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Tecnica

Evoluzione tecnica delle irroratrici

Il consumo di prodotti fitosanitari, nel nostro Paese, è ancora molto consistente e comporta problemi d'impatto ambientale. Disporre di macchine che consentano di effettuare un'accurata regolazione in relazione ai due elementi principalmente coinvolti nella genesi della deriva, vale a dire l'acqua e l'aria, è dunque necessario. L'industria della meccanizzazione è oggi in grado di offrire soluzioni per i trattamenti sempre più efficienti ed eco-compatibili

di Cristiana Baldoin
Luglio - Settembre 2014 | Back

Secondo dati rilevati dall’Istituto superiore della Sanità (ISTISAN) nel 2011, il consumo annuo di prodotti fitosanitari in Italia ammonta a circa 140.000 tonnellate, che comprendono circa 350 sostanze diverse; di queste, circa i due terzi sono fungicidi (circa 87.000 tonnellate), il rimanente è diviso tra erbicidi (circa 15.000), insetticidi e acaricidi (circa 18.000) e sostanze diverse (circa 20.000).

Si tratta di cifre davvero elevate, tali da far ritenere che quantità rilevanti di sostanze pericolose possono essere disperse nell’ambiente se la distribuzione non è effettuata correttamente. Ne consegue l’assoluta necessità di disporre di macchine irroratrici efficienti e correttamente regolate.

 

La situazione

L’obiettivo principale della razionalizzazione della distribuzione dei prodotti fitosanitari è ottenere una erogazione il più possibile indirizzata verso il bersaglio da trattare, minimizzando le dispersioni nell’ambiente che prendono, come noto, il nome di deriva. I meccanismi che danno origine al fenomeno della deriva dipendono dal tipo di irrorazione. Nei trattamenti su colture erbacee effettuati con irroratrici a barra, per effetto della velocità di avanzamento le gocce che fuoriescono dagli ugelli formano una scia che tende a galleggiare in aria per un certo periodo, variabile a seconda delle condizioni; tale scia forma la cosiddetta “deriva potenziale”, che diventa effettiva nel momento in cui la componente trasversale del vento ne determina la traslazione oltre la fascia trattata. Nel caso dell’irrorazione di frutteti e vigneti, si ha una distribuzione “dal basso” in cui parte dello spray, trasportato dalla corrente d’aria generata dall’irroratrice, oltrepassa la coltura e viene dispersa nell’ambiente. Sotto l’aspetto dell’efficienza dei trattamenti, la situazione attuale è ancora critica, soprattutto nel caso dell’irrorazione delle colture frutticole e della vite: la quota di miscela erogata dagli atomizzatori tradizionali che viene effettivamente utilizzata dalla coltura raramente supera il 50%, mentre non è infrequente assistere a dispersioni nell’ambiente che superano l’80%. Tale frazione dispersa, per deriva e gocciolamento, inevitabilmente finisce per danneggiare colture sensibili e contaminare l’ambiente circostante, a distanze anche molto elevate rispetto al punto di erogazione.

Alla luce di tali premesse si comprende la necessità di disporre di macchine che consentano di effettuare un’accurata regolazione in relazione ai due elementi principalmente coinvolti nella genesi della deriva:

l’acqua, in termini di quantità distribuita per unità di superficie e delle dimensioni delle gocce, e l’aria che veicola le gocce, in relazione al volume prodotto e alla direzione dei flussi.

 

Tipologie di irroratrici

In base alle loro caratteristiche costruttive e funzionali, le irroratrici si possono classificare secondo il meccanismo di formazione delle gocce e le modalità di trasporto delle stesse sulla vegetazione. Abbiamo quindi macchine a polverizzazione: per pressione idraulica; pneumatica. Per quanto riguarda il trasporto delle gocce: mediante energia cinetica (a getto proiettato); aeroassistito.

Quindi, combinando i due parametri, possiamo distinguere irroratrici: a pressione: appartengono tipicamente a questa tipologia le irroratrici a barra per colture erbacee; ad aeroconvezione: rappresentano la maggioranza delle irroratrici impiegate nelle colture arboree e quelle per colture erbacee munite di manica d’aria; pneumatiche: relativamente poco diffuse, sono impiegate per la quasi totalità in viticoltura

Ciascuna di queste tipologie presenta differenti potenziali di rischio di dispersione di prodotto chimico per deriva in caso di impiego poco accorto. Infatti, la polverizzazione pneumatica genera gocce tendenzialmente più fini rispetto a quella per pressione idraulica, così come il trasporto aeroassisito può determinare il lancio di gocce di miscela fuori bersaglio in caso di non corretto dimensionamento e orientamento dei flussi d’aria.

Per minimizzare i rischi di inquinamento è dunque necessario disporre di irroratrici dotate degli accorgimenti necessari per la regolazione più accurata possibile, in relazione al tipo di coltura e di intervento da effettuare.

Infatti, la regolazione comporta la scelta di alcuni parametri operativi fondamentali, quali il volume da distribuire per unità di superficie (tipicamente i litri per ettaro) e il giusto grado di polverizzazione per evitare la formazione di una frazione eccessiva di gocce fini – indicativamente di diametro inferiore a 100 micron – che permangono in aria per un tempo eccessivamente lungo e sono quindi soggette facilmente ad essere trasportate dal vento oltre il bersaglio. A ciò si aggiunge – nel caso delle macchine aeroassistite e pneumatiche – la necessità di intervenire sulla quantità di aria prodotta e sulla direzione dei flussi.

 

Innovazione nelle irroratrici a barra

L’evoluzione di queste macchine riguarda soprattutto la componentistica, mentre è rimasta sostanzialmente immutata la struttura di base: un telaio, un serbatoio, un circuito idraulico per la circolazione della miscela fitoiatrica dal serbatoio al sistema di distribuzione costituito dagli ugelli collocati su una barra orizzontale.

Oggi l’aspetto dell’uniformità di distribuzione, garantita dall’ausilio dei computer di bordo e dei sistemi di assistenza satellitare alla guida, è addirittura passato in secondo piano rispetto all’attenzione verso la sicurezza dell’ambiente e dell’uomo. Caratteristiche quali il dosaggio automatico della miscela, il lavaggio dell’impianto idraulico e delle mani dell’operatore, la possibilità di riempire il serbatoio senza che l’operatore venga a contatto con il prodotto sono caratteristiche  largamente diffuse tra le irroratrici nuove immesse sul mercato.

L’elemento caratterizzante delle irroratrici per le colture erbacee è la barra, la cui larghezza di lavoro può arrivare a 48 metri, ma nel nostro Paese in genere ci si orienta su modelli larghi al massimo 24 metri. Essa è caratterizzata da leggerezza e nel contempo rigidità in posizione di lavoro, nonché dalla stabilità longitudinale e trasversale necessaria per garantire l’uniformità, contrastando le oscillazioni orizzontali e verticali che inevitabilmente vengono trasmesse alla struttura durante il lavoro, determinando irregolarità di distribuzione e fenomeni di deriva. Di importanza fondamentale sono ovviamente gli ugelli, oggi quasi sempre di tipo antideriva ad inclusione d’aria, che garantiscono una polverizzazione pressoché esente da gocce fini. La forma del getto a ventaglio consente di minimizzare l’effetto delle variazioni di altezza dovute alle inevitabili oscillazioni, soprattutto nel caso di barre molto larghe, mantenendo quindi un diagramma di distribuzione uniforme. Infine, nelle barre dotate di manica d’aria, l’azione della corrente determina maggiore copertura, migliore penetrazione e la possibilità di trattare anche in presenza di vento di moderata intensità, riducendo i fenomeni di deriva, soprattutto in abbinamento con i sempre opportuni ugelli a inclusione d’aria. Va però sottolineato che non sempre azionare il ventilatore è la scelta migliore: infatti, su terreno nudo e in assenza di vento, la turbolenza creata dal getto d’aria che investe il suolo causa la permanenza in aria della scia di gocce per un tempo più lungo, tale da poter generare un aumento della deriva. In questi casi conviene affidarsi agli ugelli a inclusione d’aria, che in assenza di vento garantiscono un ottimo lavoro.

Infine, i principali svantaggi delle irroratrici a manica d’aria riguardano il costo elevato e il peso dell'irroratrice, dovuto al ventilatore a sbalzo, che comporta l'impiego di trattori di potenza piuttosto elevata anche per le attrezzature portate.

 

Irroratrici per colture arboree

In questa categoria di irroratrici, la dinamica dell’aria nella vegetazione è quasi interamente responsabile della riuscita del trattamento. Per questo le macchine più recenti si sono evolute in relazione alle caratteristiche del ventilatore e del sistema di diffusione dell’aria.

Oltre alla possibilità di regolare la portata dell’aria, i mezzi più evoluti offrono la possibilità di dirigere i flussi adeguando la distribuzione al profilo della chioma (il cosiddetto “getto mirato”). Infatti, se nel caso delle forme di allevamento a sviluppo orizzontale (pergola, tendone, Bellussi, ecc…) la macchina non potrà che essere di tipo tradizionale, dovendo irrorare la coltura passandoci sotto, quando invece la macchina andrà a lavorare su forme di allevamento a parete (controspalliere, palmette…) le possibilità di scelta sono molteplici.

In questi casi si può scegliere tra atomizzatori aeroassistiti muniti di diffusori laterali variamente conformati, le cosiddette “torri antideriva”, e macchine a polverizzazione idraulica o pneumatica con ventilatore centrifugo da cui si dipartono tubi, rigidi o flessibili, che permettono il posizionamento degli erogatori in prossimità della vegetazione di erogatori terminali in cui sono alloggiati i diffusori o gli ugelli. Il principio è quello di avvicinare e frazionare il più possibile il getto in rapporto alla chioma per minimizzare la quota di nebulizzato oltre i limiti della parete vegetale e queste ultime, grazie alla leggerezza della struttura, si prestano molto bene alla realizzazione di testate scavallatrici in grado di trattare più filari contemporaneamente, con effetti positivi sul contenimento della deriva e sull’uniformità di distribuzione.

Questa tipologia di macchine, dette scavallatrici, hanno fornito la base per lo sviluppo delle irroratrici che consentono di recuperare la quota di miscela fitoiatrica che la vegetazione non riesce a trattenere, note come irroratrici a tunnel. Si tratta di una categoria di macchine che negli ultimi anni è stata oggetto di una forte accelerazione dello sviluppo, con diversi costruttori che oggi sono presenti sul mercato con diverse e interessanti proposte commerciali.

Nelle macchine a tunnel, evoluzione delle scavallatrici, il recupero è ottenuto grazie a due pannelli contrapposti che avvolgono il filare. Le soluzioni costruttive si riconducono per lo più ad attrezzature costituite normalmente da due tunnel costruiti in genere in polietilene o vetroresina di dimensioni variabili; l’accoppiamento è in genere di tipo semiportato, ma vi sono realizzazioni semoventi ottenute installando i tunnel (normalmente in numero di tre) sui telai motorizzati delle vendemmiatrici, consentendo tra l’altro di estendere l’impiego annuo di tali macchine e garantendo un’elevatissima capacità operativa, dovuta al trattamento contemporaneo di tre filari.

Sotto l’aspetto funzionale, le soluzioni più semplici, destinate in genere a vigneti di limitato sviluppo vegetativo, adottano semplici barre irroratrici verticali e sono prive di ventilatore.

La maggior parte dei tunnel, tuttavia, per migliorare la penetrazione delle gocce nella vegetazione si avvale dell’assistenza dell’aria, che può essere prodotta da ventilatori assiali, centrifughi o tangenziali; parte del flusso viene usata per creare delle correnti opportunamente dirette all’interno del tunnel per una migliore efficienza del recupero.

L’azione dell’aria all’interno del tunnel avviene principalmente secondo due soluzioni costruttive:

circolazione di un flusso che attraversa il filare, movimenta le foglie e viene ricircolato in modo da attraversare nuovamente il filare; viene realizzata mediante ventilatori inseriti nella struttura dei pannelli; generazione di lame d’aria orizzontali e verticali, prodotte da un unico ventilatore, finalizzate al contenimento delle gocce entro il tunnel

Il grande vantaggio delle irroratrici a recupero è quello dell’autoregolazione del volume distribuito in relazione alla densità fogliare della chioma, che favorisce un notevole risparmio di prodotto fitosanitario grazie alla quota che viene recuperata nei primi trattamenti, quando la vegetazione è scarsa.

Le macchine a recupero consentono anche un impiego efficiente di bassi volumi con conseguente minor deriva e perdite a terra rispetto alle attrezzature tradizionali, grazie alla vicinanza dei getti alla vegetazione e al microambiente saturo di umidità che si viene a creare all’interno del tunnel che permette alle gocce più piccole di raggiungere il bersaglio senza che vi sia evaporazione.

La quantità di prodotto recuperato dipende ovviamente da molti fattori, ma si può stimare intorno al 40% sul totale con punte di oltre l’85% nei primi trattamenti, a tutto vantaggio della salvaguardia ambientale.

Le problematiche relative all’operatività delle irroratrici a tunnel sono analoghe a quelle delle scavallatrici, e riguardano essenzialmente la disponibilità di vigneti a ridotta o nulla declività, privi di ostacoli e su forme di allevamento a spalliera (Guyot, cordone speronato, cordone libero); in tutti i casi è richiesta all’operatore una grande perizia nell’effettuare le manovre, data la facilità di urtare le piante, i pali e i tiranti.

Vi sono poi altre criticità nell’impiego pratico: la prima riguarda la filtrazione della miscela recuperata, particolarmente problematica in quanto il materiale che inquina il liquido è molto abbondante; la seconda è legata alla difficoltà di stabilire a priori la quantità di liquido esatta con cui rifornire il serbatoio, non essendo in grado di prevedere esattamente l’autonomia effettiva che dipende dal grado di recupero.

 

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