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Tecnica

Macchine per la prevenzione degli incendi boschivi

Gli interventi di manutenzione delle aree forestali, vedi fra gli altri quelli per la realizzazione di piste tagliafuoco, sono sempre più importanti anche alla luce dei mutamenti climatici che aumentano le temperature e riducono le piogge, esponendo le coperture boschive al rischio di incendi. Un’ampia gamma di macchine e attrezzature specializzate è il supporto necessario per gli interventi di prevenzione

di Davide Facchinetti
maggio - giugno 2022 | Back

Il fenomeno del cambiamento climatico sembrerebbe avere una notevole influenza anche sugli incendi boschivi, un fenomeno correlabile con elevata probabilità all’innalzamento delle temperature medie, la tropicalizzazione di zone un tempo temperate e l’incremento in molti areali di lunghi periodi di caldo estremo con poca pioggia.

Solo la scorsa estate, in Italia, con le temperature massime che in alcune zone hanno sfiorato addirittura i 45 °C, abbiamo purtroppo visto bruciare in Sardegna oltre 20 mila ettari di territorio, con boschi, oliveti e campi coltivati ridotti completamente in cenere e quasi 1.500 le persone sfollate. Duole poi constatare che anche nel mondo le cose non vadano molto meglio, sempre nel medesimo periodo si sono registrati incendi vastissimi e devastanti in Siberia, in Canada, in California, in Grecia, in Turchia, in Amazzonia, in Australia e in diversi Paesi africani, ma secondo le stime fornite dal WWF nei soli Stati Uniti negli ultimi 40 anni il numero degli incendi è aumentato del 1000%. Il pianeta Terra insomma sta bruciando, e a confermarlo c’è un'eloquente immagine pubblicata dalla Fire Information for Resource Management System della Nasa in cui si vedono tutti i punti del nostro pianeta che in questo momento sono colpiti da roghi. (Foto nasa incendi mappa)

Un incendio boschivo, o forestale, è comunque un fenomeno molto grave, che può avere cause naturali o antropiche, ma si manifesta comunque con un fronte di fuoco che si propaga provocando danni alla vegetazione e talvolta anche agli insediamenti umani. In quest’ultimo caso, quando il fuoco si trova vicino a case, edifici o luoghi frequentati da persone, si parla di “incendi di interfaccia”, e oltre ai gravi danni all’ambiente e alle infrastrutture, si corre il rischio di annoverare delle vittime per effetto dell’incendio.

In Italia, e a termini di legge, un “incendio boschivo” è un fuoco che tende ad espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate che si trovano all’interno delle stesse aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi alle aree, questo secondo l’art. 2 della Legge n. 353 del 2000. La stessa affida alle Regioni la competenza in materia di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi, mentre allo Stato attribuisce il concorso alle attività di spegnimento con i mezzi della flotta aerea antincendio di Stato.

Sebbene tutte le regioni italiane siano interessate dagli incendi boschivi e forestali, alcune sono più colpite di altre. In linea generale è possibile affermare che le diverse condizioni climatiche della penisola favoriscono lo sviluppo di incendi soprattutto in due stagioni nell’anno. Sull’arco alpino e alle quote più elevate delle zone appenniniche, gli incendi boschivi si sviluppano soprattutto nella stagione invernale e primaverile, mentre al contrario, le regioni centro meridionali con clima mediterraneo vengono prevalentemente interessate da questo funesto fenomeno nella stagione estiva, comunemente calda e siccitosa. Quello degli incendi boschivi e forestali, in Italia e nel mondo, è comunque un fenomeno che seppur non possa essere eliminato, può essere comunque alquanto arginato nella sua espansione facendo ricorso, non solo ai comuni mezzi antincendio utilizzati per lo spegnimento del fronte di fuoco, ma anche e soprattutto alle opportune tecniche di prevenzione, che si riassumono nella creazione di una serie di linee (o viali o piste) tagliafuoco, ovvero di corridoi ricavati all’interno di foreste e aree naturali che vengono artificiosamente privati della loro copertura vegetata naturale.

Lo scopo di queste opere è quello di contenere un eventuale incendio all’interno di un’area delimitata, ma risulta utile anche alla fauna selvatica perché rappresenta di fatto anche un corridoio tramite il quale è possibile mettersi rapidamente al riparo dall’avanzare del fronte di fiamma, nonché alle squadre di soccorso che possono utilizzare questo corridoio artificiale per spegnere più agevolmente e più rapidamente l’incendio, ma anche per effettuare i successivi lavori di manutenzione e di ripristino della vegetazione nelle zone interessate dall’incendio.

Queste opere vengono di norma realizzate sia all'interno delle aree boscate, per tutta la loro lunghezza, larghezza e profondità, devono essere tra loro perpendicolari e vanno manutenute, mantenendole sgombre da arbusti, erba secca e materiali infiammabili almeno un paio di volte l'anno. Di norma, per massimizzare la loro efficacia, si costituiscono sistemi di viali composti da una dorsale principale, perpendicolare ai venti prevalenti, cui si congiungono i viali secondari, che dividono la foresta in settori, realizzati preferenzialmente sui displuvi.

Negli Stati Uniti, sulla scorta delle esperienze maturate in California ormai da alcuni decenni, la creazione di questi viali tagliafuoco è diventata ormai una prassi consolidata, tanto che essi sono stati resi obbligatori con apposite leggi, anche allo scopo di prevenire gli incendi al confine di insediamenti abitativi ed industriali, lungo le strade, le ferrovie, ma anche ai margini dei campi coltivati dopo aver effettuato i raccolti è necessario lasciare delle fasce sgombre da materiali infiammabile, e i controlli (con relative sanzioni) da parte delle forze dell'ordine sono piuttosto frequenti e puntuali, anche con l’utilizzo di tecnologie avanzate come le foto satellitari. Eppure queste opere di ingegneria naturalistica sono una invenzione nostrana, infatti i primi viali tagliafuoco furono realizzati ormai due secoli or sono dal Granduca di Toscana. Affinché il viale tagliafuoco sia idoneo per arrestare definitivamente l’eventuale incendio occorre eliminare totalmente la vegetazione con linee aventi una notevole larghezza, che può variare, a seconda delle caratteristiche del luogo tra 100 e 200 m.

Duole purtroppo constatare che molto spesso la creazione di queste linee tagliafuoco venga osteggiata dagli ambientalisti, contrari a priori all’effettuazione di ogni tipologia di intervento umano nelle zone naturali, quando invece è ormai palese e dimostrata la loro grande efficacia per la conservazione a lungo termine delle foreste più estese e della fauna selvatica che in esse vive. Per questo motivo la loro diffusione nel mondo non è così elevata, e ci ritrova spesso a dover creare delle linee tagliafuoco operando in “stato di emergenza”, ovvero con l’incendio che è già divampato. Ebbene se è palese che operando in maniera preventiva è possibile effettuare il lavoro con più calma e recuperando anche il materiale legnoso di risulta per valorizzarlo a dovere come legname da opera o come materiale combustibile, quando si opera invece in emergenza è necessario ottenere la massima produttività possibile, per creare delle linee tagliafuoco rapidissimamente e contenere quindi l’avanzata del fronte di fiamma. Inoltre vi sono condizioni operative difficili e in zone difficilmente raggiungibili, e tali per cui il recupero del materiale di risulta diventerebbe comunque non conveniente. Si tratta quindi nella maggioranza dei casi di intervenire con delle trinciatrici forestali, ovvero di effettuare un’attività apparentemente semplice, che può però trasformarsi improvvisamente in un lavoro impossibile da eseguire, se non si dispone di macchinario adeguato. La vegetazione, a volte molto fitta, spesso cela degli ostacoli imprevisti come ceppaie, massi o lastre di roccia affioranti. Per evitare brutte sorprese è quindi molto importante dotarsi di macchinari realizzati espressamente per lavorare nelle condizioni più difficili.

Si tratta quindi di impiegare delle robuste trinciatrici forestali, macchine caratterizzate da una richiesta di potenza piuttosto elevata e molto variabile nel tempo in funzione della tipologia prevalente del materiale da frantumare, dalla profondità di lavoro e dalla velocità di avanzamento. 

Molti sono i costruttori nazionali che propongono validi macchinari operanti su questo particolare settore che offrono ai professionisti del settore un pacchetto di soluzioni ampio e variegato, con modelli ad azionamento meccanico (per trattori da 100 ad oltre 600 Cv), o idraulico, che risultano in questo caso idonei per l’accoppiamento con minipale, escavatori o mezzi speciali dedicati.

Si tratta in ogni caso di macchine caratterizzate da una struttura estremamente robusta, e che di norma sollecitano non poco il trattore a cui vengono collegate. Si tratta inoltre di macchine pesanti, che richiedono grandi potenze e che operano a basse velocità.

Le trinciatrici forestali sono macchine che di norma vengono portate dall’attacco a tre punti e derivano il moto dal maschio scanalato della presa di potenza attraverso il classico albero cardanico, che deve essere generosamente dimensionato e provvisto di dispositivi di protezione contro i sovraccarichi. Ne esistono però anche diversi esempi dove il moto del loro rotore è originato da un potente motore idraulico, e in questo caso vengono collegate a robusti escavatori o dozer, o a mezzi espressamente concepiti per l’effettuazione di questi gravosi lavori.

Il loro organo principale è un pesante rotore posto trasversalmente alla direzione di marcia che porta montati su di essi gli utensili che provvedono alla frantumazione, costituiti in differenti tipologie fogge e dimensioni a seconda dei costruttori e a seconda delle tipologie durezza del materiale che possono arrivare a frantumare. In alcuni rari casi questi utensili possono essere incernierati al rotore, ma nella stragrande maggioranza dei casi (e per le applicazioni più gravose) si ha a che fare con utensili fissati rigidamente.

In ogni caso le parti a contatto con il materiale da sminuzzare vengono realizzate con materiali molto resistenti all’usura ed è prassi anche l’impiego di acciai antiusura molto pregiati allo scopo di garantire una elevata affidabilità.

Per gli impieghi più gravosi si impiegano di norma degli organi lavoranti fissi “a dente” che possono avere profilo piatto oppure appuntito, mentre in alcuni casi si arriva addirittura ad utilizzare dei terminali diamantati. In questo caso la macchina potrà operare anche su roccia piena, seppur sia necessario in tal caso prevedere una certa usura degli organi lavoranti, una diminuzione della velocità di avanzamento e un cospicuo aumento delle richieste energetiche.

A completare l’opera degli organi lavoranti provvede una camera di frantumazione, sovente rappresentata dalla robusta cofanatura che li sovrasta, e che viene di norma provvista di un rivestimento in materiale antiusura. Tale cofanatura può in alcuni casi essere provvista di regolazione idraulica in maniera tale da poter far variare la sua distanza rispetto agli organi lavoranti, in tale maniera è quindi possibile far variare di conseguenza la dimensione media del materiale risultante dalla frantumazione. Per amplificare al massimo le capacità operative di queste macchine, la sicurezza per gli operatori, e per consentire loro anche di operare molto in prossimità del fronte di fiamma sono state messe a punto anche appositi mezzi cingolati semoventi, che possono in alcuni casi essere anche condotti da remoto con un telecomando.

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