
Acciai speciali per la componentistica di settore
Leghe speciali al cromo o al carbonio e inserti in ceramica tecnica prolungano la vita dei componenti sottoposti a più elevato stress. Un mercato in costante crescita, sostenuto soprattutto dalle aziende più strutturate
Le macchine agricole sono fatte di ferro. Più precisamente, d’acciaio. La componente di silicio (metafora per dire elettronica) è in costante aumento, ma l’acciaio resta, e resterà a lungo, il primo componente, quantomeno in volume. Che acciaio, però? C’è acciaio e acciaio: diverso per elementi che lo compongono, grado di durezza, elasticità, resistenza all’abrasione. In uno stesso attrezzo si possono trovare molti acciai e in un acciaio vi sono molti componenti, tutti con un ruolo. Una piccola variazione nella quota di uno di essi può modificarne radicalmente le prestazioni. Si usano acciai speciali per alcune parti altamente sofisticate - si pensi alle leghe speciali dei pistoni o delle canne di un motore - ma anche per altre molto più semplici, quali possono essere i denti di un attrezzo per la lavorazione del terreno o le lame di un rotore di taglio. Molte di queste parti sono inoltre disponibili in diverse versioni: quella standard, più o meno sofisticata a seconda della fascia di prezzo dell’attrezzatura, e una o più ad alta resistenza, ossia realizzate con l’impiego di acciai speciali o rivestiti in materiali anti-usura. È di queste ultime e della loro fetta di mercato che ci occuperemo nelle prossime pagine.
A ciascuno il suo ricambio. Cominciamo col delimitare il perimetro: ciò di cui ci occupiamo sono parti di attrezzature o macchine che, essendo sottoposte a forti stress, sono realizzate in materiali diversi dal comune acciaio. Possono essere montate di fabbrica, sul nuovo, o, più spesso, offerte come ricambi. Cosicché un agricoltore, a fronte di usure anticipate per questi componenti, può trovare una soluzione che eviti ripetuti fermo-macchina e manutenzioni non preventivate. È, questo, un problema rilevante: parti che si usurano in fretta riducono l’efficienza del mezzo e obbligano alla sostituzione in tempi inferiori al previsto. Non è tanto una questione di costi - anche se il costo dei ricambi è in costante crescita e dunque incide sulle spese di ammortamento della macchina - quanto di inattività dell’attrezzo e di manodopera necessaria per il suo ripristino. Le manutenzioni si fanno tradizionalmente nella stagione invernale, quando le attività in campo rallentano. Ma se le usure sono rapide e le ore di lavoro da fare sono molte, non è detto che l’attrezzo possa affrontare un’intera campagna, pur se la inizia nel miglior stato possibile. Un erpice rotante chiamato a lavorare cinque o seicento ettari, soprattutto se in aree con terreno ricco di sassi o ancor peggio sabbioso, richiederà la sostituzione dei denti a stagione in corso. Certo non è un grosso impegno, ma che dire, invece, di operazioni molto più complesse, come il rimpiazzo della coclea di recupero di una mietitrebbia da riso? È un intervento che si effettua in inverno, ma richiede comunque personale preparato e intere giornate di lavoro. Per casi come questo, ma anche per molti altri, i costruttori da qualche anno mettono a disposizione dei clienti serie speciali di ricambi, realizzati con materiali ad alta resistenza. Costano molto più degli equivalenti tradizionali, ma assicurano una durata di gran lunga superiore.
Il concetto di TCO. Nel settore industriale e nel terziario si utilizza comunemente il TCO: una delle tante sigle anglofone che però racchiude un concetto di primaria importanza. Il TCO (Total cost of ownership), traducibile in italiano con costo totale di possesso, è un principio da tenere ben presente, quando si programma un acquisto. Si tratta di calcolare, per quell’investimento, non soltanto il costo iniziale, ma l’intera spesa che quel bene richiederà nel corso della sua vita utile. Un esempio per chiarire: un trattore ad alta tecnologia costa certamente di più rispetto a uno di pari potenza ma di fascia bassa. Tuttavia potrebbe assicurare determinati risparmi – per esempio nei consumi – o una maggior produttività tale da ridurre, se non azzerare, il divario iniziale. Se un trattore consuma meno e permette di fare più ettari al giorno o di risparmiare per esempio ore e ore di lavoro d’ufficio grazie alla registrazione automatica dell’attività, potrebbe risultare più conveniente di un mezzo più economico, ma meno performante. Lo stesso principio si può applicare ad ogni acquisto, compreso quello dei ricambi. E, lo diciamo subito, è uno degli argomenti più usati dai costruttori di macchine di fascia alta per convincere i potenziali acquirenti: i nostri prodotti costano di più, ma nell’arco della loro vita, tutto considerato, fanno spendere meno.
Soluzioni a confronto. Nel caso dei ricambi, i fattori che incidono sul TCO sono essenzialmente il prezzo d’acquisto, la durata, la durata alla massima efficienza e il costo della manodopera necessaria per la sostituzione. Sul primo punto, non c’è storia. Un ricambio ad alta resistenza costa mediamente il doppio di uno tradizionale, con punte del 400 o 500% per determinate soluzioni. Assicura però, sostengono i costruttori, una durata superiore di almeno cinque volte rispetto al ricambio comune. Cosa che, di per sé, basterebbe già a pareggiare la spesa totale. A ciò si aggiunge il risparmio di manodopera per le quattro o cinque sostituzioni non più necessarie, oltre al maggior guadagno dovuto al mancato fermo macchina. Quest’ultimo in realtà, si verifica soltanto se l’intervento manutentivo dev’essere effettuato a campagna in corso. Infine, un aspetto spesso trascurato: un componente parzialmente usurato, ma ancora utilizzabile, determina comunque una riduzione di efficienza. Un dente di erpice consumato per un terzo fa meno lavoro di uno nuovo, il puntale di un’ancora smussato aumenta l’assorbimento di potenza e dunque i consumi del trattore. Al contrario, un componente che resta praticamente inalterato per il doppio o il triplo del tempo assicura più ore di lavoro al 100% delle potenzialità dell’attrezzo.
Materiali speciali: ma quali? Ci siamo tenuti, finora, sul vago, parlando genericamente di materiali speciali. Entrando nel dettaglio scopriamo che vi sono almeno tre livelli di qualità per un componente alto-resistente. Il primo è quello che impiega acciai con formulazioni particolari. Le quali variano a seconda delle caratteristiche che si vogliono esaltare: resistenza all’usura, allo stiramento, alla compressione oppure maggior elasticità o leggerezza rispetto a una lega tradizionale. Negli ultimi anni, per esempio, in molti hanno insistito, nelle campagne promozionali, sull’impiego di Hardox, che è il nome dato a uno specifico acciaio anti-usura ad alto contenuto di cromo e basso o medio contenuto di carbonio. È stato (ed è ancora) utilizzato perché unisce elevata durezza (fino a 500 HB, sulla scala Brinell) a una buona lavorabilità. In altri casi, e settori, si è fatto ricorso ad altri acciai, sempre di matrice svedese, quali Domex e Strenx, particolarmente resistenti alla trazione. Non sempre, tuttavia, una lega di acciaio ad alto contenuto di carbonio, cromo o manganese è sufficiente a soddisfare le alte specifiche richieste da determinati componenti.
Quando l’acciaio non basta. In questi casi si ricorre a materiali ancor più duri – tra i più duri attualmente noti – tra cui spiccano le ceramiche tecniche. Il nome, di suo, non farebbe pensare a qualcosa che può essere usato per rinforzare l’acciaio, tuttavia è proprio ciò che accade. Chimicamente, si definisce ceramica un composto prodotto dalla sinterizzazione ad alta temperatura di polveri, per esempio ossidi, carburi, boruri o altri composti. Da qualche anno vanno per la maggiore i rinforzi al carburo di tungsteno, che è per l’appunto una ceramica tecnica, composta da tungsteno e carbonio, su una base metallica in lega di nichel o cobalto, che serve da legante e fornisce tenacità e stabilità alla ceramica, riducendone la fragilità intrinseca. Ciò nonostante, il carburo di tungsteno, proprio per la sua durezza, resta un materiale di difficile lavorazione, oltre che di costo elevatissimo. Dovuto al fatto, per esempio, che questo elemento è presente in concentrazioni molto basse, all’interno di minerali come scheelite o la wolframite. Dalla lavorazione di una tonnellata di terreno e rocce si ottengono circa 3 kg di tungsteno puro, la cui trasformazione in carburo di tungsteno richiede un ulteriore procedimento, complesso e dispendioso sotto il profilo economico e ambientale. Al punto che l’Unione Europea ha emanato, per questo e altri composti, uno specifico regolamento di responsabilità e sostenibilità sociale e ambientale, per assicurarsi che non siano causa di sfruttamento del lavoro umano o di eccessivo danno all’ambiente nelle fasi di estrazione e lavorazione.
Scarsa disponibilità, elevato costo e difficoltà di lavorazione fanno sì che questa ceramica, nota anche con il nome commerciale di Widia (una delle prime aziende a produrla), sia utilizzata in forma di placche o inserto. In sostanza, placche in carburo di tungsteno sono fissate su un componente o una specifica parte di esso, per renderlo estremamente resistente all’abrasione e all’usura. In altri casi, si creano dei veri e propri inserti, incastrati nel pezzo, a sostituirne alcune sue parti. Le due soluzioni si possono grosso modo considerare equivalenti, ma mentre la placca modifica profilo e sagoma del componente, restando sostanzialmente un’aggiunta a posteriori, l’inserto è parte integrante di esso e pertanto un ricambio con inserti in Widia è in tutto simile al ricambio nudo; se non, ovviamente, per le mutate caratteristiche di durezza e resistenza.
Il carburo di tungsteno non è l’unica ceramica tecnica utilizzata per rinforzare specifiche parti di un attrezzo. In passato, ma ancor oggi, si sono per esempio impiegati rivestimenti in carburo-cromo, con durezza inferiore al carburo-tungsteno (60 HRA contro 90 HRA, secondo la scala Rockwell A) ma meno costoso e più facile da lavorare. Per determinati componenti (pompe, irroratrici e simili), infine, si possono usare anche rivestimenti in Alumina o Zirconia, due ceramiche che conferiscono durezza e scorrevolezza e sono quindi spalmate su boccole e parti sottoposte ad attrito di scorrimento.
Punte, lame e raschiatori. I rinforzi antiusura o gli acciai speciali ad alta resistenza possono essere impiegati per tutte quelle parti di attrezzo sottoposte a forte attrito e a rischio di abrasione. È nella lavorazione del terreno che troviamo la maggior parte degli esempi: aratri (punte, versoio, vomere, strisciante), erpici rotanti (denti), preparatori combinati (punte e alette). Quando un elemento deve incidere, rivoltare o rompere il terreno, l’impiego di materiali antiusura è un’opzione sempre possibile. Per questo motivo, vi sono elementi di questo tipo anche nelle seminatrici (essenzialmente nei vomeri che interrano il seme), nelle zappatrici e in tutte le attrezzature di questo tipo. Troviamo poi le leghe ad alta resistenza su parti in apparenza secondarie, come i raschiatori di rulli e dischi. Passando alla raccolta, possono essere in acciaio speciale le lame di taglio di presse o trinciacaricatrici, ma anche di vomeri di scavabietole e scavapatate. Un altro attrezzo per cui si ricorre frequentemente a rivestimenti speciali è il carro miscelatore: sia le lame delle coclee sia quelle della fresa desilatrice sono infatti sottoposte a notevole stress, in particolare se si macinano frequentemente fieni essiccati o paglia.
Settore in crescita. Specializzazione e professionalizzazione dell’agricoltura, aumento della dimensione delle aziende, necessità di evitare tempi morti e spreco di manodopera spingono in alto la quota di mercato di componenti antiusura, nonostante il costo elevato. Un incremento, ci dicono gli addetti ai lavori, più marcato nei paesi caratterizzati da gigantismo aziendale e vaste superfici, come America (Settentrionale e Meridionale) ed Europa dell’Est. L’Italia, su questo treno, viaggia in seconda classe. «Ci sono Paesi europei in cui l’interesse per parti con rivestimenti speciali è maggiore, ma anche da noi si assiste a una costante seppur lenta crescita», ci dice Germano Mattiazzi, responsabile delle parti di ricambio per Kuhn Italia. In generale sono soprattutto contoterzisti e grosse aziende a scegliere questi componenti. Questo perché hanno elevate superfici da trattare durante la stagione: tali da giustificare la spesa necessaria per l’acquisto di ricambi speciali. La presenza sul mercato di componenti ad alta o altissima resistenza ha però anche un effetto secondario: porta verso l’alto l’intero settore. Per esempio, anche per i ricambi standard si adottano leghe ad alta resistenza. Come sempre, un’offerta di eccellenza spinge verso l’alto tutto il comparto, con benefici soprattutto per gli utilizzatori finali.









