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Tecnica

La coltivazione dei terreni salmastri

Un’attenta scelta varietale, un’adeguata irrigazione e alcune tecniche specifiche rendono possibile una proficua coltivazione anche dei terreni ad elevato contenuto salino e con acque salmastre. La salinità dei terreni può compromettere la funzionalità dei macchinari agricoli

di Lavinia Eleonora Galli
maggio - giugno 2024 | Back

L’irrigazione è fondamentale per una produzione intensiva delle colture. Peraltro, in alcuni comprensori agricoli l’unica possibilità per far fronte a tali esigenze produttive è il ricorso ad acque salmastre, ovvero con concentrazioni di sali superiori alla media, come spesso avviene nelle zone rivierasche marine e/o aride.

Disponibili come acque libere, in bacini idrici o anche nella falda, le acque salmastre si caratterizzano per concentrazioni saline fino al 3%, che sovente risultano limitanti (se non addirittura fitotossiche) per molte colture. Tale criticità può avere origine naturale, come ad esempio la prossimità al mare e quindi la “contaminazione” delle acque dolci, oppure può essere ricondotta all’esubero di sali nel terreno e/o dall’eccessivo apporto di fertilizzanti minerali.

L’eccessiva salinizzazione può essere potenzialmente fatale per le colture, poiché provoca la disidratazione della pianta, a causa dell’effetto osmotico. Si deve quindi necessariamente considerare la coltivazione di specie tolleranti lo stress salino, come il pomodoro, la barbabietola, l’orzo, l’asparago e lo spinacio. Risultano invece mediamente sensibili la soia, il riso, il mais e alcune specie orticole e foraggere. Viceversa, non tollerano elevate concentrazioni saline nell’acqua i fagioli, la lattuga, l’arancio e il pesco.

A causa della progressiva penuria di acqua dolce utilizzabile per scopi non alimentari, quella salmastra sta rivestendo un ruolo sempre più importante nella gestione irrigua di molte colture. A livello del suolo, per mitigare l’eccessiva salinità è possibile considerare un adeguato apporto di ammendanti, quali compost, letame maturo o ricorrere ad altre idonee soluzioni, come ad esempio il sovescio. Non solo dal punto di vista chimico, ma anche da quello fisico gli ammendanti apportano benefici, perché migliorano la struttura del terreno, incrementandone la capacità di ritenzione idrica (inclusa l’acqua piovana), oltre a migliorare l’attività biologica.

La gestione delle acque. Contestualmente ad un’attenta gestione del terreno, è fondamentale individuare il miglior sistema di adacquamento. In tal caso, l’irrigazione a goccia, specialmente se sotto-superficiale, risulta essere particolarmente vantaggiosa nell’utilizzo dell’acqua salmastra, poichè minimizza l’evaporazione, mantiene l’umidità radicale e limita i possibili danni che il sale potrebbe provocare all’apparato fogliare delle piante. Risulta allo scopo particolarmente vantaggioso monitorare in continuo, mediante sensori, le caratteristiche e le concentrazioni di sale nei diversi bacini idrici. Un’azione maggiormente incisiva è ottenuta senza dubbio con la dissalazione delle acque tramite osmosi; peraltro, oltreché molto onerosa per gli impianti da installare, risulta anche poco sostenibile dal punto di vista energetico.

Le tecniche agronomiche. In tal senso, si può agire direttamente sulla pianta e gestire il microclima della coltivazione in serra. La pacciamatura riduce l’evaporazione dell’acqua presente nel suolo, che pertanto rimane in maggior quantità a disposizione della coltura. Contestualmente, si può ricorrere all’ombreggiatura, con copertura degli apprestamenti protetti per limitare l’illuminamento della luce solare diretta, avendo ovviamente cura di assicurare una corretta fotosintesi della coltura.

Danni alle macchine. Tra le molteplici sfide imposte dalla coltivazione dei terreni salmastri è da includere anche la corrosione (ma anche l’erosione superficiale) dei mezzi meccanici che sono costruiti, in toto o in parte, in metallo. Si tratta in particolare delle macchine, sia motrici che operatrici, adibite alla lavorazione del terreno. Se si tratta di acciaio, il materiale di elezione in tal senso è l’acciaio inossidabile, che però ha nel costo (e, a monte, nelle difficoltà di lavorazione) ostacoli non indifferenti alla sua diffusione. Un’alternativa meno onerosa può essere l’adozione di trattamenti superficiali protettivi, sempre dell’acciaio, come ad esempio la zincatura. Analogamente (o in aggiunta) un trattamento comunissimo per migliorare la resistenza al sale è la verniciatura e/o il rivestimento con film protettivi. Si tratta di opzioni valide, a patto di una puntuale manutenzione nel tempo, dato che tutti i trattamenti superficiali sono soggetti a decadimento. È importante rimuovere sistematicamente i residui di sale e altri contaminanti, lubrificando regolarmente le parti mobili, rilevando sistematicamente eventuali indizi iniziali di corrosione. Gli inibitori della corrosione possono offrire una protezione aggiuntiva, soprattutto nel caso di componenti più vulnerabili o difficili da trattare con altri metodi. Anche il design e le forme delle parti metalliche possono contribuire a rendere meno impattante il deleterio effetto delle acque salmastre. Le strutture scatolate, quelle con conformazioni particolarmente complesse e/o con spigoli vivi, interstizi, avvallamenti, sono propense ai ristagni d’acqua e maggiormente difficili da pulire o da asciugare, anche solo per semplice evaporazione.


La salinità del terreno

I sali interferiscono sulla permeabilità delle membrane, sulle attività enzimatiche ed ormonali ed in generale sui processi biochimici cellulari delle specie vegetali. La valutazione della salinità del terreno viene effettuata indirettamente, attraverso la misura della conducibilità elettrica della soluzione in equilibrio con il suolo, poiché tra i due parametri c’è una determinata relazione di proporzionalità.

Più in dettaglio, quando la quantità di sali solubili (solfati, cloruri e bicarbonati di sodio, potassio, calcio e magnesio) porta la conducibilità a superare il limite di 4 dS/m (decisiemens per metro) il terreno è classificato come salino. Il sodio e i cloruri sono più dannosi dei solfati, mentre il boro è nocivo già sopra concentrazioni di 1 ppm. I terreni salini o salmastri hanno pH tra 7,1 a 8,5, valore tollerato da diverse specie vegetali.

La salinità viene accentuata dove le precipitazioni non sono sufficienti a drenare i sali contenuti nel suolo e in presenza di falde acquifere poco profonde, perchè l’acqua con movimento ascendente ritrasporta i sali in superficie. La salinizzazione secondaria si riscontra anche nei terreni irrigati, specie con l’apporto di acque non idonee: ad esempio, usando acqua “dolce” con lo 0,5% di sali per volumi di 4-5000 m³/ha anno, si apportano al suolo 2-2,5 t/ha di sali.

Gli indicatori precoci di salinizzazione del terreno agrario riguardano un’essiccazione fisiologica e una mancanza di vigore nelle piante, una riduzione delle rese e la proliferazione di piante tolleranti la salinità. In zone aride o semiaride, all’incremento dell’umidità del terreno si nota una diminuzione della portanza del terreno sotto il peso delle macchine, con un aumento del compattamento a causa del peggioramento della struttura fisica del suolo. Ulteriori segnali di grave ed evidente salinizzazione è la comparsa di zone o strisce biancastre superficiali, o addirittura di una vera e propria crosta.

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