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Ambiente

Con la chimica verde l'ortofrutticoltura è più sostenibile

La Chimica Verde può fornire delle soluzioni efficaci e sostenibili a tanti problemi del settore agricolo. Un'indagine condotta del Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia del CREA ha messo a confronto enti di ricerca, operatori e amministrazioni per individuare tecniche e tecnologie innovative a basso impatto ambientale per preservare gli agroecosistemi interessati dall'ortofrutticoltura nazionale. Puntando sulla combinazione di una pluralità di azioni, la Chimica verde – al contrario di quella di sintesi – mira a prevenire più che a curare. In questo anche la meccanizzazione gioca un ruolo importante

di Matteo Monni
luglio - settembre 2019 | Back

Anche in agricoltura, come in tanti altri settori produttivi, la ricerca e l’innovazione giocano un ruolo centrale contribuendo ad aumentarne la sostenibilità economica, ambientale e sociale. La capacità di innovare serve a relazionarsi meglio al mutare delle richieste dei mercati e dei delicati equilibri che regolano gli agroecosistemi. Perciò è importante che tutti i soggetti che a vario titolo concorrono alla produzione di nuova conoscenza dialoghino fra loro, condividendo esperienze e percorsi di sviluppo. Il contributo della ricerca è tanto più efficace quanto più è ispirato dall’esperienza in campo di imprese e/o di tecnici consulenti che con le problematiche operative sono quotidianamente a contatto. In questa logica si colloca il Focus d’innovazione “Chimica verde”, una delle cinque iniziative che il Crea – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia (CREA-PB) promuove nell’ambito della Rete Rurale Nazionale per individuare soluzioni ad elevata sostenibilità atte a risolvere – in particolare nel settore ortofrutticolo – problemi delle fasi di produzione e trasformazione e assicurarne la diffusione ai diversi portatori di interesse.

L’indagine parte da un workshop organizzato nel marzo 2018 (“Opportunità e vincoli per una ortofrutticoltura sostenibile – I problemi del comparto secondo i portatori di interesse”) a cui hanno partecipato ricercatori di Crea, Cnr, Enea, Università e grandi operatori del settore. Da questo primo confronto è scaturito un documento di avvio (“Per un’ortofrutticoltura sostenibile – Le proposte della Chimica Verde”) con la costituzione di un apposito Comitato Scientifico e la definizione delle problematiche da indagare secondo i seguenti step: circoscrivere i problemi del comparto (fase di ricognizione); individuare le possibili soluzioni nell’ambito della bioeconomia, (fase di identificazione); verificarne l’applicabilità nei diversi contesti di riferimento (fase di validazione); divulgare le soluzioni individuate ai portatori di interesse (fase di diffusione).

La ricognizione dei problemi dell’ortofrutta italiana – condotta dall’Associazione Chimica Verde Bionet in collaborazione con Itabia – è avvenuta coinvolgendo i portatori di interesse del comparto (produttori, tecnici, ricercatori e rappresentanti delle istituzioni) in un confronto costante. L’indagine è stata svolta in prima battuta tramite un questionario rivolto ai principali operatori del settore. Successivamente, per essere maggiormente incisivi, sono stati organizzati incontri diretti con tecnici, funzionari regionali, aziende e OP rappresentative del comparto ortofrutticolo in sei Regioni italiane: Campania, Lazio, Marche, Puglia, Sicilia e Trentino Alto Adige. Da questo confronto sono emersi i principali punti critici del settore: sia di carattere tecnico, a partire dal diffondersi di nuove patologie (vedi Cimice asiatica), sia di tipo burocratico-normativo, che ostacolano le soluzioni alternative che già si potrebbero adottare, dalla più semplice, come il compostaggio dei residui aziendali, alla più delicata questione di impiego di insetti antagonisti alloctoni.

Le soluzioni possibili vengono ben descritte in otto schede - scaricabili dal sito del Crea-Pb (www.reterurale.it/FocusChimicaVerde). Queste sono il risultato sia delle esperienze innovative emerse dai tavoli, sia dell’analisi delle soluzioni disponibili condotta dal Comitato Scientifico. Si tratta di schede divulgative che, senza pretesa di compiutezza e organicità, aiutano a capire le concrete potenzialità della chimica verde a supporto di un’agricoltura più sostenibile ed efficace, anche per la sua diversità di approccio ai problemi.

Il primo argomento trattato è il ‘Cropping System’, ossia le scelte di ordinamento colturale integrate con le soluzioni più coerenti in modo da garantire un triplice risultato: miglioramento della fertilità e delle caratteristiche dei suoli, tramite piante intercalari da sovescio o ammendanti e fertilizzanti ottenuti da residui, quali compost, digestato e biochar; controllo delle infestanti, tramite lavorazioni meccaniche, pirodiserbo, teli biodegradabili per pacciamatura; prevenzione o controllo dei patogeni, tramite mezzi tecnici alternativi, quali biopesticidi e biofumiganti, corroboranti, biostimolanti, microrganismi, attivatori biologici, insetti antagonisti.

Gli altri temi inquadrati riguardano i supporti “biobased” in fase di campo, i metodi di conservazione post-raccolta, la gestione dei residui e il packaging, con lo sviluppo, sollecitato dagli stessi consumatori, di soluzioni biocompostabili o riciclabili. Ovviamente nelle soluzioni individuate i prodotti della ‘chimica verde’ hanno un ruolo preminente, ma non esclusivo.

è opportuno infatti chiarire che con ‘chimica verde’, in questa indagine, si intende il corpo di conoscenze e di tecniche per l’utilizzo di materie prime derivate da organismi viventi: vegetali, animali, funghi, alghe, batteri, lieviti e altri microrganismi. Ossia materie prime di origine biologica ‘a ciclo corto di carbonio’ (per distinguerle dalle materie prime biologiche di origine fossile, quali petrolio, carbone, gas naturale e così via).

Quindi, la chimica verde si distingue dalla petrolchimica e in generale dalla chimica di sintesi per vari motivi. In primis opera con processi e prodotti più sostenibili, grazie all’impiego di materie prime rinnovabili, facilmente biodegradabili e in genere a bassa tossicità per l’uomo e per l’ambiente. Inoltre dispone, potenzialmente, di un corredo di molecole enormemente più ricco e complesso di quello della petrolchimica, che richiede l’impiego di conoscenze, metodologie e processi altamente innovativi, derivati dalla genetica, dalla biologia molecolare e dalle scienze della vita in generale.

Innovare con la chimica verde quindi implica non solo un cambio di prodotti, ma anche di approccio: i nuovi prodotti vanno impiegati innanzitutto in funzione preventiva e polivalente.

Si punta quindi su prodotti che aiutano la pianta a sviluppare le proprie difese, o fornendo determinate sostanze oppure arricchendo il suolo con microrganismi utili a combattere vari patogeni o semplicemente arricchendo la sostanza organica e migliorando la struttura del terreno. Un altro concetto fondamentale incorporato nella chimica verde è l’economia circolare.

Dato che ogni tipo di biomassa contiene una ricchezza di molecole utilizzabili, il cosiddetto ‘scarto’ diventa una fonte potenziale di ulteriori benefici ambientali e di reddito. Su tutti questi aspetti l’innovazione interessa anche il settore della meccanizzazione agricola che può agevolare lo sviluppo della chimica verde facilitando l’uso di prodotti o il recupero di biomasse residuali.

Per questa ragione FederUnacoma ha dato visibilità al progetto del Crea Pb nella sua fase d’avvio, in occasione di EIMA International 2018 e non mancherà di divulgarne gli esiti finali con un apposito workshop nell’ambito della prossima fiera di Agrilevante (Bari, 10-13 ottobre 2019).

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