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Giardinaggio

Creazione e manutenzione del verde in condizioni estreme

I terreni declivi, le scarpate, così come i tetti e le parateti degli edifici urbani possono essere oggetto di coperture vegetali a scopo decorativo e funzionale. Le tecniche di realizzazione delle coperture vegetali sono oggi molto variegate dovendosi adattare ad esigenze diverse. Vasta la gamma di substrati, strutture di sostegno, sistemi di semina e manutenzione

di Pietro Piccarolo
novembre 2017 | Back

Le condizioni estreme nelle quali creare il verde, trattate in questo articolo, riguardano due realtà per le quali le finalità essenziali sono diverse. La prima fa riferimento ai terreni declivi, quali le scarpate stradali, i pendii montani, i bordi fluviali, dove l’obiettivo primo è quello di ridurre l’erosione e di consolidare il terreno. La seconda realtà considerata è quella urbana, di cui vengono contemplati il verde verticale e i giardini pensili. In questo caso lo scopo principe è quello di aumentare il verde urbano, migliorare la qualità dell’aria e il confort delle abitazioni. Naturalmente la creazione del verde in queste due realtà estreme consente anche il raggiungimento di obiettivi comuni quali il sostegno all’ecosostenibilità e alla biodiversità. Il verde sui pendii e in ambiente montano Per creare il verde sui pendii sempre più si ricorre all’ingegneria naturalistica, cioè all’insieme di quelle tecniche, da impiegare singolarmente o anche in modo combinato, tese a ridurre l’erosione e a consolidare il suolo senza ricorrere a opere di cementificazione. Tecniche cioè che prevedono l’utilizzo di elementi naturali, quali il legno, il terreno, il pietrame, come pure l’utilizzo di materiali artificiali biodegradabili, o di reti non biodegradabili. Particolare attenzione deve essere riservata al tipo di vegetazione da installare in quanto è necessario tenere conto di alcuni principi generali, quali il rispetto dell’ecosistema dell’area interessata e il fatto che il livello di manutenzione deve essere necessariamente basso. L’area interessata può essere una sponda fluviale o lacustre, una scarpata stradale o ferroviaria, un versante franoso, una pista da sci o anche un’area montana percorsa da incendio. Condizioni quindi molto diverse influenzate dal clima, dall’esposizione, dal livello di pendenza, dal tipo di suolo, ecc. Nella scelta delle piante da installare, occorre considerare anzitutto la flora autoctona e verificare se questa è disponibile sul mercato. La formulazione delle miscele floristiche richiede infatti il rilievo ripetuto delle principali associazioni vegetali presenti lungo l’intera zona in cui è compreso il sito di intervento. La preferenza va data a piante cosiddette “pioniere” cioè capaci di colonizzare il territorio; piante con specifiche caratteristiche biotecniche quali: l’apparato radicale in grado di trattenere il terreno, la bassa esigenza di acqua e di fertilizzanti, l’adattamento alle specifiche condizioni pedologiche e climatiche. Questo in quanto occorre coniugare la riduzione dell’erosione e il consolidamento del suolo, con la necessità di attuare la ricucitura tra il sito di intervento e il paesaggio naturale circostante in modo da preservare l’ecosistema. Limitandosi agli interventi di rigenerazione e di installazione di una cotica erbosa, le tecniche che possono essere adottate riguardano l’impiego: di rotoli di tappeto erboso, di biostuoie preseminate, dell’idrosemina. Il prato in rotoli rappresenta un intervento a pronto effetto, attuato su pendii con basso livello di pendenza. I rotoli di tappeto erboso vengono srotolati dall’alto verso il basso ricorrendo, nei tratti di maggior pendenza, all’impiego di picchetti per meglio fissarli al terreno. Il substrato deve comunque essere prima ricoperto con uno strato di terreno vegetale sia pure di ridotto spessore. Dopo la posa occorre effettuare un intervento di rullatura per favorirne l’adesione al suolo. Non molto diversa è la tecnica delle biostuoie prese minate. Il terreno, come per il prato in rotoli, viene subito protetto dall’azione erosiva e, sia i semi e sia i fertilizzanti, non vengono esposti al dilavamento. Si tratta di materiale flessibile di facile applicazione, che va fatto bene aderire al terreno. Dopo la messa in opera, è necessario effettuare l’irrigazione per favorire la nascita dell’erba mentre nel tempo, attraverso il processo di degradazione delle biostuoie, vi sarà una cessione di elementi fertilizzanti. L’idrosemina è una tecnica di ingegneria naturalistica con la quale si utilizza l’acqua per distribuire sulle superfici da rivegetare le sementi idonee, oltre ad altri elementi miscelati nell’acqua. Per favorire l’insediamento e la crescita del tappeto, si può ricorrere a sementi ricoperte da una pellicola che consente l‘incorporamento di biostimolanti e di micorrize. Le tecniche impiegate possono essere così riassunte: idrosemina classica, idrosemina su rete di juta, idrosemina con mulching, idrosemina potenziata a spessore, idrosemina con matrice di fibre legate, idrosemina su terre rinforzate/armate. L’idrosemina classica si applica quando non vi sono problemi particolari, quali l’eccessiva pendenza e la struttura del suolo inadeguata. La miscela da distribuire è costituita da acqua (80-85%), miscela di semi (4-5%), fertilizzanti (5- 10%), fibra di cellulosa (2-4%), collanti (1-2%). Il ricorso alla rete di juta serve per consolidare le scarpate su terreni con maggiore pendenza e a forte rischio di erosione. La rete deve essere fissata con almeno un picchetto ogni 3 m2. L’idrosemina con mulching rappresenta il sistema concepito per versanti particolarmente inclinati con condizioni di substrato critiche. Rispetto all’idrosemina classica si ricorre a un maggior dosaggio della miscela di semi e all’erogazione, oltre che dei collanti e dei fertilizzanti, anche di fibre vegetali in miscela con cellulosa (30- 50 g/m2) e ammendanti organici (150-250 g/m2). L’operazione si attua in due passate: nella prima si eroga la miscela di semi, fertilizzanti e collanti in dose del 70% circa del totale; nella seconda si distribuisce il restante 30% con l’aggiunta, nella miscela, del mulch di fibra vegetale, cellulosa e ammendante che ricoprirà i semi proteggendoli dal dilavamento, oltre che favorirne la germinazione. Nella semina a spessore, in aggiunta al mulching prima descritto, si aumenta la dose dell’ammendante organico (350-450 g/m2). Sono necessari due o più passaggi. L’idrosemina con matrice di fibre legate è una variante di quella con mulching, con la quale la miscela tra fibre vegetali di varia natura, con fibre sintetiche biodegradabili e collanti viene distribuita insieme al miscuglio di semi e ammendanti organici. Questa miscela ha un’alta capacità di ritenzione idrica ed è in grado di fissarsi al terreno mantenendosi per oltre un anno. L’idrosemina su terre rinforzate con armature investe superfici con pendenza molto elevata, che richiedono anzitutto un’armatura di protezione del suolo. L’intervento si fa in due o più passate, distribuendo una miscela simile a quella prima descritta. Le macchine per l’idrosemina spesso sono montate su slitta al fine di consentire il facile trasporto con mezzi diversi a seconda delle dimensioni e cioè mezzi costituiti da fuoristrada, transporter, camioncini, rimorchi, trattori, ecc. I componenti della macchina sono: serbatoio in acciaio inox o in polietilene. La capacità va da 500 a 4000 litri e anche oltre; l’omogeneità della miscela è mantenuta da uno o più agitatori meccanici, o dal ricircolo interno della miscela o da entrambi i sistemi; motore a benzina o diesel con potenza da 5 a 40 kW per l’azionamento della pompa. In alternativa la pompa può essere azionata tramite giunto cardanico di una presa di potenza del trattore o di un transporter; pompa centrifuga autoadescante con portata da 100 a 1000 l/min.; manichetta di erogazione lunga diversi metri che termina con una lancia. In alternativa, distributore girevole tipo cannoncino antiincendio. L’apertura per il caricamento del serbatoio è dotata di griglia che risulta utile per completare la frantumazione del materiale in fase di riempimento. Il miscelatore meccanico è normalmente a pale variabili collegate con sistema idraulico che consente di variare il regime di rotazione e di invertire il senso in modo da ottimizzare la miscelazione. La pompa ha una pressione massima di 6 bar e consente il passaggio di corpi solidi fino a 2 cm. La gittata può raggiungere i 30-50 m. Si ricorre anche alla idrosemina con elicotteri per inerbire o rivegetare (ad esempio dopo incendi) zone montane di difficile accesso. L’intervento è giustificato su superfici non inferiori a 5.000 m2, anche se l’ottimo è valutato intorno ai 100.000 m2, che rappresenta in condizioni normali (bassa variabilità delle aree da trattare) la superficie dominabile in un giorno dall’intero cantiere di lavoro. Il limite è rappresentato dall’alto costo del cantiere che richiede un’organizzazione abbastanza complessa basata sulla corretta scelta della zona di caricamento del serbatoio portato dall’elicottero (600-800 litri di capacità). La manutenzione del verde installato sui pendii, indipendentemente dalla tecnica di installazione, è ridotta al minimo e consiste essenzialmente nel taglio dell’erba. Può essere eseguito con bracci snodati montati su trattori e dotati di apparato di taglio del tipo a flagelli. Possono essere impiegati anche rasaerba robotizzati o radiocomandati, con baricentro basso. Su superfici ridotte vengono anche utilizzati rasaerba a cuscino d’aria fatti scendere dall’alto verso il basso con corde.  Il verde estremo in ambiente urbano Il verde urbano, come è noto, non ha solo funzioni estetiche e ornamentali, ma anche, e sempre più, la funzione di ridurre l’inquinamento ambientale da polveri sottili ed anche di ridurre quello acustico ed elettromagnetico, nonché di migliorare il clima e il microclima delle città. Riduce inoltre i picchi di corrivazione dell’acqua durante le piogge divenute sempre più violente. Il ricorso al verde dei giardini pensili, dei tetti verdi e del verde verticale, oltre ad accrescere i suddetti vantaggi, conferisce ai fabbricati un migliore isolamento termico consentendo così un risparmio energetico sia nei mesi estivi e sia nei mesi invernali. Non va poi trascurata la funzione di protezione acustica ed elettromagnetica. Grazie a tutti questi vantaggi, l’edificio assume un maggior valore di mercato. Si può quindi parlare di benefici di carattere bioclimatico, estetico, naturalistico e anche economico, derivanti da interventi e opere realizzate nel rispetto della legislazione edilizia nazionale e comunitaria. Il verde pensile riguarda le coperture piane degli edifici, i tetti, le terrazze e le zone calpestabili esterne. I giardini pensili non sono certo una novità. Basta pensare ai giardini pensili di Babilionia, una delle sette meraviglie del mondo antico, e a quelli delle ville degli antichi Romani. Arrivando alla modernità, l’impulso alla creazione del verde pensile risale alla metà del secolo scorso a seguito dello sviluppo di un’urbanizzazione selvaggia poco rispettosa della natura. Per questo, e a seguito del ripetersi di piogge intense, definite anche come “bombe d’acqua”, il verde pensile viene anche visto come elemento che contribuisce a regolare il deflusso dell’acqua piovana. I tetti rappresentano il 15-35% della superficie totale di una città per cui la vegetalizzazione di queste superfici costituisce una soluzione tampone che attenua l’effetto delle piogge violente concentrate in brevi periodi. Nella realizzazione di un giardino pensile è fondamentale attuare una buona impermeabilizzazione del solaio per evitare le infiltrazioni d’acqua e dell’ap parato radicale delle piante. Si impiegano materiali elastici resistenti e impermeabili (normalmente in PVC), con il ricorso ad accurate tecniche di giunzione, di saldatura e di sigillatura. La realizzazione viene eseguita con una sovrapposizione di strati. Lo strato “antiradice”, nel quale vengono anche mescolati prodotti in grado di bloccare lo sviluppo radicale, è il primo ad essere steso. Segue lo strato “drenante” che consente oltre al drenaggio dell’acqua, in senso orizzontale e verticale, anche l’aerazione dello stesso. Si sovrappone poi il telo “filtrante” che ha una funzione protettiva di quello sottostante. In superficie viene infine collocato un substrato idoneo, per spessore e composizione, alla vegetazione da impiantare e cioè, oltre alle piante erbacee, anche arbusti e piccoli alberi (altezza minore di 8-10 metri). I giardini pensili con inverdimento intensivo, sono caratterizzati da specie vegetali differenti e diversificate anche nello sviluppo. Da esse dipende lo spessore del substrato, che può superare i 100 cm di profondità con conseguenti valori di carico anche molto elevati (oltre 150 kg/m2). In fase di progetto, quindi, questi valori devono essere analizzati con grande attenzione per verificare l’adeguatezza del solaio attraverso la verifica dei requisisti statici dell’edificio. La manutenzione deve essere attenta, non solo per le operazioni di rasatura del tappeto erboso e di potatura degli arbusti e degli alberi, ma anche per quanto attiene l’irrigazione e la fertilizzazione che devono essere particolarmente accurate. Il sistema più frequente è quello della fertirrigazione che può essere attuato a pioggia, o a goccia, o anche attraverso la subirrigazione, impiegando specifici impianti. La scelta fra queste soluzioni è legata al tipo di vegetazione. Il controllo della vegetazione e degli impianti può avvenire anche in remoto, grazie ad apposite sonde messe in fase di realizzazione della struttura. Nei giardini pensili con inverdimento semintensivo e estensivo, lo spessore del substrato è dell’ordine dei 5-15 cm, e il carico è inferiore ai 115 kg al m2. Va fatto salvo l’aspetto dell’impermeabilizzazione, mentre la vegetazione deve avere basse esigenze idriche, nutrizionali e anche manutentive. Questa soluzione si presta bene per le superfici inclinate. Infatti anche sui tetti inclinati può essere attuata la copertura a verde. In questo caso si parla di tetti verdi. L’inclinazione del tetto non può però superare i 30° e, per essi, occorre prevedere lo smaltimento dell’acqua piovana, oltre la realizzazione di parapetti quando l’inclinazione supera i 20°. Il verde verticale o giardino verticale outdoor è costituito da una parete, realizzata con particolari strutture, che viene coltivata con piante specifiche. Non rientrano quindi le pareti di edifici ricoperte da rampicanti. In un giardino verticale possono essere coltivate diverse specie di piante, anche con fioriture, ma di dimensioni contenute (altezza inferiore ai 25-30 cm), generalmente perenni e sempreverdi, per ridurre gli interventi di sostituzione e avere la vegetazione anche nei mesi invernali. Vengono inoltre preferite le specie con basse esigenze idriche e nutrizionali. Esistono diverse soluzioni costruttive che si sono sviluppate nel corso degli ultimi 20-25 anni, tutte basate su strutture portanti o autoportanti, su cui vengono montati i sistemi nei quali impiantare la vegetazione. I muri vegetali di Patrick Blanc, botanico parigino, sono tra i più noti anche perché sono stati realizzati su edifici di grande prestigio, come il Caixa Forum e il Museo d’Arte Contemporanea di Madrid. L’installazione consiste in una struttura metallica portante che può essere sia appoggiata alla parete, sia autoportante. Lo spazio tra la struttura e la parete costituisce una camera d’aria che funge da isolamento termico e acustico. La struttura è rivestita da un telo in PVC in modo da renderla impermeabile, a cui si sovrappone uno strato in cartonfeltro sul quale vengono collocate le piante. Non vi è presenza di terreno e la densità delle piante è molto alta, circa 30 piante per m2. Si tratta di un sistema che ha alte esigenze manutentive, specie in termini di irrigazione e fertilizzazione; operazioni attuate in modo automatico e anche in remoto. Un’altra soluzione diffusa di giardino verticale è rappresentata da quella denominata Wonderwall. Anche questa si compone di una struttura portante, rappresentata da una rete elettrosaldata in acciaio, ancorata all’edificio, rivestita da un pannello isolante nella parte interna, e da un pannello di plastica ricoperto in feltro nella parte esterna, sul quale vengono inserite le piante in contenitori. Il sistema di fertirrigazione è automatizzato. Per questi muri verdi può essere attuata l’installazione di un impianto di illuminazione artificiale, quando le condizioni di luce non sono sufficienti per la vegetazione, o anche per ottenere un effetto scenografico particolare nelle ore notturne. In ogni caso questi muri vegetali sono forniti completi di vegetazione oltre che della tecnologia di coltivazione e controllo. 

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