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Coltivatore rotativo: un "jolly" per la lavorazione del suolo

Conosciuti anche con il nome di fresatrici, i coltivatori rotativi rappresentano un tipo di attrezzatura molto diffusa per l'affinamento del terreno, ma che in determinati contesti può anche essere proficuamente impiegata come unica macchina per la preparazione del letto di semina o di trapianto. Velocità di avanzamento e possibilità di lavorazioni combinate caratterizzano i modelli più recenti

di Davide Facchinetti
gennaio 2016 | Back

Icoltivatori rotativi, denominati anche zappatrici o più familiarmente fresatrici o addirittura semplicemente frese, sono attrezzature che nella moderna agricoltura sono frequentemente impiegate in molteplici contesti, ma sono sostanzialmente destinate all’affinamento del terreno dopo la classica aratura per quelle coltivazioni che tipicamente richiedono un amminutamento molto spinto degli strati superficiali. In più, la fresatura viene spesso eseguita anche per il controllo meccanico delle malerbe nei frutteti e nei vigneti, lavorando di solito l’interfilare e in alcuni casi (con modelli provvisti di appositi tastatori) anche la striscia di terreno sottofila.

In pieno campo la fresatura invece può essere utilmente adottata nella preparazione dei terreni per le semine di secondo raccolto, quando si pratica  il minimum tillage, sostituendo integralmente la classica combinazione aratro più erpice.

Nell’ambito orticolo e floricolo (sia in regime di coltura protetta che di pieno campo), il ricorso alla fresatura è invece praticamente sistematico, perché è una lavorazione del suolo adatta per contesti caratterizzati da avvicendamenti colturali frequenti, che richiedono una rapida e accurata preparazione del letto di semina o di trapianto. Dal punto di vista tecnico-costruttivo, è consuetudine distinguere nella macrocategoria dei coltivatori rotativi i modelli con gli organi lavoranti rigidamente saldati al rotore da quelli che invece sono incernierati, quindi mobili. In entrambi i casi si tratta comunque di attrezzature che sono in grado di lavorare gli strati superficiali del terreno, con una profondità massima di 25-30 cm.


 

Corrette condizioni del terreno

I modelli prodotti dai costruttori italiani sono adatti a lavorare anche su terreni molto tenaci, consentendo talvolta anche di effettuare una lavorazione primaria (quindi senza aratura) con un rimescolamento ottimale dei residui della coltura precedente nei primi strati del suolo. Pur essendo un’operazione colturale molto energivora (sostanzialmente in funzione della tessitura del terreno, del suo grado di umidità e di compattamento, oltreché ovviamente della profondità e della larghezza di lavoro), in quest’ultimo caso può permettere con un solo intervento di preparare il letto di semina molto soffice e uniforme, sia per la pezzatura che per il profilo.

Bisogna però evitare di lavorare il terreno quando è nello stato coesivo perché, oltre ad ottenere una sua eccessiva polverizzazione, si verifica un considerevole aumento del consumo energetico e dell’usura degli organi lavoranti. Parimenti, la lavorazione deve essere sistematicamente evitata quando il terreno è allo stato plastico, perché si causerebbe un’eccessiva compressione degli organi lavoranti sia sulle zolle che sullo strato non lavorato sottostante.

Trattandosi di una macchina che non richiede un’elevata forza di trazione (a volte è addirittura negativa, ossia è l’attrezzatura che “spinge” il trattore), il suo accoppiamento è possibile anche con trattori a 2 ruote motrici, purché in grado di erogare alla pdp una potenza sufficiente per azionare correttamente la macchina collegata.

 

Modelli di differente capacità lavorativa

Pur avendo in comune l’azionamento di un organo rotante sull’asse orizzontale da parte della presa di potenza del trattore, il mercato offre molte tipologie di coltivatori rotanti, a partire dalle piccole zappatrici semoventi (dette anche “motozappe”, sprovviste di ruote motrici e che proprio per questa caratteristica si differenziano dai motocoltivatori abbinati alle fresatrici) fino a quelle di larghezza di lavoro decisamente superiore, da collegare all’attacco a tre punti dei trattori; in quest’ultimo caso, si parte di norma da modelli da circa un metro fino a quelli di tipo pieghevole che possono raggiungere i sei metri. Le zappatrici sono normalmente sprovviste di ruote d’appoggio al suolo, ma in alcuni casi possono essere dotate di un rullo posteriore, che al contempo regola la profondità di lavoro e pareggia e compatta leggermente il terreno affinato.

 

Le modalità di lavoro

Il meccanismo di lavoro della fresatrice è lineare, basandosi proprio sul principio della fresatura, eseguita da una serie di utensili sagomati che ruotando a velocità elevata provocano con l’avanzamento il distacco di una “fetta” di terreno, che grazie al moto rotatorio del rullo con gli organi lavoranti viene finemente sminuzzata anche per i ripetuti impatti con un robusto carter in lamiera che lo avvolge. Il cofano in questione ha ovviamente anche la funzione di impedire al materiale frantumato di essere lanciato all’esterno; è quindi molto pericoloso aprire eccessivamente il carter (magari con artifici provvisori e insicuri) o addirittura asportarlo: se è pur vero che viene ridotta la probabilità di ingolfamento, il pericolo che si genera è molto elevato, specie se il terreno contiene molto scheletro (sassi e pietre). La trasmissione del moto dalla pdp del trattore agli organi lavoranti è di norma effettuata tramite un classico albero cardanico, a corredo del quale è bene ci sia una frizione a protezione dei sovraccarichi della catena cinematica del moto; il coltivatore rotante è provvisto poi di una serie di ingranaggi (sostituiti nei modelli più piccoli da una più semplice trasmissione a pulegge e cinghia) per trasmettere il moto al rotore orizzontale. Poiché il grado di amminutamento del terreno è proporzionale alla velocità di rotazione del rotore e inversamente proporzionale alla velocità di  avanzamento, è utile poter disporre sulla zappatrice di un semplice cambio a due o tre rapporti di trasmissione, per ottenere comunque il risultato desiderato in termini di amminutamento su terreni di diversa consistenza, impiegando comunque sempre la massima potenza disponibile da parte del trattore. è infatti importante massimizzare la velocità di avanzamento della zappatrice, dato che la capacità operativa di queste macchine è influenzata negativamente proprio dai tipici valori, piuttosto limitati in tal senso. Alcuni modelli recenti vengono dotati in aggiunta a quello anteriore anche di un attacco a tre punti posteriore e di un’ulteriore trasmissione del moto, per l’abbinamento con le seminatrici, in modo da effettuare operazioni combinate in una singola passata.

BOX: Le fresatrici sottofila

Subsurface harrows

Sebbene le macchine per le lavorazioni nell’interfilare del vigneto siano considerevolmente evolute, per quanto riguarda invece il diserbo meccanico del sottofila le difficoltà di esecuzione sono indubbiamente superiori, specie se i ceppi sono ravvicinati e bassi, ancor di più quando si opera su pendenze accentuate, a rittochino e su suoli sensibili all’erosione superficiale. L’ingegno dei costruttori italiani ha comunque portato alla messa a punto di coltivatori rotativi interceppo che sono in grado di rispettare efficacemente l’incolumità delle piante, fatta salva la sempre necessaria accortezza operativa del conducente. I coltivatori più semplici ed economici prevedono l’inserimento manuale degli organi tra un ceppo e l’altro da parte dello stesso trattorista (in alternativa a volte effettuato da un secondo operatore); il favore recente va però verso l’impiego di modelli dotati di tastatori automatici.

In ogni caso, la lavorazione del singolo filare richiede un doppio passaggio con una velocità di avanzamento ridotta (solitamente 1,5-2,5 km/h), da cui deriva una limitata capacità lavorativa (5-6 h/ha), che può però essere significativamente incrementata con l’impiego di attrezzature “doppie”, ovvero in grado di operare su entrambi i lati per ogni passata.

Dal punto di vista costruttivo, gli organi lavoranti sono del tutto simili a quelli dei modelli di pieno campo (o destinati alle lavorazioni interfilare), anche se sono relativamente miniaturizzati (dato che la profondità di lavorazione non supera i 15 cm) e risultano montati su appositi telai articolati dotati di dispositivi scansatori ad attuazione idraulica. Per evidenti ragioni di visibilità della lavorazione, la miglior collocazione sul trattore è quella anteriore.

BOX: Un unico passaggio per il letto di semina

Rispetto alle tradizionali soluzioni di preparazione del letto di semina o di trapianto, che tipicamente prevedono ripetuti passaggi sullo stesso appezzamento , l’adozione di una singola fresatura comporta diversi vantaggi, come la riduzione dei tempi di lavorazione (e dei costi conseguenti), una più agevole esecuzione delle operazioni su terreni declivi, un buon rimescolamento del terreno nell’intero profilo lavorato, con un livello di sminuzzamento dei residui colturali ottimale per una veloce trasformazione in sostanza organica, nonché un efficace controllo delle infestanti annuali. Inoltre la fresatura può essere effettuata senza decadimento della qualità su terreni umidi in profondità, ma asciutti nello strato superficiale. Tuttavia, specie per le lavorazioni più profonde (25-30 cm), la fresatura singola richiede potenze molto elevate, comporta un significativo rischio di degradare la struttura del terreno se il grado di frantumazione ottenuto è eccessivo, richiede elevati costi di manutenzione per la frequente sostituzione degli organi lavoranti, crea inevitabilmente una “suola” di lavorazione che ostacola l’ottimale drenaggio del terreno e provoca una potenziale maggiore diffusione delle infestanti perenni di tipo rizomatoso (specie gramigna e sorghetta), perché gli organi lavoranti frammentano e spargono i rizomi favorendone la moltiplicazione.



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