
Elettrico: la transizione possibile
L’agricoltura è considerata un settore a conversione complessa. Ma vi sono segmenti – dalle serre alle stalle, passando per i lavori municipali – in cui si procede a ritmi più spediti. Le macchine elettriche più diffuse e i loro impieghi
Secondo il rapporto 2022-23 dell’associazione dei costruttori europei Cema, i mezzi ad alimentazione elettrica occupavano, in quell’anno, un massimo del 5% del mercato. Le stime più accreditate attribuiscono a questo specifico segmento un tasso di crescita compreso tra il 13 e il 18% annuo, che porterebbe oggi a un immatricolato di quasi cinquemila pezzi, contro i poco più di tremila di tre anni fa. Un ulteriore incremento potrebbe derivare da politiche di incentivazione pubblica, qualora si decidesse di procedere in tal senso. In ogni caso, diverse previsioni sostengono che entro il 2030 il 20% dell’immatricolato Ue potrebbe essere rappresentato da mezzi elettrici, con punte oltre il 30% per la Francia.
Elettrificazione: sì, ma quale? La transizione, in altre parole, è già iniziata, sebbene a ritmi non travolgenti. Come, del resto, è lecito attendersi per un settore in cui i veicoli ad alimentazione elettrica scontano forti difficoltà, legate soprattutto alla densità di energia e alle potenze in gioco nelle attività agricole. Per alimentare macchine che sviluppano costantemente oltre 300 kW per diverse ore al giorno, sono infatti necessarie fonti di energia ad alta densità e stabilità. Le batterie – anche le migliori – al contrario hanno problemi in entrambi questi ambiti, mentre danno il meglio in applicazioni in cui sia necessario un elevato spunto per tempi ridotti, intervallati da momenti in cui viene recuperata l’energia non utilizzata. Si aggiunga, poi, la difficoltà di collegare alla rete macchine che lavorano abitualmente lontano dalla sede aziendale per l’intera giornata o anche per più giorni. Un caso tipico è quello di una mietitrebbia che operi su terreni lontani 30 o 40 km dall’azienda e che è lasciata in campo durante le ore notturne. Sarebbe ovviamente impossibile, in queste condizioni, ricaricare ipotetiche batterie. Tanto più se pensiamo che proprio le macchine da raccolta, come appunto mietitrebbie o anche trinciacaricatrici, esprimono elevate potenze (500 kW e oltre) per periodi prolungati.
Da dove cominciare. Quello delle macchine da raccolta è, con ogni evidenza, il settore più difficile da elettrificare, in agricoltura, e infatti è probabile che esso, assieme al segmento dei trattori con potenze superiori ai 200-250 Cv, resterà legato ai motori endotermici, auspicabilmente alimentati con i nuovi combustibili a bassissimo impatto (come il gasolio HVO, per esempio) o fonti rinnovabili quali metano o idrogeno.
Ogni medaglia, tuttavia, ha il suo rovescio. E dunque per un ambito – quello della raccolta, appunto – in cui molto probabilmente non si riuscirà a introdurre l’alimentazione elettrica, ve ne sono altri in cui la transizione è invece molto più semplice. Si tratta di attività che hanno alcune caratteristiche ben definite: si svolgono in un arco di tempo ridotto, prevedono lunghi periodi di fermo tra un impiego e l’altro e si realizzano principalmente, o esclusivamente, nell’ambito dell’azienda agricola o comunque in ambiente antropizzato, dove è sempre possibile accedere a punti di ricarica. Si aggiunga una caratteristica che, se non favorisce l’elettrificazione in senso tecnico, la rende comunque preferibile sotto il profilo salutistico, ambientale o normativo, ossia l’opportunità di lavorare con zero emissioni e ridotta rumorosità in determinati ambienti o situazioni. In tutti gli spazi chiusi, per esempio, oppure in quei contesti urbani o civili in cui, non di rado, le macchine agricole si trovano a operare.
Lavori municipali: una porta aperta. L’ultimo riferimento è chiaramente ai cosiddetti lavori municipali. Pulizia di aree verdi, raccolta potature, sgombero neve o spargimento sale in piazze e vie cittadine. Sono tutti esempi di attività in cui macchine a zero emissioni e ridotta rumorosità hanno una marcia in più. Non inquinano (almeno non in loco), sono poco rumorose, risultano gradite alla popolazione per l’aura Green che le accompagna. Operando in ambito urbano, hanno facile accesso a punti di ricarica e il loro impiego è spesso concentrato nell’arco di poche ore, per cui un’autonomia di circa mezza giornata non è un grosso limite. Inoltre, eseguono lavori relativamente leggeri, che non impegnano a fondo il motore e richiedono potenze non elevate. Per le comuni attività nei centri abitati, trattori da 100 kW sono più che sufficienti. In molti casi, si possono utilizzare macchine pensate per l’agricoltura specialistica (frutti-viticoltura, per esempio): proprio il segmento in cui, a oggi, si ha la maggior offerta di modelli elettrici.
Zero emissioni in serra. Per motivi parzialmente diversi, anche in serra sono apprezzabili – e forse in un prossimo futuro saranno anche richieste – emissioni in loco pari a zero. In questo caso, gli interessi meritevoli di tutela sono la salute e la tranquillità degli operatori, che si trovano a lavorare in un ambiente quasi completamente chiuso e in presenza di scarichi nocivi. Inoltre, gli stessi gas ricadono, sebbene in misura risibile, anche sulle colture; visti i rigidi requisiti sanitari imposti dalla grande distribuzione non è impensabile che, soprattutto per coltivazioni biologiche o comunque di filiera, nel giro di pochi anni venga imposto l’uso di macchine "pulite".
Come nel caso delle attività municipali, anche le caratteristiche del lavoro in serra facilitano la transizione: a parte alcuni interventi sporadici, non sono infatti richieste potenze elevate – si resta ancora una volta sotto il limite del 100 kW – e si lavora inoltre in un ambiente raggiunto dalla rete elettrica, per cui è assolutamente possibile ricaricare le macchine, almeno parzialmente. Per esempio, durante la pausa pranzo.
Nel caso della serra, le "macchine" non sono soltanto trattori, ma anche mezzi semoventi specifici, come trapiantatrici o raccoglitrici. La cui ridotta potenza – indicativamente 20-30 kW – le rende facilmente elettrificabili. Tanto è vero che già oggi sul mercato sono presenti diversi modelli alimentati a batterie, oltre a qualcuno che si collega direttamente alla rete elettrica, grazie a lunghi cavi.
Sono inoltre elettrici tutti i nuovi strumenti della serricoltura digitale, oltre ai ben più tradizionali impianti di irrigazione. Per esempio, le raccoglitrici autonome, ancora allo stadio prototipale in Italia ma già presenti in alcune serre europee e soprattutto asiatiche. Sono sistemi basati sull’intelligenza e sulla visione artificiale, che comandano bracci-robot in grado di staccare i frutti dalle piante senza danneggiarli. Accanto a esse, si devono ricordare i piccoli automi semoventi che effettuano lavorazioni specifiche, come diserbi puntuali o il semplice controllo dello stato delle colture.
La stalla, “paradiso” del lavoro elettrificato. Abbiamo lasciato per ultimo il settore in cui, dati alla mano, la transizione energetica è al livello più avanzato. La stalla si presta particolarmente all’uso di macchine a batteria per i fattori già descritti, ossia utilizzo concentrato in poche ore durante la giornata, prossimità della rete elettrica e soprattutto necessità di ridurre le emissioni, in particolare quelle sonore. A non dover essere disturbati, in questo caso, non sono i cittadini di qualche centro storico, ma le vacche in lattazione. La possibilità di far aumentare la produzione giornaliera per capo anche di pochi decilitri è sicuramente un incentivo importante per un imprenditore con qualche centinaio di capi sotto il capannone. Ancor più, se sul tetto del medesimo troneggia un impianto fotovoltaico, ormai sempre più comune nelle aziende zootecniche. Come testimoniano molti allevatori, i pannelli, pur a fronte di un investimento notevole, riducono anche del 90% la bolletta energetica, permettendo di ottenere grossi risparmi sui costi di produzione. Aggiungervi una cospicua riduzione delle spese per l’alimentazione delle macchine è ovviamente auspicabile e anche questo – o forse soprattutto questo – spiega l’attenzione riservata ai mezzi non endotermici.
La cui varietà è, a oggi, già alta. Partiamo da quelli più specifici: carro miscelatore e macchine per la gestione della razione alimentare. Tutti i sistemi autonomi, in sigla AFS (Automatic Feeding System) sono alimentati da batterie. Questo sia per comodità, sia per la contemporaneità del progetto, sia anche per le piccole potenze coinvolte. I robot di alimentazione hanno infatti vasche da pochi metri cubi di volume e dunque non richiedono molti kilowatt per funzionare. Soprattutto se, invece di fare miscelazione e taglio degli ingredienti, si limitano a una sommaria miscelazione e alla distribuzione, delegando il taglio e la miscelazione principale a carri stazionari (anch’essi azionati da energia elettrica, in questo caso proveniente dalla rete). Stesso discorso per i cosiddetti spingi-foraggio, ossia piccoli automi che a intervalli regolari avvicinano la razione alimentare alla mangiatoia. Vi sono poi altri robot con un compito meno nobile ma altrettanto essenziale: tenere pulite le corsie, rimuovendo le deiezioni e favorendone la caduta nel grigliato.
Attorno alla stalla lavorano però anche altri attrezzi. Oltre ai classici trattori di piccola taglia (utility), sono sempre presenti o un caricatore telescopico o una pala gommata. Per entrambi questi mezzi, dedicati alla movimentazione di materiali, esistono versioni a batteria, favorite da un impiego generalmente limitato nell’arco della giornata, che rende possibile la ricarica tra un ciclo di lavoro e l’altro. Lo stesso vale, del resto, per i carri miscelatori, usati in modo intensivo ma soltanto per due o tre ore al giorno.
Pale, minipale e caricatori con braccio telescopico sono una costante anche per gli impianti di biogas che, producendo energia elettrica, possono farli funzionare a costo quasi zero. Questi impianti, per inciso, sono molto spesso abbinati proprio a una o più aziende zootecniche, da cui ottengono una parte delle materie prime necessarie al loro funzionamento.
Naturalmente telescopici e pale sono spesso utilizzati anche nelle aziende agricole generiche. Quelle cerealicole, per esempio, per movimentazione delle granaglie, raccolta rotoballe o accatastamento di materiali vari. Non si devono infine dimenticare attrezzi elettrificati ormai da anni, come carrelli elevatori e simili. Presenti, a volte, nelle aziende agricole o agromeccaniche che dispongono di un’officina interna o che devono spostare frequentemente pallet e simili. Si pensi, per esempio, alle aziende ortofrutticole.
Accanto a essi, trans-pallet, veicoli di servizio e mini-truck. L’impiego su percorsi cementati o asfaltati, con frequenti arresti e ripartenze, disegna un profilo di consumi favorevole all’alimentazione elettrica.
Cosa offre il mercato. Come abbiamo anticipato, sul mercato esistono già diverse soluzioni ad alimentazione elettrica. In particolare, per attrezzature da piazzale. Non mancano comunque i trattori, in particolar modo quelli specialistici. Il segmento frutteto-vigneto è stato, negli ultimi anni, particolarmente attivo nell’elettrificazione, favorito dalle piccole dimensioni delle macchine – che pertanto assorbono meno potenza – e dal ridotto carico di lavoro tipico del settore. A oggi, sono oltre una decina i modelli elettrici già disponibili. Tra essi, l’e100 di Fendt, presentato pochi mesi fa e già al lavoro in Europa. Puntano sull’elettrico nomi storici come Antonio Carraro e New Holland (con il T3 Electric Power), Bcs (eValiant ed Evanguard) o Kubota (LXe-261), senza dimenticare Keestrack, erede del prestigioso marchio Goldoni. Ci sono poi nomi poco conosciuti nell’agricoltura nazionale, come Ideanomics, Itl, Tafe Tractors e Farmtrac (due marchi indiani). Ma anche gli italiani si stanno muovendo, con Del Morino e Agri Eve (startup trentina, che ha collaborato con Pierre), che offre anche macchine in versione telecomandata o autonoma. Lo stesso fa – e torniamo a nomi molto noti per questa nicchia – Monarch con MKV.
In genere si parla di trattori con potenze dai 40 ai 70 Cv, dotati di impianto idraulico e attacco a tre punti con un paio di tonnellate di portata. Più che sufficienti, come dotazione, per le normali attività del frutteto-vigneto, ma anche per essere impiegati in ambiti cittadini o aziendali. L’autonomia è generalmente di quattro o cinque ore. Fa eccezione l’ibrido Rex4 di Landini, con motore endotermico e un secondo motore elettrico, con due ore di autonomia, per lavorare sotto i capannoni o nelle stalle.
In piena crescita il settore elettrico per i carri miscelatori. Restando nel campo di quelli tradizionali, ossia guidati dall’uomo, ricordiamo Supertino e Faresin, quest’ultimo con già tre modelli a listino. Si aggiungono Zago, con versioni elettriche nelle gamme King e Hawk, e Seko, con il Pony 3W ME. A essi si aggiungono i tanti carri miscelatori autonomi, proposti da Lely, Delaval, Gea, Hetwin, Trioliet e Wasserbauer, per citare alcuni dei nomi più noti. Chiudiamo con il Robo 2.8 di Zitech, alimentato non da batterie ma da un cavo lungo fino a 60 metri.
Ricco di proposte anche il mercato dei caricatori telescopici: ormai tutti i principali costruttori hanno a listino almeno un modello a batterie o talvolta più d’uno. È il caso di Faresin, per esempio, che nella linea Full Electric ha ormai due gamme: Small Range (rappresentata dal 6.26 Full Electric) e Big Range, con i modelli 14.42, 17.40 e 17.45.
La britannica Jcb offre il 525 60E, mentre l’italiana Merlo ha ben tre modelli di e-Worker a listino. Tra gli ultimi costruttori ad arrivare nel segmento elettrico, ricordiamo Dieci con il Mini-Agri-e, seguita da Kramer, Claas e Manitou. Il marchio tedesco, che si appoggia alla rete vendita di John Deere, offre il Kt 144e (1,4 tonnellate di portata per 4,3 metri di altezza), mentre Claas ha presentato, ormai due anni fa, lo Scorpion 732e, con performance superiori (3,2 tonnellate, 7 metri di elevazione). Prestazioni di poco inferiori per il modello Mlt 625e della francese Manitou, arrivato sul mercato lo scorso anno.
Chiudiamo con una categoria di macchine che negli ultimi anni ha avuto un forte impulso verso l’elettrico. Le pale – e soprattutto le mini-pale – sono utilizzate anche in edilizia e particolarmente in contesti urbani, viste le ridotte dimensioni. Si comprende quindi l’attenzione per forme di energia meno impattanti sull’ambiente circostante. Da qui a trasferire alcuni modelli al settore agricolo il passo è breve, dal momento che funzioni e requisiti (in termini di potenza, capacità e altezza di sollevamento) sono assai simili.
Pioniere in questo settore è per esempio Bobcat, presente sul mercato con due modelli: la minipala cingolata T7X e l’omologa gommata S7X, lanciate rispettivamente nel 2022 e 2023. Dalla Cina arriva invece la XC918 EV, del colosso XCMG. È più tradizionale rispetto agli inconfondibili Bobcat, ma comunque sempre nel segmento delle pale leggere. Lo stesso vale per due nuovi prodotti di Cnh: la 12EV di Case IH e la W40X di New Holland. Dalla giapponese Kubota arrivano invece le RT210-2e e RT220-2e. Ricordiamo poi la 5065e di Kramer e la 403e di Jcb, che alza 640 kg e, secondo il costruttore, ha un’autonomia di oltre quattro ore, con ricarica in circa 120 minuti. valori assai simili agli altri modelli citati e a quelli che, nel giro di pochi mesi, arriveranno su un mercato sempre più ricco di soluzioni sostenibili.
Ci sono anche i droni
Parlando di applicazione elettriche in agricoltura è d’obbligo dedicare almeno qualche riga ai droni e nella fattispecie a quelli aerei (in sigla inglese, Uav). Mezzi a batteria per antonomasia, come noto. La novità è che se fino a pochissimi anni fa potevano essere utilizzati per rilevamenti, foto aeree, analisi della vigoria fogliare, oggi sono diventati a tutti gli effetti attrezzi agricoli. Il cambio di destinazione è dovuto a una capacità di trasporto che, per alcuni modelli e costruttori (in gran parte cinesi) supera i 50 kg. Caratteristica che li rende idonei a distribuire, oltre alle famose larve di insetti utili, anche fertilizzanti, biostimolanti, pollini per impollinazione artificiale di alcuni alberi da frutto. In parallelo alle applicazioni, sta crescendo la diffusione, al momento limitata a contoterzisti e grosse aziende. Da notare, in chiusura, che i maxi-droni sarebbero perfetti per i trattamenti fitosanitari. I quali sono però, al momento, vietati per legge.