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Bioenergia

Piano energetico nazionale, una strategia per le bioenergie

La bioenergia in Italia continuerà a crescere nel prossimo decennio orientandosi maggiormente sul fronte termico e dei vettori energetici (biometano) per il trasporto. La produzione di elettricità da biomasse prediligerà impianti di dimensioni ridotte, adatti alle aziende agricole. Questo trend richiederà un ulteriore sviluppo di tecnologie innovative con maggiore efficienza e minori costi d’investimento

di Matteo Monni e Vito Pignatelli
dicembre 2020 | Back

Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) italiano prevede la copertura, nel 2030, del 30% del consumo finale lordo di energia con fonti rinnovabili, in linea con gli obiettivi europei, con la previsione di un consumo finale lordo di energia di 111 Mtep, di cui circa 33 da fonti rinnovabili. Un simile obiettivo dovrà essere raggiunto con una crescita di tutte le fonti, sia per quel che riguarda la generazione di elettricità che per gli usi termici ed il settore dei trasporti. Per quel che riguarda in particolare le bioenergie, è prevista una significativa riduzione nella potenza elettrica installata (dai 4.135 MW del 2017 ai 3.760 MW nel 2030), una crescita modesta per il riscaldamento e raffrescamento domestico e collettivo (da 7.265 ktep nel 2017 ai 7.430 ktep nel 2030) e, infine, un notevole aumento (dai 1.060 ktep del 2017 ai 2.337 ktep previsti per il 2030) del contributo dei biocarburanti alla decarbonizzazione del settore dei trasporti. Questi numeri – con l’eccezione di quelli che riguardano i biocarburanti – sembrerebbero in contraddizione con l’idea di una crescita equilibrata dell’intero comparto delle rinnovabili, soprattutto se comparati con quanto previsto dai Piani di altri paesi europei, come Francia e Germania, ma questo è vero solo in apparenza e deve essere visto alla luce di un’analisi più approfondita. Ad esempio, la produzione di elettricità rinnovabile dalle biomasse vede attualmente in funzione diversi impianti alimentati a biomasse legnose di grandi dimensioni (decine di MW) e poco efficienti, destinati nei prossimi anni ad un inevitabile “phasing out” perché non più competitivi. Lo stesso vale per le centrali medio-grandi alimentate a bioliquidi, per i criteri stringenti di sostenibilità degli oli vegetali grezzi - a partire dall’olio di palma - e per la prevedibile fine degli incentivi per questa tecnologia, che nel 2018 rappresentava da sola il 22% circa dell’intera produzione di elettricità da biomasse nel nostro Paese.

La combinazione di questi fattori, unita alla riconversione di un gran numero di impianti a biogas dalla produzione elettrica a quella di biometano, spiega la prevista riduzione della potenza installata, che non si tradurrà però in una perdita di importanza del settore. Al contrario, si prevede un progressivo sviluppo legato alla diffusione di impianti decentralizzati di piccola taglia (da poche centinaia a qualche decina di kW) a biogas o alimentati con residui legnosi del settore agro-forestale - come le potature di colture arboree, biomassa legnosa proveniente da interventi di manutenzione del territorio (cura dei boschi, pulizia degli alvei fluviali ecc.) - presso aziende agro-zootecniche, segherie, fabbriche di pellet, ecc.

Nel prossimo futuro, la produzione di elettricità da impianti di dimensioni ridotte, adatti per essere installati anche presso una singola azienda agricola, richiederà un ulteriore sviluppo di tecnologie innovative in grado di convertire in energia le biomasse legnose con maggiore efficienza rispetto a quelle più convenzionali, con particolare riferimento alla gassificazione.

A tale proposito, un’indagine effettuata l’anno scorso sugli impianti di gassificazione in funzione nel nostro Paese ha reso evidente come questa tecnologia sia uscita definitivamente da una dimensione “di nicchia”, con più di 270 impianti (di cui più dell’83% di taglia inferiore ai 200 kWel.) distribuiti sull’intero territorio nazionale, e soprattutto coinvolga una molteplicità di soggetti (costruttori, fornitori di servizi, utenti), che tutti insieme costituiscono un comparto economico dinamico e in forte espansione, attento all’innovazione. A tal proposito il mondo della ricerca si sta ben attrezzando, ad esempio l’ENEA – che dispone, presso il proprio Centro della Trisaia, di un complesso di gassificatori pilota e dimostrativi fra i più completi ed avanzati a livello europeo e internazionale – è in grado di porsi a pieno titolo come punto di riferimento e supporto scientifico e tecnologico.

La crescita apparentemente modesta delle biomasse utilizzate per il riscaldamento domestico e collettivo (teleriscaldamento) va contestualizzata nel quadro di una riduzione complessiva dei consumi finali lordi di energia per il settore termico (da 55,8 Mtep nel 2017 a 44,3 Mtep nel 2030), legati anche ai previsti interventi di efficientamento del patrimonio edilizio, e ad un’ampia diffusione delle pompe di calore, a cui si aggiunge la previsione di inverni meno rigidi. Potrebbe comunque esserci ancora spazio per un maggiore uso della biomassa legnosa per il riscaldamento, purché legato alla diffusione delle tecnologie di combustione più moderne a sostituzione di impianti vecchi, meno efficienti e più inquinanti.

In ogni caso, la principale sfida per il futuro della produzione di bioenergia in Italia è legata alla realizzazione e diffusione di filiere territoriali di produzione/approvvigionamento di biomasse per i diversi usi, che siano in grado di fornire i quantitativi richiesti dal mercato e garantire adeguati standard qualitativi, riducendo conseguentemente le importazioni dall’estero.

Questo vale in particolare per le biomasse solide, dove si assiste al paradosso di un Paese che possiede un consistente patrimonio forestale (il 36,4% dell’intera superficie nazionale), ma lo utilizza molto poco. In Italia i prelievi legnosi interessano all’incirca il 18-37% degli accrescimenti annui di biomassa contro una media dell’Europa meridionale dell’ordine del 62-67%. La carenza di governance o di gestione attiva di molte aree boscate ne determina l’incuria e, conseguentemente, le rende più soggette agli incendi e meno efficaci nella fissazione della CO2 e nel contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico.

Considerato che i consumi di biomassa legnosa sono in Italia dell’ordine dei 20 milioni di t/anno e che la produzione nazionale di biomassa, da operazioni di taglio dei boschi e, in misura molto minore, da colture arboree dedicate (pioppo), è stimata intorno ai 4-5 milioni di t/anno, è evidente che l’adozione di misure tese a favorire l’uso sostenibile di risorse nazionali avrebbe ricadute positive non solo in termini economici, ma anche per quel che riguarda l’occupazione e lo spopolamento delle aree montane e rurali, oltre a promuovere lo sviluppo di un comparto industriale, come è quello della meccanizzazione forestale e della produzione di biocombustibili solidi (pellet) in cui il nostro Paese vanta una lunga esperienza e la presenza di imprese che rappresentano spesso delle autentiche eccellenze del settore.

Le bioenergie sono in grado di rispondere alla richiesta di energia rinnovabile sotto tutte le forme, ma il settore di maggiore interesse con conseguenti maggiori prospettive di crescita è quello dei trasporti dove, come previsto dalla proposta della Direttiva RED II e dal PNIEC, la richiesta di biocarburanti – e in particolare di biocarburanti avanzati, ottenuti da biomasse residuali e rifiuti organici non in competizione per l’uso del suolo con le produzioni agricole a destinazione alimentare o mangimistica – andrà progressivamente crescendo.

Per quel che riguarda in particolare i biocarburanti avanzati, il PNIEC prevede di superare l’obiettivo specifico previsto dalla Direttiva RED II, pari al 3,5% al 2030, fino a raggiungere un contributo dell’ordine dell’8%. Questo obiettivo sarà raggiunto per il 75% con l’impiego di biometano avanzato e per il restante 25% con altri biocarburanti avanzati. Per il biometano avanzato proveniente da scarti agricoli e dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) da raccolta differenziata è prevista nel 2030 l’immissione al consumo di 1,1 miliardi di Sm3, che corrisponde all’intero volume di gas naturale utilizzato in Italia nei trasporti pubblici e privati nel 2018.

L’introduzione del biometano come carburante per i trasporti avverrà progressivamente, con molta probabilità a partire dalle flotte dei mezzi di trasporto pubblici, riforniti da impianti centralizzati realizzati presso siti di raccolta e trattamento della FORSU. Successivamente, con l’aumentare del numero di impianti - non solo da FORSU, ma anche da biomasse di origine agricola, zootecnica ed agroindustriale - allacciati alla rete di distribuzione del gas, il biometano, miscelato con il gas naturale, potrà essere erogato dalla rete stradale e autostradale di distribuzione dei carburanti per l’alimentazione delle automobili private. In prospettiva, poi, il biometano potrebbe trovare impiego, sotto forma di gas liquefatto (bio-LNG) per l’alimentazione di mezzi di trasporto pesanti a lunga percorrenza, treni e motonavi.

Più in generale, dal momento che il biometano è identico al gas naturale, una volta immesso nella rete dei metanodotti, può essere trasportato dovunque e impiegato al posto del metano di importazione, sia per gli usi domestici, sia per quelli industriali e per la generazione di elettricità. Per dare qualche numero, nel 2019 il metano importato copriva il 93% dei consumi nazionali, e la produzione dei nostri giacimenti solo il 7%. Le stime più attendibili sul potenziale di biometano a livello nazionale sono pari a circa 8 miliardi di m3/anno, circa il doppio dei 4,85 miliardi di m3 estratti nel 2019, e corrispondono al 10,7% dei consumi attuali.

Oggi in Italia il biometano è prodotto soprattutto da impianti alimentati con la frazione organica dei rifiuti urbani da raccolta differenziata. La ragione principale per cui si fa poco ricorso alle biomasse fermentescibili agricole (come avviene in Francia e Germania) risiede nel fatto che i costi delle tecnologie per l’upgrading del biogas, cioè la separazione del metano dalla CO2, sono ancora piuttosto elevati e gli impianti a biogas agro-zootecnici italiani sono per la maggior parte di piccole dimensioni, risentendo delle economie di scala. Infine, per quel che riguarda i biocarburanti liquidi, quelli attualmente utilizzati (biodiesel, etanolo ed ETBE), essendo chimicamente diversi dagli idrocarburi, presentano comunque problemi di compatibilità che ne limitano le percentuali di miscelazione con gasolio e benzina, e sono del tutto inadatti per l’impiego nei motori degli aerei. Per queste ragioni, i biocarburanti convenzionali, o di prima generazione, dovranno essere in futuro sostituiti da nuove tipologie di prodotti, biocarburanti avanzati e i cosiddetti biocarburanti “drop-in”, sostanzialmente analoghi ai combustibili di origine fossile e ottenuti, con diverse tecnologie, sia da materie prime di origine agricola che da biomasse residuali.

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