
Le strategie di investimento delle imprese italiane
Il mercato indiano parla anche italiano. Sono numerose le aziende italiane che hanno deciso di investire in India, attratte da un mercato del lavoro competitivo, da una crescita economica sostenuta, da una manodopera ad alta specializzazione
dimensione del mercato indiano e i suoi elevati tassi di crescita (economica e demografica) sono gli elementi principali che lo rendono attrattivo. L’altro aspetto riguarda il fattore lavoro, che ha costi competitivi e che vede la presenza di risorse qualificate in settori innovativi e tecnologici. Un asset, questo, che negli ultimi anni si è consolidato con il rientro dall’estero dei cosiddetti Indian Talents.
Tale contesto ha spinto molte aziende italiane a stabilire una presenza diretta in India. Gli ultimi numeri disponibili le quantificano in oltre 700, includendo sia le società di diritto locale che gli uffici commerciali o di rappresentanza, da intendersi quindi come filiali della casa madre italiana. Già da diversi anni i grandi gruppi italiani presidiano il mercato con importanti strutture locali, in diversi settori: da Stellantis a Enel Green Power, da Italferr a Ferrero, e ancora Mapei, WeBuild, Saipem, Techint, Luxottica, Bonfiglioli, Maschio Gaspardo. Anche molti primari brand della moda, dell’arredamento e del lusso (tra cui Poltrona Frau, Artemide, Natuzzi, Zegna, Armani, Flou, IGuzzini) hanno sedi stabili nel Paese. Una presenza importante e consolidata è quella del settore difesa (ELT Elettronica, Fincantieri, Leonardo).
Sebbene si indichino spesso alcuni settori come prioritari per il made in Italy - meccanica avanzata, tecnologie green, beni di consumo, infrastrutture, spazio e difesa - in realtà le imprese italiane che hanno relazioni con il mercato indiano operano nei settori più vari. Tra i molti nostri prodotti con importanti quote di mercato in India ne citiamo alcuni: apparecchi di diagnostica medica, macchine per la refrigerazione, componenti meccaniche per l’industria (es. pompe, tenute meccaniche…), prodotti per la lavorazione delle pelli ed accessori per il confezionamento, caschi, prodotti per l’edilizia…e last but not least macchinari agricoli ed accessori. Altrettanto vasto e diversificato è il range dei beni che l’Italia importa dall’India. Dai prodotti tessili a quelli del comparto ittico, dai prodotti dell’agricoltura ai pneumatici, le importazioni dal subcontinente coprono un’ampia rosa di settori.
Tornando sul tema della presenza italiana in India, le nostre imprese si trovano di fronte come controparti non solo i grandi conglomerati ma anche un bacino di medie aziende che costituisce una componente molto dinamica dell’economia. Le PMI del subcontinente contribuiscono per un terzo alla formazione del prodotto nazionale ed al 45% delle esportazioni e nel nuovo scenario competitivo degli scambi cercano freneticamente nuovi mercati.
Se i dati finora forniti evidenziano le opportunità del mercato indiano per le nostre imprese vediamo di riassumere – anche alla luce dell’esperienza diretta di alcune di queste – i punti di attenzione in particolare per chi intende iniziare ora ad affacciarsi su questo mercato
Il primo elemento che va rilevato è la complessità burocratica e amministrativa che caratterizza il contesto del business locale, e questo deriva da vari fattori come l’articolazione e la frequenza degli interventi normativi. A questi si associa la struttura federale con differenze anche importanti fra le regole dei diversi stati, e l’ampiezza di un mercato con prassi e caratteristiche commerciali diverse.
Il tema riguarda sia l’impresa che opera in esportazione, o importazione, sia quella che intende stabilire in India una presenza diretta: filiale o società di diritto locale. A tale proposito, l’esperienza di molte medie aziende italiane ha indicato la necessità di dover modificare le modalità iniziali di ingresso. Chi ad esempio aveva cominciato ad operare in loco tramite un agente è passato ben presto ad utilizzare come referente un importatore, per preferire infine la collaborazione con un proprio rivenditore (dealer). Una strategia – questa – gradita ai clienti indiani, soprattutto in certi settori dove risultano essere premianti l’assistenza post vendita e la presenza in loco di referenti dell’impresa estera. Anche le tradizionali attività import dall’India sviluppate negli anni da aziende italiane (ad esempio del tessile e nella pelletteria) hanno contribuito a consolidare la conoscenza, e a gestire la complessità delle procedure, in molti casi attraverso il ricorso a società indipendenti (es. SGS, Bureau Veritas…) che si occupano di controllo qualitativo, quantitativo e di certificazione delle merci.
Per quanto riguarda invece il tema dell’export italiano in India, fra le criticità da gestire vengono segnalate, oltre al frequente aggiornamento della classificazione doganale nell’ambito del Sistema Armonizzato (con impatto sulle aliquote dei dazi), la presenza di dazi compensativi, di protezione, antidumping, e soprattutto le procedure di sdoganamento complesse. Altra tematica da considerare è quella relativa alle barriere non tariffarie che derivano ad esempio da norme fitosanitarie e sanitarie, oppure dai differenti standard tecnici che devono rispettare i beni, o ancora dall’obbligo di importare solo dai monopoli statali. L’import di beni d’investimento second hand è ammesso (a differenza di altri mercati) ma ne va certificata la vita residua che deve rispettare limiti definiti. La selezione di partner indiani certificati AEO (Authorised Economic Operator) permette di ridurre i rischi e i tempi legati alle operazioni commerciali internazionali.
L’origine del prodotto poi è ora diventata di assoluta importanza ai fini del dazio. Se ad esempio in un macchinario prodotto in Italia e destinato agli USA vi è una componente di acciaio indiano questo subisce il dazio US applicato all’India. Lo stesso vale per il tema sanzioni: se un prodotto di abbigliamento contiene tessuto di cotone lavorato in India ma di origine cinese potrebbe essere sottoposto alle sanzioni applicate alla Cina per violazioni dei diritti umani se la raccolta di cotone proviene dalla regione dello Xinjiang.
In questo quadro di riferimento, non solo con riguardo all’India ma in generale ai rapporti con i mercati Extra UE, per le imprese che non vi abbiano già provveduto è necessario dotarsi di competenze specifiche (logistiche, doganali, fiscali, sulle sanzioni internazionali…) in capo ad una figura che potremmo definire Logistic & Compliance Manager in grado di pianificare queste attività critiche.
Infine, qualche considerazione sulle iniziative imprenditoriali finalizzate a stabilire una presenza diretta in India. Innanzitutto si tratta di una opzione che non va esclusa, come in effetti vale per tutti i mercati lontani e difficili di grandi dimensioni (es. Usa o Brasile), che per certi aspetti rendono necessario questo passo. Al riguardo, possiamo constatare come le imprese che sono approdate in India – ci riferiamo in questo caso alle aziende di medie dimensioni che con costanza e merito si sono radicate sul mercato – hanno acquisito una expertise così importante da trasformare molte di loro nelle cosiddette multinazionali tascabili italiane. In realtà, la scelta fra la costituzione di una società di diritto locale e l’apertura di una filiale si è spesso configurata non tanto come un’alternativa quanto come la fase di passaggio di un processo evolutivo della presenza aziendale in loco. Come accade in altri mercati esteri, la differenza di complessità burocratica fra le due opzioni determina effetti più che proporzionali in termini di impatto positivo sulla creazione di business. La strategia di costituire una società con partner locale – joint venture – è stata per molte aziende una opzione che ha semplificato le vischiosità burocratiche già nella fase di ingresso (procedure, gestione delle risorse umane, apertura conti, accesso al credito…).
Riguardo all’ottimale localizzazione di queste strutture possiamo constatare come le imprese italiane abbiano nella maggior parte dei casi privilegiato alcune aree, quali il polo di Mumbai-Pune (Maharashtra), nel quale Pune è il distretto industriale e Mumbai il centro commerciale finanziario. Altro polo di attrazione è il Tamil Nadu e Chennai, per il settore IT e innovazione certamente Bangalore (Karnataka), e il Polo industriale attorno a Delhi. La testimonianza delle imprese già presenti conferma quanto la scelta di un distretto con competenze orientate al settore economico di riferimento sia fondamentale.









