altri componenti con diverse tecnologie e soluzioni adatte a impianti di ogni dimensione, ampiamente disponibili in commercio. Nel nostro Paese, il biometano ricavabile da biomasse residuali e/o colture dedicate (rinnovabili e locali) potrebbe arrivare, secondo stime realistiche, a sostituire circa il 10% del gas naturale oggi utilizzato. Si parla infatti di un potenziale di biometano producibile annualmente prossimo a 8 miliardi di metri cubi.

Tali valori forniscono degli ordini di grandezza estremamente interessanti e, seppure solo orientativi, dovrebbero stimolare una serie di verifiche volte a definire con maggior certezza i quantitativi in gioco e le ricadute economiche producibili, come suggerito anche dal Piano di settore per le Bioenergie del MiPAAF.

Le opportunità offerte dalla filiera biogas sono state pienamente colte da un gran numero di aziende agricole italiane che hanno, negli ultimi 4 anni, investito oltre 3 miliardi di euro nella realizzazione di impianti a carattere prettamente aziendale. Oggi in Italia esistono circa 1.300 realizzazioni di questo tipo per una potenza elettrica complessiva prossima ai 1.000 MW, che – per rendere l’idea – corrispondono per capacità produttiva ad una moderna centrale nucleare. Fa un certo effetto pensare che in questo modo, a valle della produzione energetica, invece di dover smaltire le scorie radioattive si possa valorizzare lo scarto della digestione anaerobica (digestato) come una preziosa risorsa da restituire al terreno per ripristinarne la fertilità.       

Da più di un anno, grazie al decreto (5 dicembre 2013) che stabilisce i criteri e gli incentivi per l’immissione del biometano nella rete del gas naturale, la filiera del biogas ha la possibilità di aggiungere un ulteriore anello al proprio ciclo produttivo estendendone gli sbocchi di mercato verso la produzione di questo promettente vettore energetico.

Infatti il biometano, dopo la rimozione della CO2 dal biogas (upgrading) è costituito per il 95 - 98% da metano, quindi essendo chimicamente analogo al gas naturale, può essere immesso nella rete di distribuzione. La destinazione finale del biometano può essere quindi l’utenza domestica, la cogenerazione in impianti centralizzati (ove il calore prodotto possa essere usato in maniera più efficiente), le stazioni di rifornimento di carburante per veicoli a metano.

Questa ultima opzione si adatta molto bene ad alcune caratteristiche strutturali del nostro Paese come l’estesa e capillare rete di distribuzione del metano (oltre 32.000 km di metanodotti e circa 1.000 stazioni di servizio), l’imponente parco di veicoli con esso alimentati (circa 860.000 unità pari all’80% del totale europeo e il 5% a livello mondiale) a cui si va ad aggiungere l’esistenza dei numerosi e già menzionati sistemi tecnologici adattabili alla produzione del biometano.   

Inoltre si rammenta che, nell’ottobre del 2014, il Mise ha pubblicato il primo decreto in Europa sui biocarburanti avanzati, uno strumento normativo con cui si determinano le quantità annue di biocarburanti da immettere obbligatoriamente in consumo dal 2015 fino al 2022. Tale decreto introduce, a partire dal 2018, l’obbligo specifico di utilizzo di biocarburanti avanzati, ottenuti esclusivamente da materie prime che non entrino in competizione con la produzione di alimenti.

Ai fini della verifica dell’assolvimento dell’obbligo di immissione in consumo sono contabilizzati i quantitativi di biocarburanti miscelati con benzine e gasoli destinati al mercato nazionale dei trasporti, tra cui il biometano.

Vista la densità energetica relativamente bassa delle biomasse metanigene, che vincolano il loro trasporto a brevissime distanze, la produzione di biogas - biometano costituisce una delle filiere bioenergetiche che meglio si integra alle aziende agricole potendo fare affidamento su infrastrutture, macchinari e matrici prevalentemente locali.

Tutto questo può stimolare la crescita di un’industria italiana fornitrice delle relative tecnologie orientata alla green economy in grado di creare nuovi posti di lavoro e favorire la crescita del PIL, sia in ambito rurale, sia industriale. 

Per esempio l’effetto sul reddito agricolo riferibile alle sole biomasse di integrazione genererebbe un incremento della PLV agricola stimata per oltre 2 miliardi di euro/anno pari a circa il 5% del PIL agricolo attuale. Inoltre se si volessero considerare i risparmi determinati dalla riduzione dei costi di fertilizzazione e di smaltimento degli effluenti zootecnici i benefici economici per le aziende agricole sarebbero ancora maggiori.

Nell’eventualità di una produzione annua di 8 miliardi di m3 di biometano made in Italy il nostro Paese potrebbe risparmiare circa 5 miliardi di euro all’anno per la riduzione delle importazioni di gas naturale e biocarburanti.

Infine un aspetto che non va tralasciato riguarda le opportunità di crescita e innovazione del settore della motorizzazione a metano e della meccanizzazione agricola, che dallo sviluppo del biometano sta prendendo validi spunti per importanti progetti industriali (es. il trattore a biometano della New Holland - Il T6.140 Methane Power) mantenendo anche nella produzione di tecnologie e componentistica quella leadership che caratterizza il settore nel nostro Paese.

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