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Bioenergia

Le buone pratiche per la filiera biogas-biometano

Il biometano sarà per l'Italia il biocarburante su cui puntare maggiormente per centrare i target fissati al 2020. Al momento la filiera nazionale della digestione anaerobica delle matrici organiche si ferma allo stadio del biogas con elevati livelli d'eccellenza tecnologica e di sistema. Il prossimo passo sarà l'upgrading del biogas a biometano e a tal fine è imminente l'uscita del decreto con cui incentivarne l'impiego nel settore dei trasporti

di Matteo Monni
gennaio 2018 | Back

In Italia è di prossima pubblicazione un nuovo decreto per l’incentivazione all’uso del biometano nel settore dei trasporti. Con tale provvedimento si intende dare un impulso concreto allo sviluppo del un vettore energetico rinnovabile per il raggiungimento del target del 10% di biocarburanti con cui alimentare il parco di veicoli nazionale entro il 2020. 

Parliamo di un nuovo decreto perché, come molti sanno, già dal 17 dicembre del 2013 è in vigore un precedente atto normativo con cui il Ministero dello Sviluppo Economico, in concerto con MATTM e MiPAAF, ha definito le modalità per un impiego sostenibile del biometano in un più ampio ambito energetico che oltre al trasporto interessa anche il settore elettrico e termico. Purtroppo una serie di passaggi attuativi in esso previsti e non realizzati ne hanno limitato notevolmente l’efficacia fatto salvo l’aver avviato un percorso organico tra i tanti soggetti interessati. Ad oggi, dunque, la filiera della digestione anaerobica nazionale si ferma al livello del biogas il cui upgrading a biometano resta il prossimo traguardo da raggiungere. Tuttavia, su tale livello l’integrazione tra tecnologie innovative e gestione intelligente della filiera continua ad evolversi creando i presupposti per l’auspicata affermazione del biometano in un prossimo futuro. A tal fine occorre abbattere una serie di ostacoli non tecnologici che ancora oggi rallentano lo sviluppo di quello che in Italia si configura come il più promettente dei carburanti alternativi a quelli fossili. Per fare un esempio, nell’ambito del Progetto H2020 ISAAC (Increasing Social Acceptance and Awareness of Biogas) – tra le varie azioni – è stata importante la realizzazione dei corsi di formazione destinati a tecnici delle amministrazioni regionali (assessorati competenti) di Marche e Puglia per fornire loro elementi utili nei processi di pianificazione e autorizzativi del settore del biogas-biometano in ambito locale. Nel complesso si sono tenute quattro giornate di lezioni per ciascuna Regione (alcune di queste a Bari nell’ambito di Agrilevante), coordinate dall’Associazione Chimica Verde Bionet in collaborazione con Itabia, dove esperti di primo ordine hanno illustrato gli aspetti tecnologici, normativi, ambientali e sociali della filiera biogas-biometano analizzandone con serietà i punti di forza e di debolezza. Una particolare attenzione è stata data alla trattazione delle buone pratiche, portate come modelli di riferimento. Le buone pratiche nel campo del biogas sono in linea di massima riferibili a filiere sostenibili che ben si integrano con il territorio e in modo particolare con le aziende agrozootecniche dove la digestione anaerobica riguarda un mix di matrici organiche costituite da residui colturali ed agroindustriali, effluenti zootecnici e quote contenute di colture dedicate di secondo raccolto.

Identificare e informare delle buone pratiche ha una grande utilità per lo sviluppo di questo settore; sia per far si che modelli tecnicamente e ambientalmente validi si possano replicare, sia per contrastare il fenomeno del NIMBY (acronimo inglese per : Not In My Back Yard) che molto spesso ostacola le nuove realizzazioni. Da diversi anni, in reazione alla crisi economica che interessa anche il comparto primario, numerose aziende agricole hanno intravisto nel biogas un’opportunità per ammodernarsi e continuare a produrre alimenti di qualità nell’ottica di un’efficace e lungimirante pianificazione rivolta alla multifunzionalità aziendale. Tali iniziative, condotte da imprenditori motivati e responsabili, assorbono al loro interno una strategia di ampio respiro tracciata in ambito europeo ed internazionale per contrastare il cambiamento climatico e la salvaguardia degli agroecosistemi. Di recente è entrato in funzione a Soliera (MO) il primo impianto a biogas bi-stadio d’Europa. Questa realizzazione si distingue dalle tante tradizionali monostadio già funzionanti per una spinta tecnologica innovativa – brevettata da Enea e Crea – che gli consente rese in biogas sensibilmente più elevate (+20% circa) con cui alimentare un generatore elettrico da 100 kW. La maggiore efficienza di questo sistema è frutto di un adattamento delle componenti impiantistiche in relazione alle conoscenze acquisite nell’ambito dell’ecologia microbica. Risulta, infatti, che nel complesso la digestione anaerobica migliora sensibilmente separando, in reattori distinti, la prime fasi del processo (idrolisi e acidogenesi) dalle restanti (acetogenesi e metanogenesi). Questo perché le due fasi iniziali sono condotte da specifici ceppi batterici che operano su scale dei tempi molto più brevi (giorni) e a valori ottimali di pH più bassi  (5-6) rispetto alle due successive. Inoltre, nel primo stadio del processo si registra una produzione di idrogeno che potrà essere impiegato per incrementare ulteriormente la produzione di biometano alla fine del ciclo o, in prospettiva, utilizzato direttamente, ad esempio come biocarburante gassoso in miscela con il metano (idrometano) o per alimentare celle a combustibile. In estrema sintesi, migliorando le condizioni ambientali (parametri chimico-fisici) in cui operano colture selezionate di microrganismi, queste sono messe in condizione di lavorare meglio e di più. Da un punto di vista dimensionale, rispetto alle tecnologie attualmente più diffuse sul mercato, l’impianto risulta più piccolo e ciò contribuisce positivamente al contenimento dei costi. L’impianto di Soliera costituisce a tutti gli effetti un esempio di “buona pratica”, sia per l’elevato contenuto tecnologico, sia per la collaborazione tra soggetti pubblici, Enea e Crea, e privati, la start-up Biogas Italia e l’azienda agricola Lugli. Infine la prevista attività di monitoraggio del funzionamento e delle prestazioni dell’impianto su un arco di tempo sufficientemente lungo costituirà un ulteriore punto di forza di questa valida iniziativa, fornendo indicazioni e informazioni utili per la sua replicabilità in contesti analoghi in Italia e all’estero.



“Biogasfattobene”

L’obiettivo del disciplinare, a cui è connesso il marchio biogasfattobene®, sostenuto da CIB ed Enama (Ente nazionale per la meccanizzazione agricola), è promuovere la cultura della qualità, dell’ambiente e della sicurezza nelle aziende, dimostrarla e certificarla, accrescendo il favore dell’opinione pubblica verso la digestione anaerobica. Esso costituisce un modello gestionale nel quale i requisiti di sistema sono integrati da requisiti tecnici. Le imprese che volontariamente intendono ottenere il marchio biogasfattobene® sono tenute a rispettare regole precise di gestione e trasparenza per i principali processi della filiera dalla fase di acquisizione e utilizzo delle biomasse fino all’impiego agronomico del digestato. Per il momento il marchio biogasfattobene® è stato rilasciato ai due seguenti impianti: la Cooperativa Agroenergetica Territoriale CAT di Correggio (RE), che riunisce 26 aziende agricole e 5 cantine sociali. L’impianto ha una potenza di 1 MW elettrico e destina alla digestione anaerobica substrati ottenuti da colture sperimentali di secondo raccolto (mais, triticale, sorgo) e seminate su sodo su un estensione di 350 ha; l’azienda Tosi Francesco e Figli si trova a Villanterio (PV), l’impianto della potenza di 300 kW, utilizza effluenti dell’allevamento di suini, insilati e residui delle colture agricole.

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