
Anche la batteria diventa hi-tech
Sono probabilmente il componente che meno si è modificato negli anni, ma le mutate esigenze in fatto di alimentazione dei servizi e delle attrezzature stanno facendo aumentare amperaggio e corrente di spunto. Possibile, in qualche caso, montare due o anche tre accumulatori, sincronizzati da un equalizzatore elettronico
Se confrontata con quella di altri settori, l’evoluzione dell’accoppiata batteria-alternatore è davvero poca cosa. Si consideri quanto si sono modificati, negli ultimi trent’anni, il quadro comandi, l’elettronica, il sedile o anche il semplice condizionatore, oggi climatizzatore elettronico a regolazione puntuale della temperatura. La batteria, apparentemente, è invece sempre quella: una scatola che conserva l’energia elettrica e la restituisce quando è il momento di accendere il trattore. Eppure, anche la batteria è cambiata, sta cambiando e soprattutto cambierà in un futuro medio-prossimo. Principalmente, per adeguarsi alle mutate esigenze delle macchine agricole moderne. Che riassumiamo qui di seguito, per avere un quadro chiaro della situazione.
Consumi elettrici in impennata. Un quarto di secolo fa il trattore, una volta acceso, doveva alimentare la fanaleria (in caso di lavoro notturno), un po’ di strumentazione di bordo e giusto il condizionatore. Oggi, si fatica a tenere il conto delle applicazioni elettriche presenti. C’è il condizionatore, indubbiamente, diventato nel frattempo un sistema complesso, riassunto nella sigla CVCA (climatizzazione, ventilazione e condizionamento aria), cui si aggiungono ventilazione e riscaldamento del sedile. Poi la complessa strumentazione: due o anche tre monitor da 6 a 12 pollici, più tutta l’elettronica che vi sta dietro (centraline, sensori vari, computer del sistema operativo), antenna satellitare e sistema di guida automatica, connessione Isobus e via dicendo. Sotto il cofano troviamo, sempre in tema di dispositivi elettrici, la ventola dei radiatori (in determinati modelli), che da sola assorbe parecchi watt, la pompa del gasolio e le valvole Waste-gate e Egr. In più, decine di elettrovalvole per l’impianto idraulico, l’idroguida, il sistema di frenatura. Su alcuni modelli, anche gli attuatori del cambio – a variazione continua o powershift – sono azionati elettricamente. Abbiamo infine le uscite per connettere monitor aggiuntivi e per le esigenze dell’attrezzo, sempre crescenti. Si pensi per esempio alle moderne seminatrici, tutte dotate di dosatori elettrici e, talvolta, anche di sistema di ventilazione con motore elettrico. L’unica voce che ha visto ridurre gli assorbimenti è la fanaleria: l’adozione dei Led al posto dei fari alogeni ha comportato un netto calo di potenza impegnata (circa 60-80 watt contro 180-200 degli alogeni).
Indicativamente, si può stimare che negli ultimi 25-30 anni i mezzi agricoli hanno manifestato un incremento nel fabbisogno elettrico del 40% circa: se una macchina degli anni Duemila si accontentava di 150 Ah/giorno, attualmente ne servono dai 200 ai 220 per far funzionare un mezzo di pari potenza (diciamo sui 200 cavalli). Non soltanto: la sofisticata tecnologia installata oggi sui trattori, è molto sensibile a sbalzi di corrente e perdite di potenza. Se la batteria non funziona perfettamente, prima ancora di dare difficoltà di accensione causerà malfunzionamenti in qualche centralina o anche in punti insospettabili, per esempio nell’iniezione o nei comandi del bracciolo. È dunque essenziale che le batterie non garantiscano soltanto l’avviamento, ma anche stabilità di corrente durante il lavoro.
L’avviamento, appunto. A parità di potenza, i volumi dei motori (e con essi la forza necessaria per farli girare) si sono ridotti. Tuttavia, sono aumentate le dimensioni dei trattori: se negli anni Novanta non si andava oltre i 300 Cv, oggi si superano di slancio i 400, per cui i moderni sistemi di avviamento si trovano ad azionare dei 6 cilindri da 9 litri di volume. Se poi si entra nel segmento dei maxi-trattori, troviamo che il Quadtrac di Case IH monta un propulsore da 12,9 litri, mentre il Mercedes Benz dello Xerion 12 arriva a 15.600 cc. Volumi ancora superiori per le macchine da raccolta: le moderne mietitrebbie viaggiano tutte sui 12 litri di volume, mentre le trinciacaricatrici più grandi arrivano a raddoppiarlo (con il D9512 Liebherr da 24,2 litri, per esempio, o il Cursor V20 di Fpt da 20 mila cc). Sono motori derivati da altri settori (come il trasporto pesante) che non di rado richiedono un sistema di avviamento a 24 volt e dunque i costruttori si sono dovuti ingegnare per soddisfare questa necessità senza rivoluzionare l’intero impianto elettrico.
Spunto, Ampère: cos’è cambiato. Le batterie devono stare al passo con queste evoluzioni. A esse sono richiesti, contemporaneamente, maggior amperaggio e maggior spunto. Un minimo di spiegazione: la domanda di energia elettrica in continuo, per esempio da parte del climatizzatore o dei display, necessita di un più alto amperaggio della batteria, sebbene l’energia necessaria sia fornita, quando il motore è in funzione, dall’alternatore. In avviamento, tuttavia, l’accensione dell’elettronica, della pompa gasolio e dei vari dispositivi ricade tutta sull’accumulatore e dunque gli Ampère servono.
Per far partire il motore, invece, la batteria deve avere un elevato spunto, anche detto CCA (spunto a freddo o Cold Cranking Amps). È intuitivo che far girare un motore da 6.000 cc o uno da 15.600 cc sono due cose diverse, per la batteria. Spunto e amperaggio non si escludono a vicenda: gli accumulatori possono avere valori elevati per entrambi, ma in quel caso i costi e il peso salgono notevolmente, in quanto si devono utilizzare piastre specifiche per alto spunto e sufficientemente spesse da garantire un notevole numero di Ampère.
Le soluzioni, dunque, sono due: una batteria che metta assieme spunto e amperaggio, facendo però lievitare i costi, oppure l’opzione Dual Battery, ossia due (o più) batterie installate sul mezzo. La prima, con alto spunto, aziona l’avviamento (anche a freddo, condizione tipica dei mezzi agricoli) e la seconda alimenta elettronica e servizi vari. La tecnologia interna alle batterie può essere tradizionale (il classico piombo con acido liquido) oppure di più recente realizzazione. È il caso delle AGM (Absorbent Glass Mat), in cui la miscela di acqua e acido non è libera ma contenuta da spugne in fibra di vetro.
Evoluzione tecnologica. Gli accumulatori, alias batterie, non sono cambiati poi molto negli ultimi decenni. Anzi, a ben vedere il principio che le anima è quello scoperto da Volta nel 1799, con la prima pila. Tuttavia, qualche modifica negli ultimi anni c’è stata. Sono state per esempio introdotte le batterie a coperchio sigillato, che non richiedono manutenzione. Possono essere collocate anche su un fianco, essendo appunto a tenuta ermetica, e soprattutto non necessitano di rabbocco del liquido, poiché non subiscono perdite per evaporazione.
Altre innovazioni significative riguardano le batterie AGM e Gel. Delle prime abbiamo già scritto: sono realizzate secondo un sistema di stabilizzazione dell’acido in membrane solide, che riduce la necessità di manutenzione, l’auto-scarica e i possibili inconvenienti dovuti a vibrazioni o sobbalzi, molto comuni nell’attività agricola. Le batterie a Gel, al momento non sono diffuse in ambito rurale; a ogni modo, adottano un principio simile alle AGM, senonché l’acido è raggrumato in un gel. Anche in questo caso non serve rabbocco e l’auto-scarica è molto ridotta. Rispetto alle AGM, le batterie in Gel resistono meglio a impieghi prolungati e in molti casi si possono considerare delle Deep-cycle. Con questo ennesimo inglesismo si intendono batterie in grado di scaricarsi quasi completamente (anche al 20% di energia residua) senza manifestare problemi di accumulo o perdere capacità di ricaricarsi al 100%, problema tipico delle batterie utilizzate per l’avviamento. In un certo senso, si potrebbe anzi dire che la Deep-cycle è l’opposto della batteria per avviamento: quest’ultima è progettata per erogare alti carichi per brevissimo tempo; la Deep-cycle, al contrario, eroga corrente in continuo per periodi lunghi, arrivando a scaricarsi ben oltre il 50%.
Il problema della cosiddetta memoria di carica e dello scaricamento profondo è stato risolto, per cellulari, computer e anche mezzi di trasporto, dall’adozione delle batterie agli ioni di litio. Tecnologia che, parzialmente e lentamente, sta subentrando al piombo anche per gli accumulatori di avviamento. «Il litio, più che un futuro, è già il presente in numerose applicazioni, anche se impiegherà ancora qualche anno per diffondersi veramente in ambito agricolo», spiega Alessandro De Rossi, del marketing di Yuasa Italia, primo produttore mondiale di batterie. «È una tecnologia che offre diversi vantaggi: il principale – aggiunge – è una maggior facilità di accettazione della carica, che porta a ridurre i tempi di lavoro dell’alternatore e di conseguenza a risparmiare gasolio. Inoltre, a parità di energia immagazzinata, le batterie al litio sono più leggere e meno ingombranti delle batterie al piombo-acido».
Due, tre, quattro batterie. Completiamo il quadro sintetizzando come i costruttori di macchine agricole fanno fronte alle incrementate esigenze di potenza elettrica. La soluzione più comune è quella di aumentare la capacità delle batterie, dal momento che la corrente di spunto richiesta per l’avviamento non è poi molto diversa rispetto a un tempo, poiché negli anni la dimensione dei motori, a parità di kW espressi, si è ridotta. D’altra parte, i rapporti di compressione sono mediamente superiori, per cui l’avviamento è diventato più complesso e richiede comunque CCA più elevate. Mutate esigenze che valgono, a maggior ragione, per l’assorbimento energetico da parte dei tanti dispositivi di nuova adozione, come abbiamo visto in precedenza. Per questo motivo, un moderno trattore monta, indicativamente, batterie con amperaggio da 120 a 200 (e oltre) Ah, a seconda della potenza, e alternatori che, di conseguenza, hanno un range tra 100 e 170/200 Ah. Talvolta, anzi, si arriva a raddoppiare l’alternatore, per garantire l’energia sufficiente a coprire un fabbisogno che, per una macchina da 200 Cv, raggiunge tranquillamente i 240-250 A al giorno (circa 30 Ampère/ora).
L’adozione della singola batteria è, al momento, prioritaria, ma le soluzioni dual-battery sono in crescita. Vi sono costruttori che in passato avevano raddoppiato il circuito, come Massey Ferguson, ma che per i modelli lanciati nell’ultimo decennio sono tornati alla batteria singola. Tuttavia sui modelli più grandi la doppia batteria sta diventando comune. È il caso dei Magnum di Case IH, dei T8 New Holland e di alcune gamme della Valtra, che dispongono di un accumulatore per l’avviamento e di un altro per l’alimentazione dei vari servizi.
La cosiddetta dual battery è infine molto più comune sulle grandi macchine da raccolta, laddove i motori superano regolarmente i dieci (e anche venti) litri di volume e, come abbiamo già scritto, richiedono impianti a 24 volt per l’avviamento. Tensioni che un solo accumulatore non potrebbe fornire, per cui ne servono almeno due. Questi lavorano in parallelo, dunque con 12 volt di tensione, durante il normale funzionamento della macchina. In fase di avviamento, però, un relè mette in serie le batterie, fornendo all’avviamento corrente a 24 volt.
Non ci si ferma però qui. Su alcune macchine, le batterie sono tre. Accade sulle trinciacaricatrici F9 di John Deere, con tre accumulatori da 175A, o sui maxi trattori articolati Quadtrac di Case Ih azionati dai motori Cursor 16. Questi mezzi impiegano due batterie da 12 volt, che possono lavorare in parallelo o in serie, più una terza batteria che funge da tampone per il mantenimento della corrente a 12 V sulle applicazioni elettroniche, mentre un equalizzatore coordina la carica tra i tre dispositivi, per evitare squilibri. Chiudiamo con la macchina-record, a quanto ne sappiamo: sulla trinciacaricatrice FR 920 di New Holland, di batterie ce ne sono quattro.









