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Attualità

Globalizzazione e scambi internazionali: cosa insegna la pandemia

Il commercio internazionale è stato pesantemente colpito dagli effetti della pandemia anche in termini di logistica, teasporti e sistemi di pagamento. Alcuni dati recenti possono meglio sintetizzare queste conseguenze e indicare strategie di intervento per il futuro

di Ermenegildo Sgroj
luglio - agosto - settembre 2020 | Back

A fine agosto l’Ocse ha pubblicato gli ultimi dati su prodotto nazionale ed esportazioni. Nell’area OCSE il PIL è sceso del 9,8% nel secondo trimestre 2020 rispetto al primo; e nell’area Euro il calo è stato del 12,1%. Inoltre sempre la stessa fonte ha rilevato per i Paesi del G20 nel secondo trimestre di quest’anno, sempre in raffronto al primo, un crollo dell’export del 17,7% e dell’import del 16,7%.

In realtà dietro il crollo degli scambi internazionali è accaduto qualcosa di più profondo che, secondo chi scrive, comporterà un cambiamento di paradigma per le imprese.

Nel periodo marzo/aprile 2020, quindi nella drammatica fase iniziale che ha visto tra l’altro proprio l’Italia fra I Paesi più colpiti, gli esportatori, gli importatori, e le aziende italiane multinazionali hanno dovuto confrontarsi con difficoltà nuove ed impreviste.

Ad esempio nella logistica. La sostanziale interruzione dei collegamenti aerei civili ha avuto un effetto molto pesante anche sul trasporto merci. La difficoltà di trovare i vettori, la necessità di rivolgersi alle spedizioni cargo ad esempio, ha fatto lievitare significativamente i costi di trasporto. Alcuni Paesi poi (es. Paesi del Golfo Persico) nelle fasi più acute della pandemia hanno bloccato anche il trasporto via nave.

Sempre nella logistica altra criticità registrata in modo pesante è stata la forte pressione sugli spazi dedicati allo stoccaggio delle merci. In questo caso hanno agito congiuntamente più fattori: crollo della domanda globale, tempi di movimentazione più lunghi (per il rispetto dei protocolli sanitari), la pressione determinata dalla forte domanda in modalità e-commerce. Anche il trasporto su ruote è stato pesantemente colpito con blocchi alle frontiere, controlli sanitari sugli operatori … Il risultato è stato spesso la saturazione dei magazzini e l’aumento dei costi di deposito. Oltre ovviamente ai ritardi nei tempi di consegna pattuiti della merce.

Nel caso dei corrieri il ritardo e le inefficienze hanno riguardato soprattutto invio e ricezione documenti. In alcuni Paesi anche i principali corrieri internazionali hanno dovuto subire giorni se non settimane di blocco. E qui uno degli effetti è stato quello di mettere in crisi l’intero sistema dei pagamenti internazionali basato sui documenti commerciali, in pratica quelli che servono da un lato allo sdoganamento delle merci e dall’altro al perfezionamento di alcune specifiche modalità di pagamento internazionale (lettere di credito e cash against document) oppure per la partecipazione a gare internazionali (Tender).

Avendo citato gli strumenti di pagamento nel commercio internazionale possiamo fare un cenno anche alle criticità collegate alle attività bancarie. Innanzitutto si è registrata in molti Paesi durante il picco pandemico una riduzione degli orari di lavoro nelle banche, con conseguente allungamento dei tempi di lavorazione delle operazioni. In altri casi il sistema bancario ha dovuto recepire provvedimenti governativi finalizzati a posporre gli impegni della clientela e questo ha avuto effetti anche sugli impegni irrevocabili che la banca emette nei confronti delle imprese estere controparti di loro clienti.

Guardando poi al livello delle relazioni commerciali e produttive fra imprese di Paesi diversi gli effetti sono stati altrettanto dirompenti: è impossibile fare un elenco esaustivo delle diverse criticità. Proviamo ad indicare quelle più frequenti lamentate dalle aziende.

I provvedimenti presi dalle autorità di molti Paesi in termini di limitazione della mobilità hanno determinato l’impossibilità di effettuare ad esempio i collaudi su macchinari venduti all’estero oppure di svolgere le abituali attività commerciali sul mercato di riferimento da parte di dipendenti provenienti da altri Paesi.

Si aggiungano gli effetti del blocco delle produzioni: il lockdown ma anche lo scoppio di focolai infettivi in cantieri o siti produttivi hanno mandato in tilt la supply chain internazionale di molte nostre imprese. In sintesi le aziende italiane inserite in una CGV (catena globale del valore) hanno fortemente patito la carenza di beni e servizi intermedi provocati dal lockdown, la ridotta mobilità del personale tra I vari paesi, e l’aumento dei costi di transazione.

Ancora sotto il profilo della concorrenza internazionale si sono ampliate le pratiche non fair determinate dai provvedimenti dei vari Governi. Basti ricordare alcuni episodi riportati anche dalla stampa come il blocco delle esportazioni di dispositivi di protezione individuale (DPI) da parte di alcuni Paesi o il sequestro sempre di DPI in transito e destinati per esempio al mercato italiano.

Sotto il profilo finanziario sono stati rilevati comportamenti che hanno modificato il sistema di concorrenza. Anche qui possiamo fare alcuni esempi: il divieto di rimpatrio degli utili prodotti all’estero da nostre imprese oppure la concessione di aiuti finanziari per Covid-19 solo alle imprese locali (con penalizzazione per le sussidiarie di imprese estere, italiane comprese).

Gli effetti tanto “disruptive” che il Covid-19 ha avuto sul commercio internazionale hanno spinto anche i giuristi a chiedersi se possano prevedersi dei meccanismi di tutela e conciliazione di fronte ad eventi di questa natura (Covid-19 ma anche altri futuri non auspicati ma che potrebbero presentarsi con analoga capacità dirompente sugli scambi).

Evidentemente nel commercio internazionale il tema del mancato adempimento dei contratti per cause di forza maggiore presenta profili estremamente complessi non potendo fare riferimento automatico alla legge, e al Codice Civile italiani. Questo in quanto non sempre il contratto è basato sulla legge italiana ed in molte circostanze ha richiami espliciti o a legislazioni di altri paesi oppure a normative internazionali (ad es. della Camera di Commercio Internazionale di Parigi).

In questo contributo ci limitiamo – su questo specifico aspetto – a richiamare l’attenzione degli operatori ad una attenta valutazione di questa tematica nella stesura dei contratti. La cui eccezionalità, tra l’altro, non è scontata. In fondo l’ultimo evento che aveva avuto effetti dirompenti sugli scambi – certo in termini geografici e temporali molto più limitati – è stato nell’aprile del 2010 l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjöll che paralizzò i trasporti in Europa per molti giorni.

Non essendo questa la sede per un approfondimento giuridico della materia agli interessati suggeriamo un articolo dell’avvocato Alessandro Albicini circa gli effetti del Coronavirus sui contratti commerciali con controparti estere, pubblicato dalla rivista di attualità economica della Regione Emilia Romagna – www.econerre.it – lo scorso giugno.

Di fronte alle criticità che la pandemia ha determinato e continua a determinare sugli scambi internazionali, visto che nei vari Paesi assistiamo tuttora a fasi di differente gravità, ci sembra che alcuni interventi sulle strategie aziendali possano consentire alle imprese operanti sull’estero di competere meglio in questo nuovo scenario.

Certamente un primo elemento di riflessione riguarda la supply chain internazionale. Questa va ripensata puntando sui rapporti consolidati ma anche su strategie di recovery e diversificazione (con partner domestici o di altri Paesi), la diversificazione del rischio ci sembra preminente rispetto alla variabile costi. Le strategie di internazionalizzazione delle imprese con sedi/stabilimenti all’estero dovranno maggiormente puntare su più filiere regionali in grado di sopportare meglio gli impatti su logistica e da provvedimenti delle autorità. Possiamo riassumere questo nuovo corso nell’espressione inglese che comincia a diffondersi fra gli addetti ai lavori: shorten supply chain.

Il secondo elemento su cui a questo punto occorre puntare e recuperare il gap rispetto ai nostri concorrenti è il digital export. In sostanza il coronavirus ha ancora di più rafforzato l’importanza dei canali digitali per vendere all’estero (e-commerce, market place …) e di adeguate infrastrutture digitali di marketing. In questi mesi si sono amplificate le distanze fra le aziende che sfruttano in modo più efficiente i canali digitali e quelle che hanno mantenuto una organizzazione più tradizionale che predilige la presenza fisica e la mobilità degli addetti. Il dato di sintesi è che il tasso di crescita delle vendite on line si è ulteriormente consolidato rispetto alle vendite tradizionali.

Sempre sul fronte della digitalizzazione, le imprese dovranno sfruttare di più anche le piattaforme di pagamento internazionale e quelle relative alla gestione dei contratti commerciali. Si tratta di servizi messi a disposizione dai grandi player dell’e-commerce, ma anche dal sistema bancario, e che hanno il vantaggio (evidenziato in modo particolare dalla pandemia) di minimizzare l’uso e la trasmissione della documentazione cartacea sia commerciale che di pagamento.

Last but not least gli eventi fieristici che cambieranno profondamente anche dopo la pandemia, di fatto la fiera si trasformerà in un evento sia fisico che digitale consentendo una connessione B2B sia nel periodo della manifestazione che successivamente. In questo contesto collochiamo l’iniziativa Fiera Smart 365 di recente varata da Agenzia ICE. Ed esattamente in questa direzione si colloca EIMA Digital Preview la piattaforma che dall’11 al 15 novembre 2020 permetterà una connessione virtuale ed interattiva con le oltre 1600 aziende che saranno a febbraio 2021 le protagoniste di EIMA International.

Vogliamo chiudere questo contributo fornendo alcuni elementi, purtroppo ancora parziali, sull’andamento dei mercati che certamente interessano i nostri esportatori di macchinari agricoli. Il WTO ha di recente ricordato che l’esportazione di prodotti agricoli e alimenti, ha avuto un andamento più resiliente alla pandemia rispetto agli altri settori nel primo semestre dell’anno. Questo però non si traduce in un incremento della domanda di beni di investimento a causa degli effetti del Covid sulle economie dei vari Paesi. Anche la Cina unico paese dei G20 che nel secondo trimestre 2020 ha fatto registrare un aumento dell’export (+ 9,1 %), continua a registrare un calo delle sue importazioni (-4,9% nello stesso trimestre di riferimento).

Lo scenario previsionale per le diverse regioni extra UE conferma un calo generalizzato della crescita economica, a titolo di esempio si va dal -8,2% (fonte OCSE) per la Repubblica Sudafricana alla Turchia dove a seconda di possibili nuovi lockdown la caduta del PIL è stimata fra il -5% ed il -8,5.

Nel Sud Est Asiatico la Banca Mondiale stima ora una contrazione del PIL del -0,5%, mentre la Asian Development Bank sta rivedendo al ribasso le sue previsioni sulla crescita dell’economia asiatica.

In questo difficile quadro di riferimento – soprattutto in questo scorcio finale di 2020 – l’attenzione delle imprese del settore meccanico agricolo, dovrà focalizzarsi piuttosto che sulle previsioni macro sulle dinamiche dei singoli mercati. La capacità di andare a cogliere ad esempio le opportunità offerte dagli incentivi settoriali messi in campo dai Governi locali ma anche da alcuni enti finanziatori internazionali come la BERS (per Est Europa e Mediterraneo), la Asian Development Bank per alcuni paesi dell’Asia e la African Development Bank.

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