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Giardinaggio

Economia circolare per le aree a verde

Secondo il nuovo paradigma dell’economia circolare i prodotti con componenti di natura biologica a fine ciclo non vanno inviati in discarica o all’inceneritore ma vengono reimmessi nei cicli naturali della biosfera, mentre i prodotti tecnologici che non possono essere reinseriti nella biosfera, possono essere recuperati in quanto realizzati prevedendo già all’origine il loro possibile riutilizzo

di Pietro Piccarolo
ottobre 2019 | Back

A partire dalla fine del secolo scorso si è sempre più sviluppata una nuova visione dell’economia. Fatti come la crisi di materie prime, la sovrapproduzione di rifiuti, la deforestazione, il cambiamento climatico, hanno messo sotto accusa il modello economico in atto, dettato dall’economia lineare. Un’economia basata sulla massimizzazione del profitto, sulla riduzione dei costi, sull’usa e getta, nella convinzione di potere disporre in modo pressoché illimitato di grandi quantità di risorse e di energia. Questo modello economico lineare, “prendi – produci – smaltisci” (take – make – dispose), ha infatti causato enormi problematiche a livello globale di tipo sociale, economico e ambientale, di cui il riscaldamento globale rappresenta l’espressione più evidente. In contrapposizione a tale modello è nato, attraverso una lunga presa di coscienza, quello ad economia circolare, cioè di un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo così il consumo di risorse e di energia, minimizzando nel contempo sprechi e rifiuti.

 

Economia circolare

Tra le diverse definizione di economia circolare, la più accreditata ed esaustiva è ancora quella della Ellen MacArthur Foundation che risale al 2012. L’economia circolare viene così definita: “un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola”. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnologici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”. In sostanza, i prodotti con componenti di natura biologica a fine ciclo non vanno inviati in discarica o all’inceneritore ma vengono reimmessi nei cicli naturali della biosfera, mentre i prodotti tecnologici che non possono essere reinseriti nella biosfera, possono essere recuperati in quanto realizzati prevedendo già all’origine il loro possibile riutilizzo.

Questa visione richiede un cambiamento del modello produttivo e il controllo di tutte le fasi della filiera, a partire dalla fase iniziale di progettazione, tenendo naturalmente conto del risultato economico. In senso figurato, la linea retta che rappresenta il modello di economia lineare deve essere piegata su sé stessa formando un circolo chiuso, in modo che il prodotto a fine vita, anziché rappresentare uno scarto o un rifiuto ed essere così espulso, sia trasformato in nuova risorsa. Viene così sostituito il concetto di fine vita con quello di trasformazione. Tutto questo con un approccio di tipo ecosistemico, basato sull’impiego di energie rinnovabili e il progressivo abbandono dell’energia da fonte fossile. L’abbandono quindi dell’approccio consumistico per passare a quello sostenibile sul piano non solo ambientale ma anche economico e sociale.

Nella logica del modello a economia circolare rientra la fertilizzazione incrociata (cross-fertilization). Questo modello comporta che materie definite come scarti in un tipo di produzione possano divenire materie prime in un’altra, grazie alla creazione di scambi interciclo e intersettoriali. In altri termini, si devono realizzare interazioni tra diverse competenze ed esperienze per dare vita a qualche cosa di diverso, sia esso un nuovo prodotto o un nuovo processo. Questo concetto, alla base della cross-fertilization, è stato acquisito nel tempo da diverse discipline, compresa quella economica.

Da quanto brevemente esposto si evince che le ricadute del modello a economia circolare non sono solo sul piano ambientale ma anche su quello economico, sociale e territoriale. La transizione verso tale modello è stata recepita e promossa dall’Unione Europea, con l’obiettivo di stimolare una crescita economica sostenibile. Nel 2017 l’economia circolare è entrata nel processo legislativo nazionale, con un documento preparato dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero dello Sviluppo Economico, dal titolo “Verso un modello di economia circolare per l’Italia: documento di inquadramento e posizionamento strategico”, nel quale vengono presentati i principi che stanno alla base dell’economia circolare.

 

L’applicazione al settore del verde

I principi che regolano l’economia circolare sono naturalmente validi per tutti i settori, compreso il settore del verde. L’applicazione, prescindendo dai mezzi impiegati per la realizzazione e gestione delle aree a verde, investe il campo dei componenti biologici che, anziché smaltiti, possono essere riciclati. In questo articolo tratteremo: il taglio ad effetto mulching dei tappeti erbosi, il compostaggio e la pacciamatura, i biostimolanti e i consorzi micorizzati. Alla base di queste soluzioni vi è il principio che la materia organica vegetale e gli altri elementi nutritivi in essa contenuti (azoto, fosforo, potassio…) devono ritornare al terreno. Tutto questo nella consapevolezza, da parte di quanti operano nel settore, che la materia organica non ha gli stessi tempi di mineralizzazione dei prodotti minerali.

Taglio a effetto mulching

Nel taglio dei tappeti erbosi a effetto mulching o, più correttamente grass-cycling, l’erba tagliata anziché essere direttamente scaricata viene trinciata all’interno del carter del rasaerba e i frammenti erbacei che ne derivano vengono proiettati sulla cotica erbosa. Nel taglio con asportazione, i componenti fertilizzati, azoto, fosforo, potassio, assorbiti dall’erba vengono espulsi insieme alla biomassa erbacea. Con il grass-cycling, oltre al recupero della parte organica si ha anche il riciclo degli elementi fertilizzanti: l’azoto viene trattenuto sotto forma organica ed anche il fosforo viene fissato dal terreno.

Per effettuare in modo corretto il grass-cycling è necessario, rispetto al taglio con raccolta, intervenire con maggiore frequenza, effettuando tagli più ravvicinati (ogni 4-6 giorni), in modo da ridurre la quantità di biomassa tagliata, al fine di ridurre i tempi di decomposizione e limitare così il rischio della formazione del feltro. Per la stessa ragione, al momento del taglio, l’erba del tappeto erboso deve essere asciutta. Sul piano organizzativo il più alto numero di tagli è in parte compensato dalla maggiore capacità di lavoro della macchina.

L’apparato per il grass-cycling viene realizzato in diverse versioni e può essere montato su macchine, sia con conducente a terra che a bordo. Le lame dell’apparato di taglio sono affilate lungo tutta la lunghezza e non solo nella parte terminale. Per facilitare la trinciatura dell’erba, sul carter possono essere montati speciali deflettori che indirizzano l’erba tagliata verso le lame in modo da facilitarne la trinciatura.

Compostaggio e pacciamatura

I residui del verde rappresentano la materia prima per attuare, attraverso il loro riciclo, compostaggio o pacciamatura. Molto schematicamente, i residui di natura cellulosica (erba dal taglio dei tappeti erbosi, foglie morte cadute a terra) e quelli lignocellulosici (rami di potatura di arbusti e siepi), possono essere destinati al compostaggio, mentre quelli con alto contenuto di lignina (rami di potatura di alberi) possono essere destinati alla pacciamatura.

Riferendosi al solo verde urbano, si tratta di grandi quantitativi e, quindi, di una risorsa da valorizzare attraverso il riciclo, creando una nuova filiera. In Italia mancano i dati relativi alla massa di rifiuti del verde. Per contro, uno studio condotto in Francia nel 2015, rivela che la massa di rifiuti del verde a livello nazionale ammonta a 61,36 milioni di tonnellate (Mt), di cui il 60% dato dai residui di potatura degli alberi, il 28% dall’erba di sfalcio, il 6% dalle foglie e il resto da altro. Pur in assenza, a livello nazionale, di tali dati, si può comunque affermare che, In termini volumetrici, le foglie morte raccolte in un anno, in funzione della specie e della frequenza della raccolta, rappresentano un volume compreso tra 140 e 150 m3 ogni mille alberi. La produzione media dell’erba di rasatura dei tappeti erbosi è di 15-25 m3 per ettaro all’anno: in funzione del tipo di tappeto e della frequenza del taglio, si va dai 3 – 6 m3/ha per i tappeti a bassa frequenza ai 25 – 30 m³/ha per quelli ad alta frequenza. I residui di potatura di siepi ed arbusti sono dell’ordine di 4 – 5 m³ per ogni mille metri lineari, mentre la volumetria dei rami di potatura degli alberi, molto variabile a seconda della specie e del tipo di potatura, è compresa in una forbice tra i 150 m³ e i 250 m³ ogni mille alberi.

Per la raccolta delle foglie e dell’erba lasciata sul prato le macchine impiegate sono soffiatori e aspiratori nelle loro diverse tipologie, da quelli manuali (auspicabilmente a batteria) ai semoventi. I residui di potatura vengono trattati con cippatrici e biotrituratori; il trattamento di trinciatura riguarda anche foglie e erba destinate alla produzione di compost. Va tenuto presente che, per la produzione di compost, le foglie e tutto il materiale vegetale colpito da attacchi fungini non può essere utilizzato onde evitare la diffusione del parassita attraverso il prodotto compostato. Analogo discorso vale per la biomassa in prossimità di reti stradali altamente frequentate, in ragione di una possibile contaminazione da inquinanti atmosferici (metalli pesanti) prodotti dagli scarichi delle macchine.

Per il trattamento del materiale cellulosico, si impiegano biotrituratori con apparato trinciante a rotore, mentre per il materiale legnoso si fa ricorso a cippatrici con apparato a disco che porta alla produzione di scaglie adatte per la pacciamatura. Rientra nell’ottica dell’economia circolare, anche l’impiego della plastica biodegradabile. La bioplatica per la pacciamatura è generalmente costituita da un telo in amido di mais, la cui durata è pari a circa quella di un ciclo colturale, cioè pochi mesi. La biodegradazione di questi teli non provoca inquinamento e, al termine del ciclo colturale, i teli possono essere interrati con un normale motocoltivatore.

 

Biostimolanti e consorzi micorizzati

I biostimolanti, secondo la definizione dell’European Biostimolant Industry Council (EBIC), sono “sostanze e/o microrganismi che applicati alla pianta o alla rizosfera stimolano i processi naturali che migliorano l’efficienza di assorbimento e di assimilazione dei nutrienti, la tolleranza a stress abiotici e la qualità del prodotto”. Rientrano nella logica dell’economia circolare perché si tratta di dare nuova vita a componenti organici. I componenti essenziali di questi biostimolanti sono infatti rappresentati da estratti di alghe, da sostanze umiche provenienti prevalentemente da compost e da torba, da idrolizzati proteici ricavati da biomasse vegetali di leguminose e da altri tipi di biomassa. Non sono antiparassitari e neanche fertilizzanti, coi quali possono essere abbinati per aumentarne gli effetti.

L’impiego dei consorzi micorizzati, cioè di una miscela di batteri e funghi, anche inserita nei biostimolanti, va sempre più diffondendosi. I consorzi micorizzati sono il frutto di ceppi naturali messi a coltura con le tecniche della biotecnologia (in vitro, sporulazione). L’azione è sull’apparato radicale che viene fortemente aumentato, incrementando così il rapporto apparato radicale/apparato aereo. Di conseguenza, l’apporto di mycorrize ha effetti positivi proprio a livello di rizosfera, dove migliora l’assimilazione degli elementi minerali e l’assorbimento dell’acqua da parte delle piante, grazie alla maggiore penetrazione nel terreno dell’apparato radicale. Altri effetti positivi sono: una maggiore resistenza agli stress idrici, una migliore ripresa degli alberi impiantati e una bioprotezione contro i patogeni del suolo. Possono essere distribuiti direttamente con il seme al momento della semina, o a differenti stadi della crescita interrando la miscela nel terreno, o anche messi nella buca che dovrà accogliere la pianta nei nuovi impianti di alberi.

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