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Tecnica

Potatura nel vigneto: la spollonatrice

La spollonatura consiste nell’eliminazione dei tralci infruttiferi. Pur esistendo una tecnica di potatura chimica, la tecnica più spesso adottata nei vigneti è quella che prevede l’utilizzo di spollonatrici meccaniche, macchine determinanti nel migliorare e velocizzare operazioni

di Davide Facchinetti
maggio - giugno 2021 | Back

La spollonatura è una delle operazioni di potatura verde normalmente effettuate per la gestione della chioma delle viti, che consiste nell’eliminazione dei tralci infruttiferi che partono dal tronco, e in parte anche dalla testa delle viti, detti comunemente polloni. Tali tralci si formano sul legno vecchio dalle gemme dormienti o dai ricacci del portainnesto, e utilizzano a loro vantaggio gli elementi nutritivi che risultano invece utili per la crescita dei tralci fruttiferi. Il loro proliferare incontrollato rischierebbe quindi di far disperdere buona parte delle sue potenzialità nutritive alla pianta. Il controllo dei succhioni generati nella parte basale del tronco è una operazione completamente meccanizzabile che, in funzione dell’andamento climatico, delle caratteristiche e della varietà dell’uva, viene solitamente eseguita tra aprile e giugno. Il momento ideale per intervenire è quello in cui i germogli originati dalle gemme latenti del tronco si trovano ancora in “fase vitrea”, ovvero non sono ancora completamente lignificati e hanno una lunghezza compresa tra i 10 e i 20 cm.

Sebbene con la maggior parte delle varietà un singolo intervento sia sufficiente, con alcune di esse (es. Merlot) è comunque necessario intervenire comunque almeno un paio di volte l’anno. In ogni caso, anticipare troppo la spollonatura significa nella maggior parte dei casi doverla ripetere, perché la pianta genererebbe nuovi polloni per rimpiazzare quelli eliminati, mentre il rimandarla quando alcuni di essi hanno iniziato a lignificare significherebbe nella maggior parte dei casi vanificare parzialmente la buona riuscita dell’operazione. La spollonatura ha anche un significato sanitario, infatti è ormai assodato come i polloni favoriscano l’insorgenza di infezioni primarie delle malattie crittogamiche, quali soprattutto la peronospora o il marciume nero della vite (noto anche come Black–rot) e questo a causa del fatto che le infezioni primarie partono di norma da un inoculo presente sul terreno e i tralci alla base dei tronchi sono i più esposti nei periodi piovosi. Essendo la spollonatura un intervento essenziale per massimizzare le potenzialità produttive della pianta, nonché per facilitare l’effettuazione delle successive pratiche colturali, molti sono i costruttori che al giorno d’oggi offrono al viticoltore diverse tipologie di macchine capaci di praticare la spollonatura in diversi modi.

Sebbene la tradizionale spollonatura eseguita manualmente con forbici (oggi per lo più elettriche o pneumatiche) e carrellini agevolatori sia l’unica che permette di operare contemporaneamente sia sul tronco che al centro della pianta, essa ha purtroppo nell’estrema lentezza della sua esecuzione un grosso limite che la rende alquanto onerosa. Ad esempio per spollonare un ettaro di viti di Merlot con circa 2500 piante presenti, è necessario impiegare circa 20-30 ore da parte di una persona già esperta, e di questi tempi anche la reperibilità di manodopera di buon livello è sempre più un problema. I vantaggi di questa tecnica sono comunque riassumibili in una grande precisione del lavoro svolto e nella possibilità di effettuare al contempo anche la scacchiatura.

L’alternativa che invece garantisce la minimizzazione dei tempi di lavoro è quella relativa alla spollonatura mediante l’utilizzo di prodotti chimici come il glufosinate ammonio, il carfentrazone-etile, il pyraflufen-etile o l'acido pelargonico. Le spollonatrici chimiche sono macchine abbastanza semplici, quasi sempre dotate di un telaio scavallante (per operare contemporaneamente da entrambi i lati del filare) alle cui estremità sono fissate due o più coppie di ugelli racchiusi in un carter di contenimento atto limitare la deriva del prodotto nebulizzato all’esterno dello stesso, la cui efficacia viene di norma implementata con l’adozione di spazzole o di teli verticali flessibili posti alla sua base che permettono anche di distribuire sui polloni con azione lambente il prodotto inevitabilmente raccolto dalle pareti del carter. La produttività di queste macchine è davvero elevata, è infatti prassi poter procedere a 5-6 km/h, ovvero raggiungere produttività, al netto delle operazioni di manovra a fine campo, anche leggermente superiori all’ettaro/ora (in vigneti con sesto d’impianto a 2,5 metri). Seppur le ultime evoluzioni di queste macchine siano dotate anche di sistemi atti a recuperare il prodotto non andato a bersaglio per riutilizzarlo senza disperderlo nell’ambiente, l’utilizzo della spollonatura chimica è di fatto bandito nei disciplinari biologici e comunque non gradito a molti viticoltori, ma comporta anche il vantaggio, utilizzando al contempo principi attivi diserbanti, di consentire nel medesimo passaggio anche l’effettuazione del diserbo (chimico) nel sottofila. I suoi limiti sono invece dati dal fatto di non poter essere utilizzata su impianti con meno di 4 anni di età.

La tecnica più spesso adottata in vigna è quella che prevede l’utilizzo delle spollonatrici meccaniche, ovvero di macchine capaci sia di aumentare comunque in maniera drastica la produttività dell’operatore rispetto alla spollonatura effettuata manualmente, sia di trovare proficuo impiego anche con le stringenti limitazioni dei disciplinari biologici. Si tratta di una famiglia abbastanza estesa di macchine prodotte da molti costruttori nostrani, la cui commercializzazione iniziò tuttavia in Francia a partire dai primi anni ’70 del secolo scorso. Nelle prime realizzazioni si trattava di macchine dotate di due spazzole cilindriche controrotanti ad esse verticale, dotate di flagelli realizzati con materiali flessibile e operanti a circa 300/500 giri/min. In epoche successive sono poi state messe anche macchine dotate di telai scavallanti e modelli che utilizzano rotori ad asse orizzontale in luogo dell’asse verticale. Varia è invece la tipologia di flagelli utilizzati, tutti accomunati dalla elevata flessibilità dei materiali, necessaria per minimizzare i danni ai tralci della vite. Per effettuare un lavoro accurato, è prassi operare in campo con queste macchine a velocità comprese tra 2 e 4 km/h, da ciò ne deriva una produttività che nelle medesime condizioni già considerate in precedenza si assesta tra poco meno di 0,5 ha/h fino a poco meno di 1 ha/h.

Che si tratti di spollonatura effettuata meccanicamente o chimicamente, in entrambi i casi non si può poi prescindere da una successiva opera di rifinitura manuale, la cui entità in vigneti con circa 2500 piante/ettaro è stimabile intorno alle 4-8 ore/ha, con i valori più elevati da attribuire ai casi ove preventivamente si sia operato con la spollonatura chimica. In tal caso occorre a volte distaccare manualmente i polloni basali essiccati dal principio attivo utilizzato, ma che rimangono ancora fisicamente attaccati al tronco. È quindi evidente che in termini generali, l’ampio divario in termini di produttività esistente tra le due metodologia vada comunque leggermente ritoccato al ribasso. Occorre inoltre constatare che per sistemi di allevamento come il GDC esistono spollonatrici che offrono un kit spollonante con un ulteriore rullo idraulico ribaltabile atto ad effettuare la pulizia della curvatura alta del ceppo, e ciò risulta molto utile per diminuire, fino alle volte ad annullare la necessità di effettuare manualmente il successivo completamento dell’operazione.

In ogni caso, per una scelta oculata, è importante considerare le varie caratteristiche di ogni macchina, dato che in funzione dei sistemi di rotazione o dei materiali utilizzati, il costo della spollonatura può cambiare in maniera sostanziale per via della necessaria periodica sostituzione dei materiali sottoposti ad usura. Importante è anche la valutazione delle reali esigenze idrauliche, dato che si tratta di attrezzi piuttosto esigenti da questo punto di vista. È importante dunque scegliere una macchina che si adatti al meglio alla trattrice già esistente in azienda, questo per cercare di evitare (quando possibile) di dover acquistare una macchina dotata di una centrale idraulica propria azionata mediante albero cardanico. È quindi necessario conoscere innanzitutto le esigenze in termini di portata idraulica della spollonatrice, ovvero di quanti litri d’olio al minuto ha bisogno per fornire le sue massime performance, dopodichè bisogna verificare che i distributori del trattore siano effettivamente in grado di fornire tale portata. Occorre però fare molta attenzione in questa verifica e rivolgersi anche alla casa madre o al concessionario di fiducia, perché non sempre i dati dichiarati dal costruttore, ovvero i dati di portata massima della pompa idraulica, corrispondono poi alla portata effettivamente prelevabile da un singolo distributore. Inoltre sarebbe anche meglio verificare che la portata richiesta sia disponibile ad un regime motore inferiore a quello massimo (regime al quale si dispone della portata dichiarata), affinchè sia poi possibile operare in campo mantenendo il motore a regimi parzializzati, con tutti i vantaggi che ne conseguono in termini di consumo, rumorosità e usura del trattore. Di norma le spollonatrici meccaniche utilizzano un telaio portante, di acciaio e/o di alluminio, che mediante dispositivi di regolazione idraulici permettono alla macchina di adattarsi ai differenti ambiti di lavoro. Rispetto ai primi modelli degli anni ’70 ormai sono pressochè tutte dotate di un carter di protezione che evita che residui della lavorazione siano scagliati contro l’operatore.

Per maggiore comodità le spollonatrici si accoppiano preferibilmente sulla parte anteriore del trattore mediante piastre di ancoraggio, oppure vengono portate dal sollevatore anteriore. Un particolare riscontro commerciale hanno ottenuto i modelli dotati di telaio scavallante ad “U” rovesciata, che consente di operare contemporaneamente su entrambi i lati del filare. Piuttosto diffusi sono però anche i modelli portati dal sollevatore posteriore e operanti in posizione posteriore-laterale, anche se esistono dei modelli portati ventralmente, che essendo fissati alla parte centrale del trattore, consentono di mantenere il baricentro del cantiere più centrale, e per questo sono apprezzati nelle zone più declivi. Un po’ come per le spollonatrici chimiche, l’impiego di quelle meccaniche è sconsigliato su viti giovani (con meno di 3-4 anni) poiché potrebbero crearsi lacerazioni del ceppo quando è ancora poco lignificato. Ad ogni modo, per evitare scortecciamenti è conveniente usare flagelli morbidi e operare a bassi regimi di rotazione. Alle volte, per effettuare operazioni combinate, il gruppo spollonante può anche essere montato sul telaio di erpici di vario, di fresatrici, o su macchine dedicate allo sfalcio.

Le spollonatrici meccaniche possono essere suddivise in due differenti categorie a seconda del principio di funzionamento su cui si basano, esistono infatti quelle con rotori ad asse verticale, e quelle con rotori ad asse orizzontale. Entrambe hanno un telaio portante a posizionamento comandato idraulicamente, spesso scavallante, e che porta uno o due rotori muniti di flagelli in materiale sintetico di vario spessore e con differenti proprietà meccaniche. Di norma i rotori vengono sempre azionati idraulicamente dalla trattrice e l’energia cinetica impressa ai flagelli consente loro di distaccare i polloni dal tronco. Le spollonatrici ad asse orizzontale sono state introdotte più recentemente, consentono un efficace azione di diserbo meccanico del sottofila, ma si adattano meno a determinate forme di allevamento. I rotori asse orizzontale comunque agevolano anche l’accoppiamento della spollonatrice ad altri macchinari per la gestione dell’interfila, contribuendo alla riduzione del numero di interventi necessari per la conduzione del vigneto e quindi alla diminuzione del grado di compattamento del suolo.

Le spollonatrici idrauliche, in funzione della conformazione dei telai dei rotori possono adattarsi alle forme di allevamento disparate   che comprendono la Cortina semplice o doppia, il Casarsa, il Cordone alto, il GDC (Geneva Double Courtain), Cordone speronato basso, Guyot, tendone e pergola.

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