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Meccanica agricola in Puglia, un settore che guarda anche allestero

La Regione ha una formidabile tradizione agricola, e quindi esprime una domanda di meccanizzazione che le aziende locali possono soddisfare solo in parte. Problemi legati alle infrastrutture e alla capacità d’investimento delle aziende agricole condizionano lo sviluppo dimensionale delle industrie costruttrici, ma la collaborazione con le strutture di ricerca universitaria e l’apertura verso mercati esteri possono dare nuovo impulso al settore

di Giampiero Moncada
ottobre 2019 | Back

“Di aziende grandi nel settore della meccanica agricola la Puglia ne ha poche. È molto sviluppata, invece, la rete commerciale di rivenditori perché questa è, comunque, tra le prime regioni d’Italia per vocazione agricola. Così, le attrezzature che le tante aziende agricole locali acquistano sono per lo più prodotte altrove”.

Alla descrizione sintetica sulla realtà pugliese di questo settore fornita da Alessandro Leone, docente di meccanica agraria all’Università di Foggia e ricercatore (vedi box), va aggiunto che in Puglia ci sono anche delle piccolissime aziende che producono e personalizzano attrezzature agricole. Sono quasi delle officine a conduzione familiare nelle quali, però, vengono spesso realizzate anche soluzioni originali a problemi specifici.

L’industria della meccanica agricola, quindi, anche se non è sviluppata in proporzione alla domanda, è comunque presente; e con imprese molto eterogenee per dimensioni, strategie aziendali e prodotti.

“Storicamente, gli uliveti hanno sempre dominato l’agricoltura pugliese. Ma la Xylella ha messo in crisi il settore negli ultimi dieci anni, e gli effetti si sono sentiti anche nella nostra fabbrica”.

Così spiega la situazione attuale Marco Bonsegna, titolare della Bonsegna srl di Nardò (Lecce) che produce rimorchi e attrezzature affini, come carri botte e dumper.

“Quando gli ulivi erano in buona salute – aggiunge – oltre la metà del fatturato lo facevamo negli ultimi tre mesi dell’anno. Oggi c’è la viticoltura, che in molti terreni ha preso il posto dell’ulivo. Ma questo tipo di coltura non è molto meccanizzata. E comunque le aziende locali non producono attrezzature specifiche”. è d’accordo Gianluca Nardone, direttore dell’assessorato regionale all’Agricoltura, ma con alcune precisazioni, giacché a suo avviso l’ulivo non è l’unica coltura pugliese e la sua crisi non è né recente né totale. “La crisi della Xylella ha colpito circa 10 mila piante sulle 60-70 mila che abbiamo in Puglia – dice – e per lo più concentrate nel Salento. Ma la crisi dell’ulivo è iniziata prima della xylella. Con le olive spagnole, che arrivano sul mercato a un prezzo decisamente inferiore”. “Piuttosto, c’è da dire che la nostra regione è ai primi posti, se non proprio al primo posto, per fatturato di prodotti ortofrutticoli, rivaleggiando con l’Emilia Romagna. E, naturalmente, per la viticoltura, che è storicamente una coltura molto diffusa. In entrambi i casi, le aziende investono molto in meccanizzazione. Sia per le attività sul campo che per il trattamento e il confezionamento dei prodotti. In assessorato, abbiamo richieste di finanziamento per ammodernamento di aziende agricole per circa 500 milioni di euro, ed una parte significativa è destinata proprio alla meccanizzazione, che è essenziale per mantenersi competitivi sia sul mercato nazionale che su quelli esteri. Si tratta dei fondi messi a disposizione dalla Regione Puglia con i Psr, Piani di sviluppo regionale, che stanno per essere sbloccati dopo avere subito una lunga fase di stallo”. Questo strumento di finanziamento rappresenta il principale canale di intervento dell’ente regionale. Che, però, suscita qualche polemica.

“Credo che i Psr siano stati un grosso problema: le aziende agricole si sono indebitate, contando su questi finanziamenti, ma poi i soldi non sono arrivati quando avrebbero dovuto. E anche noi costruttori ci siamo trovati in difficoltà, perché avevamo preventivato una certa produzione, acquistando componenti e materie prime, per poi trovarci fermi perché i nostri clienti non potevano acquistare le attrezzature che avevano programmato”. A parlare così è Piero Giglio, titolare di La Valle Verde srl, che da circa 20 anni produce seminatrici, e che ha sempre puntato al mercato locale. Adesso ha deciso di guardare fuori della Puglia e si sta preparando a portare le sue macchine non solo nel resto d’Italia ma anche in Paesi esteri.

In effetti, le aziende di questo settore che non si limitano alla clientela locale, in Puglia sono un’eccezione. Per quali ragioni? “Per ampliare il proprio mercato, bisogna anche ampliare le dimensioni dell’azienda” spiega Carlo Cocco, titolare della Colia Meccanica srl “e si tratta di costi notevoli con un rischio alto, perché in fondo l’agricoltura non dà sempre dà risultati certi. Noi, intanto, abbiamo iniziato a studiare alcuni mercati emergenti, come Romania e Bulgaria”.

Quella di Cocco la si può considerare un’azienda storica, dato che nasce nel 1932, sia pure come attività artigianale per trasformarsi poi in un’industria vera e propria negli anni ’50 quando, con la diffusione dei trattori anche al Sud Italia, che rimane ancora il suo mercato di riferimento, l’azienda foggiana ha iniziato a produrre aratri e altre attrezzature per la lavorazione del terreno.

A guardare fuori del mercato locale, che comunque rimane il suo punto di forza, è un’altra azienda foggiana, Lamola Costruzioni Meccaniche, che vende i suoi spandiconcime e le sue seminatrici ai costruttori di macchine agricole di tutt’Italia. La sua clientela più fedele, comunque, rimane quella degli agricoltori delle aree del Mezzogiorno. “Dobbiamo competere con grandi costruttori – dicono – che riescono a fare delle economie di scala producendo molti più pezzi di noi. Ma noi puntiamo sulla cura della produzione artigianale. Che i nostri clienti apprezzano, anche se poi un po’ tutti debbono fare i conti con una disponibilità finanziaria limitata. In ogni caso, il contatto quotidiano con il cliente finale ci consente di conoscere direttamente le loro esigenze e di individuare delle soluzioni tecnologiche anche prima delle grandi aziende. Certo, sappiamo che su un mercato estero saremmo competitivi almeno quanto lo siamo in Italia. Ma anche per partecipare a una fiera fuori dall’Italia un’azienda di grandi dimensioni ha il vantaggio di rientrare presto degli investimenti”. Chi è comunque propenso all’avventura su mercati più distanti è un’azienda di Lecce, la Nuzzo Fortunato srl, che da sempre vende soprattutto al Nord Italia, dato che produce componenti per la trasmissione (pompe oleodinamiche) destinate alle fabbriche di trattori che sono concentrate nel Centro-Nord del Paese. Ed è scettico circa la l’intraprendenza della sua Regione e delle stesse istituzioni locali.

“Le aziende del nostro territorio vengono tutte da un mondo artigianale, compresa la nostra che fu fondata da mio nonno più di 100 anni fa – dice Carlo Nuzzo, attuale amministratore della società nella quale la moglie e i due figli sono soci – ma il problema è che non hanno operato quel salto di qualità dal punto di vista delle sinergie territoriali, come invece hanno saputo fare in Emilia Romagna dove si è sviluppato un vero tessuto industriale. Noi abbiamo anche perso delle opportunità preziose, come la vecchia Cassa per il Mezzogiorno e la successiva legge 488. La Regione, poi, non è mai riuscita a essere efficace perché ogni iniziativa di sostegno è sempre stata cancellata dal Governo successivo e nessun programma è arrivato fino in fondo”. “Certo – aggiunge – la caratteristica dell’imprenditore pugliese è spesso un certo individualismo che lo porta a giocare da solista. Per noi è stato più facile stringere accordi con imprese dell’Emilia Romagna che con quelle pugliesi”. L’azienda di Carlo Nuzzo ha iniziato a sviluppare una presenza sui mercati esteri da circa quattro anni. Dalla fiera di Novisad in Serbia, nel 2015, alla quale partecipò grazie a FederUnacoma e Ice. Dopo è stata presente anche in altre fiere estere e ha cambiato la strategia perfino sulle fiere locali: quando partecipa ad Agrilevante e ad Eima non si limita più ai clienti italiani ma si organizza per individuare e aprire il dialogo con potenziali clienti stranieri. “Sicuramente dobbiamo superare dei problemi strutturali – conclude – perché la Puglia è collegata male. Ryanair e Google hanno accorciato le distanze nel mondo; ma per arrivare a Tirana solo nel pomeriggio ho dovuto uscire di casa alle 4.30 del mattino per arrivare dopo pranzo. E l’Albania è proprio di fronte alle nostre coste!...”. Gli svantaggi che la posizione della Puglia comporta per le industrie, a fronte degli innegabili vantaggi per turismo e agricoltura, sono confermati anche da Bonsegna: “I nostri fornitori sono tutti al nord e il trasporto incide molto sul costo della merce. In più noi siamo nel Salento, quindi la parte più a sud di una regione che è lunga ben 400 chilometri. L’unico interporto che abbiamo è a Bari, e per mandare la merce in Sardegna dovrei prima farla arrivare al porto di Napoli. Finora il problema non ce lo siamo posti, perché la clientela locale era già consistente, ma credo che sia giunto il momento di aggredire altri mercati”.


Alessandro Leone: “buone prospettive di collaborazione fra imprese e università”

Alessandro Leone insegna Meccanica Agraria all’Università di Foggia, e svolge attività di ricerca con le aziende pugliesi per individuare ed elaborare tecnologie innovative in campo agricolo. Mondo Macchina lo ha intervistato per fare il punto sullo stato della meccanizzazione agricola nella Regione.

Dato che lei conosce bene la realtà agricola pugliese, come spiega la scarsa produzione di attrezzature agricole? Si può pensare che gli agricoltori siano poco propensi all’innovazione tecnologica e alla meccanizzazione?

Non direi, anche perché sono presenti molti distributori che vendono attrezzature molto moderne. Piuttosto, è poco sviluppata la catena che segue la produzione, come l’industria della trasformazione. E questo vale per il pomodoro, per il grano così come per l’ortofrutta. Riguardo la meccanizzazione in campo, c’è da dire che la situazione è diversificata. Se si toglie il Salento, dove la crisi dell’ulivo sta sicuramente mettendo in difficoltà il settore, nella zona di Taranto e di Brindisi il livello tecnologico è già buono e continua a crescere. Dove cresce di più è Bari.

Ci sono colture prevalenti?

Queste sono aree a vocazione viticola, che può vantare un livello tecnologico molto alto, in grado di competere con zone del Nord Italia. Se poi arriviamo a Foggia, abbiamo le grandi colture di grano, pomodoro e ortaggi, che di fatto comportano la presenza di un livello tecnologico, meccanico e impiantistico molto elevato. Tant’è che qui si stanno cominciando a diffondere le macchine per l’agricoltura di precisione, e questo è un settore nel quale sono presenti i grandi costruttori sia italiani che esteri.

Le aziende collaborano con le università e gli enti di ricerca locali?

Sono presenti diverse realtà, come il Cnr (Centro nazionale delle ricerche) o i Cra (Centri di ricerca in agricoltura). Conosco bene la realtà di Foggia, dove come ricercatori siamo molto presenti sul territorio e cerchiamo di trasferire il know how alle aziende che hanno voglia di collaborare. Naturalmente, la collaborazione può nascere se c’è un progetto di ricerca che parte dall’Università o dalle stesse imprese. Per adesso, c’è un progetto al quale stiamo lavorando mentre un altro sta completando l’iter per il finanziamento. Con New Holland abbiamo collaborato per implementare soluzioni per l’agricoltura di precisione.

In quali ambiti colturali si lavora di più?

Personalmente sto lavorando molto sull’impiantistica olearia e collaboro con diversi produttori per introdurre tecnologie innovative: abbiamo lavorato, fra l’altro, all’applicazione di ultrasuoni e di impulsi elettrici pulsati.

Che vantaggi contate di ottenere da queste tecnologie?

Gli ultrasuoni aumentano la resa dell’estrazione. E stiamo verificando se possono anche portare dei vantaggi qualitativi. Comunque, alcune aziende locali hanno già acquistato dei brevetti dell’Università.

Chi finanzia questi progetti? La Regione vi sostiene?

Molta ricerca universitaria è finanziata dalla Regione. Il problema, naturalmente, è quello della burocrazia che allunga i tempi, come sempre quando si parla di pubblica amministrazione. I Psr (Piani di sviluppo rurale) finanziano tanti piccoli progetti, anche se per ciascuno non sono previste somme enormi.

Ma tutto questo si può tradurre in un impulso all’industria agromeccanica locale?

Il passaggio epocale che stiamo per affrontare verso tecnologie sempre più mirate potrebbe creare un grosso spazio di innovazione sul territorio pugliese. D’altra parte, in tutta Italia si sta abbandonando la produzione di tecnologie che non sono più all’avanguardia e che rimangono in Paesi come la Cina o l’India.



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