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Tecnica

Inerbire anche dove sembra impossibile con l'idrosemina

Scarpate, piste da sci, cave, discariche, terre armate, opere di ingegneria naturalistica, ma anche i campi sportivi, da golf, grandi aree pubbliche ricreative nonché giardini privati o condominiali: sono questi gli ambiti in cui l’idrosemina trova maggiore applicazione. Una panoramica delle macchine impiegate per queste lavorazioni

di Domenico Pessina
gennaio - febbraio 2023 | Back

Nell'ambito delle attività proprie dell’ingegneria naturalistica, il recupero del dissesto idrogeologico occupa da sempre un ruolo di rilievo assoluto. La sistemazione delle aree degradate, perché ad esempio soggette a frane, smottamenti, erosione, ecc. è senza dubbio prioritaria rispetto ad altri interventi successivi di riqualificazione del territorio. In Italia il problema sta diventando sempre più grave, anche a fronte dell’evidente cambiamento climatico in atto, che espone il territorio nazionale a fenomeni meteorologici di intensità e frequenza progressivamente crescenti, con un aumento esponenziale del rischio di eventi catastrofici.

In questo contesto tutt’altro che rassicurante, è impellente concentrare gli sforzi sulla messa a punto di pratiche di tipo agronomico finalizzate alla migliore stabilità dei versanti, anche nel loro strato superficiale, ossia quello maggiormente esposto all’impatto meccanico e idraulico delle precipitazioni meteoriche e del vento. L’inerbimento, e più in generale la creazione di un’adeguata copertura vegetale delle zone a rischio, è un’ottima soluzione per limitare l’erosione superficiale e conferire stabilità al soprassuolo. Tuttavia, sulle aree ad elevata pendenza e/o impervie, dove è assente e non è possibile creare un’opportuna viabilità, per l’esecuzione degli interventi necessari è impossibile accedere in loco con mezzi terrestri. Una soluzione alternativa da tempo nota, che da qualche tempo ha avuto un interessante sviluppo, è quella dell’idrosemina.

Il sistema dell’idrosemina. Si tratta di una tecnica di impianto del tappeto erboso, che prevede l’applicazione sul terreno di una miscela piuttosto pastosa composta da semente, materiali di substrato pacciamanti, collanti, fertilizzanti a lenta cessione e principi acceleranti la germinazione e la radicazione.

Si effettua sulle terre armate, sulle scarpate, sulle piste da sci e nelle opere di ingegneria naturalistica, ma trova proficua applicazione anche per il recupero ambientale di cave e discariche. Il campo di applicazione dell’idrosemina è però anche più vasto: in alcuni Paesi, specie nel mondo anglosassone, è utilmente applicata anche in contesti assai meno critici dal punto di vista ambientale, come ad esempio la creazione di superfici verdi estensive pianeggianti, ovvero campi sportivi, da golf, grandi aree pubbliche ricreative nonché giardini privati o condominiali.

Nel tempo, sono state sviluppate diverse tecniche di idrosemina, che prevedono opportune varianti del preparato, finalizzate ad ottimizzare il risultato dell’inerbimento. La soluzione tradizionale prevede una miscela di semi, fertilizzante e collante, ma è possibile l’aggiunta di paglia trinciata, mulch, fibre di legno, cellulosa, ecc. per aumentare notevolmente la capacità di ritenzione idrica e migliorare il microclima in loco, favorendo in tal modo la germinazione. Inoltre, per aumentare l’aggrappamento della miscela alla superficie del suolo si possono aggiungere matrici antierosive, a base di principi idrobituminosi stabili diluiti in acqua e/o composti di fibre legate.

La gestione delle sementi. Generalmente si ricorre a un miscuglio in differenti proporzioni di graminacee (60-80%) e leguminose (20-40%), al fine di ottimizzare il risultato in relazione alle caratteristiche del soprassuolo, all’esposizione dell’area da trattare e al suo microclima, alla pendenza, ecc. Le specie maggiormente adottate sono il Lolium perenne, la Festuca arundinacea e la Festuca Rubra, la Poa pratensis, la Dactylis glomerata, la Medicago lupolina, la Onobrychis viciifolia, il Trifolium pratense e il Trifolium repens, il Bromus erectus e il Bromus inermis, ecc. In particolare, graminacee e leguminose si compensano bene sia per le caratteristiche del loro apparato radicale, sia come tempistica dell’attività vegetativa: infatti, le graminacee hanno un apparato radicale fascicolato e in qualche caso con tendenza stolonifera (che favorisce la colonizzazione del suolo), mentre le leguminose hanno radici più profonde e fittonanti e contribuiscono a migliorare il bilancio nutrizionale del terreno, grazie alla simbiosi radicale di batteri azotofissatori.

Come accennato, il preparato può essere integrato con un mulch biodegradabile, che contribuisce a creare il miglior microclima per la germinazione; con una componente ad elevata ritenzione idrica, che assorbe e rilascia gradualmente l’acqua; un ammendate, che migliora le condizioni chimico-fisiche del terreno favorendo la germinazione; un collante, che riduce la traslazione dei semi per cause ambientali (ad esempio per ruscellamento superficiale) e la predazione da parte degli uccelli, e un colorante che favorisce una distribuzione il più possibile uniforme della miscela.

I coadiuvanti: collanti e coloranti. Il collante è quindi un elemento essenziale dell’idrosemina, poiché fissa sulla superficie del terreno la miscela, impedendone il dilavamento da parte di acqua ruscellante e la dispersione a causa del vento. In funzione delle diverse situazioni operative (soprattutto la pendenza dell’area da seminare), si adottano principi attivi e concentrazioni differenti, anche se i polimeri anionici solubili in acqua ad alto peso molecolare e/o i polisaccaridi naturali sono frequentemente preferiti. Di fatto, il collante si lega efficacemente al substrato (mulch, cellulosa, fibre di legno, ecc.) che è parte della miscela, formando un fitto reticolo che trattiene efficacemente in loco anche la semente e il fertilizzante.

Viceversa, il colorante viene aggiunto al composto per ottenere la miglior visibilità della zona trattata. Per evidenti motivi, si tende a privilegiare tinte contrastanti con il substrato, e in ogni caso compatibili con l’impatto paesaggistico, anche se si tratta di un effetto più o meno temporaneo, dato che in breve tempo è prevista la crescita delle specie seminate. Solitamente si ricorre a coloranti solubili in acqua, idonei anche per la detergenza domestica e industriale, contenente conservanti e tensioattivi, con pH molto vario, da molto acido a molto alcalino.

La meccanizzazione dell’idrosemina. Dal punto di vista strutturale e funzionale, le attrezzature meccaniche per l’esecuzione dell’idrosemina sono sostanzialmente simili ai tradizionali spandiliquame per la distribuzione in campo dei reflui zootecnici (i cosiddetti “gettoni”), equipaggiati quindi con serbatoi dotati di agitatori meccanici e/o idraulici, che contengono e mantengono omogeneo il preparato, che viene poi distribuito in loco mediante sistemi di pompaggio e distribuzione, con una gittata del prodotto anche di parecchie decine di metri, grazie alla notevole pressione di lavoro. Le idroseminatrici sono accoppiate con motrici di differente tipo, potendo essere installate su rimorchi dedicati, autocarri con pianale di carico, transporter, oppure anche in abbinamento a trattori agricoli, sia in versione trainata al gancio che portata all’attacco a 3 punti. Spesso il funzionamento della macchina è assicurato da un motore endotermico autonomo, che provvede a far funzionare sia la pompa principale che un’ulteriore pompa idraulica ausiliaria per i rimanenti azionamenti. Se abbinata ad un trattore, l’attrezzatura si avvale invece proficuamente della presa di potenza quale tramite per l’azionamento.

Le versioni con motore autonomo installate su rimorchio o pianale di carico si caratterizzano per capacità di lavoro elevate e soddisfacente autonomia operativa, potendo ospitare a bordo serbatoi della miscela anche da 6.000 litri e più, con pompe volumetriche autoadescanti fino a 600 l/min di portata, una prevalenza di 12-15 bar e una gittata che può arrivare a oltre 40-45 m di distanza dal punto di lancio. In tal caso, il motore endotermico è di tipo diesel, della potenza di 70-80 Cv.

Ovviamente sono disponibili modelli di capacità minore, da installare proficuamente nel cassone di pick-up e furgoni: i serbatoi hanno capacità che non superano di norma i 1000 litri, mentre il motore oltreché di tipo diesel può anche essere a benzina, da 12 a 25 Cv circa. La gittata in questo caso varia tra 15 e 25 m.

I modelli destinati all’abbinamento con il trattore si pongono in una posizione intermedia tra questi due estremi, con serbatoi di capacità variabile tra 500 e 2000 litri, movimentazione diretta dalla presa di potenza del trattore (oppure in alternativa tramite l’impianto idraulico principale della motrice), una prevalenza variabile tra 10 e 14 bar e una gittata che va da 15 a 40 m e più.

Il motore endotermico aziona spesso due pompe idrauliche in tandem: la prima è di tipo volumetrico, essendo tale tipologia maggiormente adatta per gestire in modo appropriato materiale piuttosto denso e viscoso (da distribuire talvolta anche con l’ausilio di lunghi spezzoni di manichette), ma anche per aspirare tramite un apposito kit l’acqua che è rappresenta la base della miscela. La seconda pompa è invece di tipo idraulico, ed è adibita al ricircolo interno del preparato nel serbatoio, per assicurare un’adeguata turbolenza al fine di mantenere la miglior uniformità di concentrazione delle varie componenti. Un radiatore adeguatamente dimensionato mantiene la temperatura dell’olio ad opportuni valori di lavoro, evitando surriscaldamenti e preservando nel tempo la qualità del fluido.

In alternativa all’agitazione idraulica (spesso effettuata con l’ausilio di un dispositivo Venturi), in diversi casi si fa ricorso ad agitatori reversibili a pale, in acciaio cromato oppure inox, per una più efficace resistenza alla corrosione delle componenti maggiormente aggressive del preparato, come ad esempio il liquame zootecnico, oppure il concime di origine organica.

La lancia di distribuzione può avere ugelli di conformazione diversa, in funzione delle caratteristiche dell’area da trattare: a ventaglio stretto, per bordure e semina in spazi ristretti, a ventaglio largo per aree più ampie e regolari e a getto stretto per raggiungere superfici distanti dal punto di eiezione, soprattutto se in pendenza e ad elevata sensibilità all’erosione.

Interessante la versione per l’inerbimento dell’interfilare del vigneto proposta dalla Casella di Carpaneto Piacentino (PC), che si avvale di 3 eiettori-distributori che dirigono la miscela su piatti deflettori per indirizzare al meglio il flusso del preparato nelle zone da trattare.

Materiali per il serbatoio. Sempre per la massima durata in relazione alla corrosione, le cisterne sono realizzate generalmente in polietilene oppure in acciaio zincato a caldo sia all’interno che all’esterno: il materiale plastico, di tipo stampato, è preferito per le capacità minori, mentre si ricorre alla lamiera piegata e saldata, e trattata come detto, per i serbatoi di dimensione superiore.

Gli accessori disponibili. Se la lancia di distribuzione deve essere manovrata presso la zona di deposizione del prodotto che si trova ad una certa distanza dal veicolo che trasporta l’attrezzatura, è disponibile una manichetta della lunghezza di qualche decina di metri, che può essere svolta e soprattutto riavvolta su un avvolgitubo azionato manualmente oppure, nei modelli più sofisticati, anche idraulicamente.

Sono disponibili anche versioni semiportate per il trattore agricolo, che oltre al collegamento all’attacco a 3 punti si avvalgono dell’appoggio a terra tramite due ruote pivottanti.

La formula del noleggio. È una soluzione alla quale si ricorre spesso per gli interventi sul verde pubblico e residenziale, piuttosto che per quelli di riqualificazione naturalistica. In questo caso, le aziende operanti nel campo della manutenzione del verde si avvalgono della fornitura più o meno temporanea dei mezzi offerti dai costruttori, utilizzandoli con miscugli di sementi e preparati accessori formulati ad hoc per le esigenze più specifiche.


E c’è anche l’elisemina

Per l’inerbimento di aree particolarmente impervie, non raggiungibili con veicoli terrestri nemmeno a distanza, bisogna necessariamente ricorrere al mezzo aereo; in tal caso, il velivolo decisamente più adatto è l’elicottero, peraltro impiegato con successo in numerose altre operazioni in ambiente montano.

Oltre ai versanti dei rilievi, casi classici in questi frangenti sono l’inerbimento di nuove piste da sci e/o la sistemazione di quelle già esistenti, così come la rivegetazione di aree che hanno subito un incendio.

La routine prevede il carico del preparato all’imposto in un contenitore da 100-150 litri di capacità, assicurato all’elicottero con cavi d’acciaio e completato con un comando a distanza per l’apertura dei fori di distribuzione. Quando il velivolo arriva sulla zona interessata al trattamento, il prodotto viene depositato semplicemente per caduta verticale, oppure seguendo un percorso predefinito, in funzione della conformazione dell’area da trattare.

Anche in questo caso, al miscuglio viene addizionato un opportuno colorante, che fa da contrasto con il colore del soprassuolo, permettendo di ottenere una distribuzione sufficientemente uniforme, minimizzando le sovrapposizioni e le aree non seminate.

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