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Tecnica

Olivicoltura superintensiva: la raccolta meccanizzata

I sistemi di raccolta delle olive si sono sviluppati a partire dal secondo dopoguerra, e si presentano oggi particolarmente efficienti. Le esperienze storiche nel settore, le varie tipologie di macchine e le nuove tecnologie che si adattano alla struttura dell’impianto e che sostituiscono efficacemente la manodopera

di Bruno Bernardi e Souraya Benalia
luglio - agosto - settembre 2022 | Back

E' sul finire degli anni ’50 che si avverte, nel settore olivicolo, la necessità di ridurre la manodopera con l’obiettivo di limitare i costi. Si avvia così un processo di modernizzazione teso ad individuare nuove forme d’allevamento caratterizzate da piante dallo sviluppo contenuto, come quelle a palmetta, siepone, cespuglio, ecc. Ed in tale contesto l’Italia gioca un ruolo di primo piano.

In contemporanea, i primi tentativi di meccanizzazione della raccolta si risolsero con l’affermarsi sulla scena degli scuotitori del tronco, sul cui impiego si avviò quindi quel precorso di modernizzazione teso a conseguire una coltura specializzata ed intensiva dell’olivo, ad elevata efficienza in termini di aumenti di resa e di riduzione dei costi. Il parallelo impiego di macchine operanti direttamente sulla chioma, non registrò invece uguale successo, nonostante alcune buone soluzioni proposte, ancora oggi molto valide, come le testate pettinatrici.

Spinta propulsiva all’innovazione che dopo un periodo di stasi ritrova un nuovo slancio solo all’inizio degli anni Novanta in Spagna, e più precisamente in Cataluña, con la messa a dimora dei primi impianti superintensivi. Caratterizzati da densità di impianto in grado di superare le 2000 piante/ha, l’aspetto decisivo di tale modello risiede nella metodologia di raccolta delle drupe, incentrata sulle macchine già adottate per la vendemmia dell’uva, definite vendemmiatrici o scavallatrici, appositamente modificate al fine di renderle adatte anche alla raccolta delle olive. Un cambio di paradigma, questo, rispetto al classico binomio macchina-pianta per come fino ad allora inteso – dove spetta alla macchina il compito di adattarsi alla struttura dell’ulivo – al quale si contrappone la visione in cui è la pianta a doversi adattare alla tipologia di macchina.

Storia, quella delle vendemmiatrici, che parte da lontano, iniziando il suo cammino negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, quando in Francia cominciarono a realizzarsi i primi modelli di macchine agevolatrici per la viticoltura. Da allora di strada ne è stata percorsa tanta, con alcune tappe che possono essere considerate pietre miliari dell’innovazione, e diverse sono state poi, negli anni, le soluzioni costruttive proposte, sempre più valide e razionali, che hanno portato infine alla realizzazione di macchine per come attualmente concepite, nella quale si ricerca anche una maggiore specificità per l’olivo.

Ricordiamo, ad esempio, la iniziale messa a punto del sistema a scuotimento verticale, tramite stella pivotante operante sui cordoni permanenti del sistema di allevamento della vite denominato a doppia cortina, sviluppato in Usa negli anni ’60, che portò alla realizzazione delle prime macchine semoventi commerciali. Da queste si implementarono poi, al fine di poter operare anche sui vigneti con forme a parete, oggi come allora tra i più diffusi sistemi di allevamento, quelle basate sullo scuotimento orizzontale tramite aste o battitori. Principio quest’ultimo sul quale oggi si incentra l’uso di queste macchine nel modello superintensivo.

Anche se in Italia, per una molteplicità di motivi tra cui l’orografia del territorio, le ridotte dimensioni aziendali, ecc., tali innovazioni presero piede più lentamente, non meno interessante fu il contributo apportato dalle case costruttrici. La ditta italiana Volentieri ad esempio, sviluppò nel 1978, una vendemmiatrice di tipo trainato anziché semovente. Una ulteriore soluzione degna di nota, ancor più se oggi pensiamo che è stata ripresa per le moderne grandi macchine per la raccolta dell’olivo quali la Colossus, fu proposta dalla ditta Pasquali, nella quale trovarono applicazione aspi rotanti al posto dei più classi elementi scuotitori ad aste.

Più o meno in quegli anni vengono poi sviluppate la testata pendolare indipendente e la tramoggia di raccolta, e sono state adottate ulteriori soluzioni costruttive che hanno subito poi negli anni successivi ulteriori sviluppi, tanto che oggi queste macchine hanno raggiunto picchi tecnologici molto elevati, grazie anche ai passi da gigante compiuti dalla sensoristica.

Un modello, quello superintensivo, pensato per un investimento a breve termine, sulla cui convenienza ancora oggi si discute ma che, vista la storia secolare dell’olivo, è ancora troppo “nuovo” per poter essere giudicato appieno. Ne è emblema il suo correggersi al crescere delle conoscenze che man mano vengono acquisite: ad esempio, dalla iniziale forma di allevamento a monocono con un asse centrale alto fino a 4 m, con l’ultimo metro e mezzo flessibile per evitare danneggiamenti da parte della macchina si è ora virato verso una struttura più libera eliminando, ove possibile, tutori e strutture di sostegno dell’impianto al fine anche di rendere più semplici e meno gravose le operazioni di potatura. Ed inoltre studi su varietà, produzioni e loro adattabilità al modello, come anche su quale sia il miglior modo di gestire gli impianti una volta giunti al termine della loro vita economica, sono un mondo tutto ancora in divenire.

Certo è che con il modello superintensivo, in un mercato in cui le quotazioni dell’olio extravergine di oliva sono spesso tutt’altro che soddisfacenti, il vantaggio conseguibile in termini di riduzione dei costi di raccolta è notevole, richiedendo in media un tempo di lavoro tra le due e le tre ore per ettaro a seconda delle condizioni di lavoro.

La differenza principale che tali macchine presentano quando operano su olivo invece che su vite, consiste nell’aumento del numero degli elementi scuotitori presenti, con la finalità di meglio adattarli alla fascia produttiva dell’oliveto. Inoltre, per la rimozione dei corpi estranei, non si adottano sofisticati sistemi come quelli utilizzati invece per il vendemmiato, ma ci si limita ai ventilatori disposti sui gruppi di trasporto, mentre opzionale è l’aggiunta di un convogliatore nella parte anteriore del tunnel di raccolta per facilitare l’ingresso del filare nel gruppo raccoglitore. Il cuore del sistema è costituito dall’apparato di scuotimento delle drupe, azionato da un cinematismo del tipo biella-manovella o da eccentrici, che fa vibrare le strutture su cui sono incernierati i battitori. Le oscillazioni generate determinano vibrazioni alla pianta di ampiezza e frequenza costante che può variare tra i 450 e 480 colpi per minuto. Se il principio resta invariato, la forma delle aste varia a seconda della casa costruttrice: ad esempio in alcuni modelli ritroviamo scuotitori ricurvi a corpo unico con entrambe le estremità incernierate, a cui si possono sommare ulteriori battitori ad una estremità libera; in altri ogni scuotitore è indipendente e viene agganciato ad una placca porta scuotitori anteriormente, e posteriormente ad un sistema di fissaggio flessibile; in  altri ancora gli elementi battitori non sono allineati ma  dislocati su due diverse fasce di altezza. Alcuni studi evidenziano una efficienza nel trasmettere le vibrazioni dalla macchina alla pianta di circa il 60%, con valori dell’accelerazione risultante inferiore ai 300 ms-2. Oltre il 90% del prodotto sulla pianta riesce ad essere raccolto.

Le macchine procedono a cavallo del filare, realizzando con continuità il distacco delle drupe dalle piante permettendone quindi l'intercettazione ed il trasporto. Anche in questo caso, le soluzioni proposte sono diverse: alcune case costruttrici adottano gruppi intercettatori, costituiti da due serie di scaglie in materiale plastico che si aprono al passaggio della pianta, separati da quelli di trasporto, posizionati all’esterno e costituiti da tappeti in gomma dotati di palette trasversali. In altre, il gruppo di intercettazione e di trasporto formano una struttura unica, con due catene di norie deformabili sfalsate l'una rispetto all'altra per garantirne la tenuta.

I danneggiamenti alle piante sono in genere limitati ai rami più vigorosi e sporgenti nell’interfilare, dovuti ad una potatura non correttamente eseguita, mentre sulle drupe non si registrano criticità. Occorre ovviamente progettare gli impianti con l’idea di rendere più efficiente l’azione del sistema di raccolta integrale, aumentando ad esempio la lunghezza dei filari e limitando problemi di natura logistica come capezzagne strette, viabilità insufficiente, pendenze elevate.

La possibilità, infine, di usufruire di pacchetti tecnologici che variano dalla guida automatica, alla pesatura a bordo, fino alla cartografia dei rendimenti, tracciamento delle file lavorate, ecc., le rende sempre più rispondenti alla crescente necessità di poter gestire i processi produttivi non solo basandosi sull’esperienza professionale, ma anche sul parallelo supporto di tecnologie informatiche e digitali. Quest’ultime, con l’obiettivo di ottimizzare le operazioni in campo, migliorare la produttività di lavoro ed orientare le decisioni degli agricoltori in funzione della variabilità spaziale e temporale delle produzioni.

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