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Gli irrigatori a naspo, una tecnologia evoluta per la risorsa acqua

Il massiccio ricorso alle tecnologie elettroniche e informatiche più evolute permette l’esecuzione di interventi irrigui ottimizzati, sia in base alle effettive esigenze della coltura sia per conseguire un razionale sfruttamento dell’acqua, una risorsa che è sempre più preziosa. Il mercato offre oggi una vasta scelta di carri a naspo, le cui caratteristiche si adattano alle necessità delle diverse aziende. La portata dell’irrigatore è una variabile importante giacché più è ampia la superficie dominata maggiore è l’economia complessiva dell’intervento

di Davide Facchinetti
aprile - maggio 2020 | Back

Gli irrigatori semoventi a naspo, detti anche familiarmente “rotoloni”, sono le attrezzature impiegate per l’irrigazione per aspersione (comunemente definita “a pioggia”); grazie alla loro spiccata versatilità e adattabilità a diverse colture, dimensioni fondiarie e giaciture dei terreni, rappresentano una valida alternativa agli impianti fissi o semifissi. La denominazione “rotoloni” si riferisce alla grossa bobina che si forma quando il tubo si avvolge progressivamente su un grande rocchetto, mentre l’elemento irrigatore transita in tiro sul campo. Grazie all’investimento iniziale contenuto rispetto agli impianti fissi, queste macchine sono adatte per meccanizzare l’irrigazione: semplici da movimentare, permettono di dominare superfici elevate, richiedono poca manodopera e non necessitano di collocare tubazioni fisse in campo. Inoltre possono distribuire acqua senza necessità di filtraggio preventivo e sono anche idonei per interventi di fertirrigazione. L’ampia scelta di modelli sul mercato, con diverse dimensioni e capacità di lavoro e la succitata versatilità d’impiego hanno decretato il grande successo commerciale di queste macchine; non è un caso se circa un terzo dei 2,5 milioni di ettari irrigui in Italia vengano adacquati proprio con irrigatori a naspo.

Un po’ di storia…

I primi irrigatori semoventi a naspo furono messi a punto in Francia negli anni ‘70 del secolo scorso; impiegati all’inizio quasi esclusivamente per le irrigazioni di soccorso su coltivazioni di pieno campo, dopo quasi 50 anni si stima che in Italia siano attivi più di 65.000 esemplari di questo tipo. I più importanti costruttori di rotoloni, ubicati in Emilia Romagna, Marche e Veneto, hanno acquisito un’elevata competenza tecnica, avvalendosi tra l’altro della collaborazione di agronomi e ricercatori universitari per la sperimentazione di campo. La strategia si è rivelata vincente, per acquisire significative quote di mercato estero e conquistare la leadership nel settore a livello mondiale, contribuendo quindi in modo molto positivo al nostro saldo commerciale. I modelli più evoluti possono oggi lavorare al meglio su tutte le coltivazioni, sia di pieno campo che non, e sono in grado di eseguire precisi programmi irrigui per soddisfare appieno le necessità della coltura, evitando sottostime e inutili sprechi.

 

L’evoluzione tecnologica

Inizialmente, gli irrigatori a naspo erano assemblati con componentistica non specificamente studiata per  l’impiego previsto: ad esempio, i tubi in polietilene (PE) avevano densità elevate, quindi erano troppo rigidi per adattarsi bene all’arrotolamento; gli irrigatori (sprinkler) erano concepiti per adacquamenti da postazioni fisse, pertanto piuttosto sensibili alla deriva da vento; le turbine usate per l’avvolgimento idraulico richiedevano alte pressioni idriche  e non sempre garantivano un regolare avvolgimento del tubo; una serie di fattori tecnici limitavano queste macchine all’adozione di tubi in PE con diametro non superiore ai 130 mm e a lunghezze massime di 300 metri. Inoltre, la limitate conoscenze tecniche dell’epoca costringevano queste macchine ad un uso sostanzialmente empirico, piuttosto che basato su dettagliate informazioni agronomiche e meteorologiche. Dagli anni ’90 del secolo scorso è iniziata l’evoluzione, a partire dall’impiego di specifiche tubazioni in PE, con diametri sino a 160 mm e soprattutto lunghezze anche di 700 metri, che di fatto corredavano modelli in grado di dominare superfici sino a 10 ha al giorno. La messa a punto di specifiche turbine con riduttore e l’adozione di irrigatori concepiti espressamente per impieghi mobili ha contribuito al miglioramento degli irrigatori a naspo: da valori iniziali di 10 bar di pressione, oggi si riesce ad operare anche con soli 5-6 bar con gli irrigatori, e addirittura a soli 1,5 bar con le barre irrigatrici, il tutto quindi con consistenti risparmi in termini di gasolio per l’azionamento della pompa.

L’elemento che differenzia gli irrigatori a naspo è l’adacquatore, ovvero, in linea di massima, lance e ali piovane. Fino a 25-30 anni fa gli irrigatori ruotavano con meccanismi ad impatto, generando un diagramma di distribuzione “a campana”, cioè con una notevole sovradistribuzione di acqua al centro della fascia irrigata, rispetto alle fasce laterali; l’adozione della turbina ha permesso di ottenere un significativo miglioramento degli standard di distribuzione. Inoltre, l’applicazione di precisi regolatori della velocità di riavvolgimento del tubo in funzione del diametro della bobina ha comportato una soddisfacente uniformità di distribuzione dell’acqua anche sull’intera lunghezza della fascia irrigata. Ulteriore innovazione ha riguardato l’uso della medesima acqua di irrigazione per raffreddare, tramite uno scambiatore, l’aria proveniente dal turbocompressore di cui è dotato il motore endotermico che aziona l’irrigatore. L’eliminazione del radiatore, oltre a risolvere definitivamente il problema della sua pulizia periodica, ha permesso anche di ridurre leggermente i consumi di combustibile e di abbattere significativamente la rumorosità.

 

I componenti principali

La parte principale della macchina è il carrello a ruote gommate, sul quale viene montato un irrigatore a grande gittata collegato ad una tubazione flessibile in polietilene. In fase di preparazione dell’adacquamento, si provvede a srotolare la tubazione, che durante l’irrigazione viene poi lentamente riavvolta in maniera automatica sul naspo (un tamburo ad asse orizzontale) movimentando la macchina in rientro. Il riavvolgimento può essere di tipo idraulico con turbina, idraulico con motore a moto lineare o idrostatico con motore endotermico autonomo. Il gruppo motopompa provvede invece all’alimentazione dell’acqua in pressione (che su qualche modello può raggiungere anche 10 bar). Qualche irrigatore è dotato anche della funzione di svuotamento del tubo tramite un compressore, in modo da diminuire la forza di trazione richiesta per lo svolgimento iniziale.

 

Centraline computerizzate

L’evoluzione decisiva è stata però decretata dalle applicazioni elettroniche. Da più di 25 anni la maggior parte delle macchine sul mercato sono dotate di centraline computerizzate, che gestiscono tutti i parametri per una completa automazione dell’adacquamento con un’ottima precisione nell’erogazione delle portate. Nel dettaglio, con la centralina è possibile temporizzare la sosta iniziale e finale dell’irrigatore, impostare la velocità di rientro del tubo, monitorare la lunghezza del tubo srotolato, controllare la pluviometria e il tempo di lavoro residuo, determinare diverse velocità sul percorso dell’irrigatore, in modo da poter dare quantitativi specifici di acqua in funzione di diversi tipi di suolo o di coltura e comandare la chiusura dell’elettrovalvola al termine dell’irrigazione. Più di recente, sono state introdotte centraline controllabili in remoto, che grazie ad una SIM dati permettono di gestire a distanza con uno smartphone tutti i parametri della macchina, avvertendo l’operatore con SMS qualora si verifichino anomalie nel funzionamento o, come quasi sempre accade, semplicemente avvisarlo che il programma di adacquamento è stato completato con successo.

 

Criteri di scelta

Sebbene i cosiddetti “rotoloni” permettano di irrigare con quote di ammortamento molto contenute, in linea generale è opportuno prediligere nella scelta quelli che assicurano un’elevata portata, quindi dotati di tubi di diametro maggiore, in modo da contenere i tempi di irrigazione e i costi connessi. Infatti, l’aumento della superficie dominata comporta una diminuzione dei costi, perché si riduce in modo importante l’incidenza della manodopera.

Considerando inoltre che l’emergenza idrica planetaria è sempre più attuale e stringente, diviene giocoforza necessario adottare tecniche di ottimizzazione dell’uso dell’acqua: i rotoloni computerizzati di ultima generazione hanno la possibilità di conseguire un significativo risparmio idrico.

Quello della “water footprint” è tra l’altro un concetto recentemente sviluppato proprio per razionalizzare l’uso dell’acqua, rappresentando un indicatore del consumo diretto e indiretto di acqua dolce per produrre un determinato bene o un servizio. La “water footprint” riguarda infatti la valutazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e la conseguente individuazione di eventuali strategie di riduzione del consumo. Il computo globale è poi rappresentato figurativamente, con diversi colori: l’acqua blu concerne il prelievo per scopi agricoli, domestici e industriali, quella verde è la quota parte di pioggia che non contribuisce al ruscellamento superficiale e infine quella grigia è ciò che serve per la diluizione delle sostanze inquinanti. L’ambito agricolo è logicamente coinvolto in modo notevole in tutte le componenti della “water footprint”; di conseguenza, l’adozione di tecniche di irrigazione ecosostenibili risulta fondamentale per il contenimento degli sprechi.

Risulta quindi importante anche un rinnovamento degli irrigatori più obsoleti: si auspica quindi l’attivazione di finanziamenti pubblici di questo settore, che concorrerebbe ad ottimizzare la gestione delle risorse idriche, incrementando al contempo la produttività.

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