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Tecnica

La protezione dell'operatore nei trattamenti fitosanitari

La difesa delle colture utilizza prodotti che, in varie forme, possono essere nocivi per l’organismo umano. È quindi necessario adottare e impiegare scrupolosamente i Dispositivi di Protezione Individuale dedicati allo scopo

di Lavinia Eleonora Galli
aprile - maggio 2020 | Back

Dal florovivaismo e dalle orticole in serra sino all’arboricoltura di pieno campo. Per la loro difesa, tutte le produzioni vegetali necessitano di trattamenti fitosanitari (siano essi tradizionali o di natura biologica). I prodotti che il mercato mette a disposizione sono sostanzialmente in forma liquida o polverulenta, e vengono distribuiti in miscela con acqua tramite irroratrici accoppiate al trattore o, per superfici ridotte, a spalla. I rischi a cui sono esposti gli operatori sono quelli di ingestione, inalazione e contatto cutaneo con i principi attivi impiegati. Contrariamente a quanto si possa immaginare, è stato ampiamente comprovato che proprio il contatto con parti esposte della pelle del corpo risulta essere il pericolo di maggior entità di intossicazione o addirittura di avvelenamento, sia a breve che soprattutto a lungo termine, anche con insorgenza nel tempo di gravi patologie.

I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) sono il principale presidio da considerare per un’adeguata protezione personale.  I DPI sono classificati secondo tre livelli di protezione, ovvero: Cat. I: adatti in condizioni di rischio fisico di lieve entità; Cat. II: fruibili per livelli di rischio superiori alla cat. I, ma non gravi; Cat. III, idonei per tutelare l’operatore da rischi gravi e/o mortali. Con particolare riferimento all’ambito agricolo, oltre ai DPI (per definizione di uso personale) la protezione dal rischio chimico rappresentato dai prodotti fitosanitari può essere efficacemente attuata mediante alcuni specifici dispositivi che possono corredare la cabina del trattore, ovvero la postazione di lavoro dell’operatore. Quindi, da questo punto di vista una cabina pressurizzata e provvista di filtri chimici a carboni attivi (omologata in “classe 4”) può costituire una valida alternativa ai classici DPI indossabili in questo contesto, cioè tuta, guanti, stivali e dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

 

Le cabine classe 4

Omologate in conformità alla normativa UNI 15695-1:2018, prevedono l’installazione di filtri (certificati per la protezione contro le più comuni sostanze contenute nei principi attivi dei prodotti fitosanitari), integrati in impianti di ventilazione “potenziati”, in grado di stabilire e mantenere nel tempo una leggera pressurizzazione dell’abitacolo, in modo da scongiurare un’accidentale infiltrazione di aria inquinata dall’ambiente esterno.

Nonostante il rischio maggiore sia quello del contatto, è indubbio che un’ulteriore via di possibile intossicazione dell’operatore nei trattamenti fitosanitari possa essere quella dell’inalazione di prodotti tossici. Sono stati quindi messi a punto DPI specifici, a diversa conformazione, livello di protezione e area del corpo coperta dal dispositivo.

La protezione delle vie respiratorie può limitarsi ad una filtrazione fisica dell’aria, in grado di trattenere particelle di differente granulometria, affinché non raggiungano le vie aeree. Viceversa, la filtrazione chimica, che protegge da gas o vapori nocivi, si avvale di dispositivi in grado di bloccare determinate classi di sostanze, anche in relazione alla loro concentrazione. I più comuni dispositivi per la protezione sia fisica che chimica delle vie aeree sono le semimaschere, le maschere e i caschi ad aria condizionata. La scelta del DPI più adatto è condizionata dall’adattamento a determinate caratteristiche anatomiche dell’operatore, soprattutto in termini di aderenza al suo volto e mantenimento della sovrappressione necessaria per l’isolamento dal potenziale contatto con le sostanze dannose.

 

Le maschere e semimaschere

Si differenziano in mono o bifiltro. Pur garantendo ottimi livelli di protezione e assicurando maggior libertà di movimento rispetto ai caschi, le maschere e le semimaschere offrono protezione delle sole vie aeree, per cui devono essere integrate con altri DPI di protezione della testa, quali cappucci o copricapo usa e getta. Non ne è consigliabile l’impiego da parte di personale con barba o basette, per la possibile interferenza sulla corretta aderenza della maschera al viso. Come i caschi, anche le maschere si avvalgono solitamente di un impianto di ventilazione forzata, per garantire una leggera pressurizzazione interna.

Come suggerisce il nome, le semimaschere coprono parzialmente il volto, in particolare solo la zona del naso e della bocca; pertanto, per una protezione efficace devono essere abbinate a occhiali protettivi e a DPI per la copertura della testa. Particolare attenzione dovrà essere posta alla protezione della fronte, che risulta essere una porzione di cute di significativa estensione esposta al contatto diretto con le sostanze nocive.

 

I caschi ad aria condizionata

Proteggono al contempo testa, viso, orecchie e collo. Si distinguono in base alle modalità di appoggio sul corpo, ovvero sulle spalle o sulla testa: si tratta di una peculiarità molto importante per una corretta scelta, in base alla fisionomia dell’operatore, soprattutto in relazione al corretto scarico del peso del dispositivo, in modo che aderisca bene al corpo, allo scopo di evitare infiltrazioni di aria esterna inquinata.

Possono essere classificati in due macro categorie, in base al pettorale, che può essere flessibile, oppure semirigido. Nel primo caso, la parte terminale inferiore è realizzata in tessuto cerato, e copre il collo e parte delle spalle; in questo caso, bisogna prestare particolare attenzione affinché la copertura aderisca correttamente alle spalle, per scongiurare l’entrata di aria contaminata. Viceversa, il pettorale semirigido è costituito da un collare interno, che isola il collo e va correttamente posizionato senza creare discontinuità con la tuta protettiva, e da una copertura esterna che viene tenuta tesa tramite elastici, consentendo un isolamento ottimale dell’operatore. Pur garantendo un’elevata protezione di tutto il capo dal contatto con le sostanze nocive, i caschi evidenziano alcune criticità, come ad esempio una visibilità non sempre ottimale, specie lateralmente e in caso di rotazione della testa. Si tratta peraltro di un’esigenza particolarmente sentita dagli operatori nell’esecuzione dei trattamenti fitosanitari, perché è necessario controllare di frequente il regolare funzionamento dell’irroratrice, che è montata posteriormente al trattore. Le apparecchiature a corredo dei caschi sono solitamente alimentate a batteria, oppure sono collegate direttamente all’impianto elettrico del trattore. A tale scopo, alcuni modelli sono dotati di una cintura addominale che contiene il pacco batterie e il regolatore d’aria, e in qualche caso anche i filtri. In alternativa, qualche costruttore offre modelli in cui tutte le parti principali sono integrate nel casco, con il vantaggio di poter assicurare una certa libertà di movimento all’operatore che lo indossa.


I filtri

Corredano le maschere, le semimaschere e i caschi; devono essere certificati, secondo normative dedicate, come dispositivi di categoria III. Si tratta solitamente della combinazione di un prefiltro, che cattura le polveri grossolane e tramite uno strato in feltro deumidifica l’aria in ingresso, e di un filtro a carboni attivi che reagisce chimicamente con il principio chimico da bloccare. I dispositivi sono differenti per morfologia, campo d’azione e ambito d’uso. Le caratteristiche filtranti sono codificate mediante una sigla, che comprende numeri, lettere e colori. Per ottenere una capacità filtrante più completa, si possono abbinare più filtri. I filtri devono essere sottoposti ad una scrupolosa manutenzione, per evitare intasamenti e perdita di efficacia filtrante. Hanno una data di scadenza e sono previste a cura del fabbricante specifiche routine di sostituzione.

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