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La bioeconomia sfida i cambiamenti climatici

Nel corso della recente COP 23 una particolare attenzione è stata posta alla bioeconomia come strategia fondamentale per contrastare il fenomeno del riscaldamento globale. Ministri e rappresentanti di alto livello dei numerosi Paesi membri della "Biofuture Platform" – a cui aderiscono anche Italia e India – hanno sottoscritto una dichiarazione di intenti per supportare lo sviluppo sostenibile di bioprodotti e bioenergia. Puntare su risorse rinnovabili è la sfida per la decarbonizzazione dell'economia del futuro

di Matteo Monni
dicembre 2017 | Back

La ventitreesima Conferenza ONU sul clima (COP 23) di Bonn, lo scorso novembre, è terminata senza lasciare un ricordo paragonabile allo slancio verso la decarbonizzazione dell’economia globale generato un paio di anni fa a Parigi. Infatti, le posizioni dei Governi europei sono apparse ancora poco incisive, gli USA si sono defilati e i Paesi in via di sviluppo hanno manifestato delle perplessità sull’atteso impiego delle risorse economiche (100 miliardi di dollari) con cui essere supportati per far fronte ai cambiamenti climatici (la difesa dai fenomeni meteorologici estremi, l’innalzamento del livello dei mari, l’avanzare della desertificazione, ecc.). In ogni modo, anche se in molti hanno percepito una limitata concretezza nelle posizioni della politica, si è sicuramente incassato un buon risultato sulla strada dell’uscita dall’era delle fossili più inquinanti come il carbone, trainata anche dall’affermazione sul mercato delle fonti energetiche rinnovabili FER. Per fare alcuni esempi lampanti, negli Stati Uniti, da quando Trump ha dato il mandato di revisionare il “Clean Energy Plan” del suo predecessore Obama, sulle rinnovabili sono stati comunque investiti quasi 30 miliardi di dollari. Negli ultimi anni oltre la metà delle centrali a carbone USA hanno chiuso e tante altre sono in procinto di farlo. Realtà economicamente molto forti – vedi la California o la città di New York – continuano a rispettare gli impegni per la riduzione delle emissioni climalteranti con programmi di sviluppo delle rinnovabili. In India, secondo i dati diffusi dal Ministero delle energie nuove e rinnovabili, in soli 12 mesi (aprile 2016 - marzo 2017) sono stati installati impianti a fonti rinnovabili per una potenza elettrica di 11 GW contro i 7,6 GW da fonti convenzionali. Per la prima volta nella storia di questo popoloso Paese si è registrato il sorpasso degli investimenti in energia pulita rispetto a quella fossile. Inoltre, anche se una quota imponente (circa il 70%) del consumo energetico dell’India è ancora appannaggio del carbone, l’emergenza inquinamento ha portato a decretare il divieto a costruire nuove centrali a carbone a partire dal 2022, mettendo in discussione da subito anche investimenti già pianificati. Inoltre, per lo stesso anno, è fissato un target di incremento delle FER di 175 GW attraverso l’installazione di: 100 GW di energia solare; 60 GW di eolico; 10 GW di bioenergia; 5 GW di idroelettrico. Infine, in Italia, la recente Strategia Energetica Nazionale ha stabilito di dismettere tutte le centrali termoelettriche a carbone entro il 2025. Tutti questi esempi, e se ne potrebbero fare tanti altri, fanno emergere un orientamento, diffuso ormai su scala globale, per contrastare il surriscaldamento del nostro Pianeta. Nel complesso la COP 23 di Bonn non è stato un mero rito di eco-diplomazia, i negoziati sono andati avanti e attraverso il dialogo tra le parti molte bozze di documenti hanno trovato una loro definizione. Tra queste una che merita di essere ricordata riguarda la Bioeconomia. Ministri e rappresentanti di alto livello dei numerosi Paesi membri della “Biofuture Platform” a cui aderiscono Italia e India, insieme con Argentina, Brasile, Canada, Cina, Danimarca, Egitto, Finlandia, Francia, Indonesia, Marocco, Mozambico, Olanda, Paraguay, Filippine, Svezia, Regno Unito e Uruguay, definendo una visione strategica della bioeconomia per contrastare l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici. Il settore della bioeconomia non è una nicchia di mercato limitato; interessa infatti un ampio e variegato insieme di attività economiche che a partire da risorse biologiche rinnovabili possono avere formidabili sbocchi nella sfera dell’energia, dei biomateriali, della chimica verde, ecc. Ovviamente tutte queste filiere produttive devono basarsi su pratiche sostenibili che possono essere trainate da ricerca scientifica, innovazione tecnologica e tante buone pratiche già ben consolidate. Con questi presupposti l’auspicata crescita della bioeconomia, oltre al rispetto della biodiversità, può anche produrre grandi benefici ambientali, sociali ed economici sostituendo le materie prime fossili, creando posti di lavoro e promuovendo lo sviluppo dei territori. Una gestione intelligente delle biomasse residuali del settore agricolo e forestale può generare un enorme flusso di risorse preziose per alimentare cicli produttivi a basso impatto ambientale. Ogni anno le colture agricole, le foreste egli organismi marini catturano diverse centinaia (circa 250) di miliardi di tonnellate di CO2 atmosferica in biomasse da cui ottenere prodotti con un elevato valore aggiunto. Nonostante l’affermarsi di un diffuso consenso sociale ed imprenditoriale verso la bioenergia e i bioprodotti, il loro trend (salvo alcuni paesi e comparti) di crescita non è al passo con il potenziale di sviluppo e l’urgenza ambientale da affrontare. Gli investimenti sono infatti rallentati da alcuni ostacoli (soprattutto di natura finanziaria e politica), che si potrebbero rimuovere attuando una serie di punti indicati nel documento in oggetto, alcuni dei quali sono di seguito riportati: la rimozione delle sovvenzioni per la produzione e l’uso di combustibili fossili; l’introduzione di una carbon tax e di incentivi per bioenergia e bioprodotti nella sfera dell’economia circolare; la creazione di catene del valore integrate che colleghino una vasta gamma di industrie e di organizzazioni di coltivatori di biomassa agli utilizzatori finali di bio-prodotti e bioenergia; l’attuazione di politiche agricole intelligenti per promuovere l’uso razionale delle risorse, il ripristino delle terre degradate e la protezione della biodiversità, riducendo gli sprechi e valorizzando al massimo tutti i residui produttivi; il rafforzamento del sostegno alla ricerca per l’innovazione da affiancare al trasferimento delle conoscenze a livello internazionale. Dall’elenco delle cose da fare si intuisce che il percorso da seguire è lungo e non privo di difficoltà, ma le ricadute positive sono tali da giustificare lo sforzo necessario. Ecco perché impegnarsi a creare le condizioni per sostenere una bioeconomia a basse emissioni di carbonio è una sfida urgente e vitale per le sorti del nostro Pianeta.

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